Fine pena mai. Massimo Giuseppe Bossetti è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. Dopo oltre 10 ore di camera di consiglio i giudici della corte d’Assise di Bergamo, ignorando l’appello dell’imputato a ripetere l’esame del Dna, hanno stabilito che il muratore di Mapello, che si è sempre dichiarato innocente, è l’assassino della tredicenne di Brembate di Sopra. La ragazzina sparì la sera del 26 novembre 2010 e il suo cadavere fu ritrovato in un campo a Chignolo d’Isola tre mesi dopo. Morta di freddo, stabilì, l’autopsia dopo essere stata accoltellata.
L’imputato è rimasto impassibile durante la lettura del verdetto. I giudici gli hanno tolto la podestà genitoriale ed è stata riconosciuta l’aggravante della crudeltà. La corte presieduta da Antonella Bertoja, invece, lo ha assolto dall’accusa di calunnia nei confronti dell’ex collega di lavoro. La Corte ha inoltre disposto provvisionali complessive per 1,2 milioni di euro per la famiglia Gambirasio.
LA MADRE DI YARA: “ORA SAPPIAMO CHI È STATO”
“Ora sappiamo chi è stato, anche se siamo consapevoli che Yara non ce la riporterà indietro nessuno” ha detto la madre della ragazzina. “È andata come doveva andare, ma questa è e resta una tragedia per tutti che non ci restituisce indietro nostra figlia” hanno dichiarato i genitori, mamma Maura e papà Fulvio. I legali, che hanno avvisato la famiglia della vittima che si è sempre tenuta lontano dai riflettori, hanno riferito che i genitori della 13enne hanno accolto l’esito “con la massima serenità, così come con serenità hanno seguito tutta la vicenda”. Dal momento dell’arresto del muratore di Mapello, i Gambirasio “non hanno mai avuto dubbi”, dice l’avvocato Enrico Pelillo.
“Siamo arrivati a metà strada nel senso che questa è una sentenza di primo grado, è stata un’inchiesta difficile e la collega Ruggeri è stata fantastica – ha detto il procuratore di Bergamo Massimo Meroni – La prova del Dna è stata decisiva. La pena è quella prevista per una persona che commette un omicidio a cui non sono riconosciute le attenuanti“.
BOSSETTI: “UNA MAZZATA, AVEVO FIDUCIA NELLA GIUSTIZIA”
Uscito senza reagire dall’aula l’imputato ha dato sfogo alla sua delusione: “Non è giusto. È stata una mazzata, avevo fiducia nella giustizia. Non sono stato io”. Il processo per lui era iniziato un anno fa, il 3 luglio del 2015 ed è durato 45 udienze. Il pm Letizia Ruggeri, che aveva chiesto l’ergastolo con isolamento diurno, ha costruito la sua accusa su una serie di indizi e su quella che viene considerata la prova regina ovvero il Dna del 45enne trovato mescolato al materiale genetico della vittima sui leggins e sugli slip. La ripetizione degli esami sul materiale genetico sarebbe stato impossibile perché il campione non è più utilizzabile. Il cadavere della giovane vittima fu esposto per tre mesi alle intemperie prima di essere ritrovato.
LA DIFESA: “CONVINTI DELLA SUA INNOCENZA”
“Sono amareggiato perché la convinzione dell’innocenza è forte. Noi siamo veramente convinti della sua innocenza – ha dichiarato uno dei legali di Bossetti, l’avvocato Claudio Salvagni -. Queste 45 udienze non hanno restituito nessuna prova a suo carico. È un processo indiziario. È una sentenza già scritta”. Salvagni ha ricordato che si tratta di una sentenza di primo grado e che vige il principio di non colpevolezza. “Non è una sentenza definitiva, è il primo step di una battaglia lunghissima. Certamente faremo ricorso. Bossetti era molto fiducioso nella giustizia, ora il contraccolpo è forte, ma ha la scorza dura e saprà reagire”.
LA PROVA DEL DNA
Il gip che decise più volte che Massimo Bossetti dovesse rimanere in carcere, Ezia Maccora, aveva già definito “ottima” la prova del Dna. Nel fascicolo processuale è la 31G20 ed il cuore della memoria depositata venerdì mattina dalla difesa. È attraverso questa traccia genetica che si è risaliti prima a Ignoto 1, in seguito all’autista di autobus scomparso nel 1999, Giuseppe Guerinoni e alla madre di Bossetti, Ester Arzuffi (che ha sempre negato relazioni extraconiugali).
La difesa ha sempre contestato la mancata corrispondenza tra il Dna nucleare, attribuito a Bossetti, e quello mitocondriale nella traccia la cui appartenenza non è stato possibile stabilire, il giudice Maccora era stato tranciante e così l’accusa e parti civili nel corso del processo: “Quel che conta è il Dna nucleare, che, stando agli esami scientifici, è di Bossetti, e non quello mitocondriale”. I difensori di Bossetti e il loro consulente l’hanno definito “una mezza traccia” e “forse contaminata” durante i procedimenti di conservazione e di analisi. “Più anomalie che marcatori”, avevano detto Claudio Salvagni e Paolo Camporini. “Uno e perfetto”, aveva risposto il pm. La Corte, dopo la conclusione del dibattimento, aveva respinto la richiesta in extremis di una nuova perizia perché “ogni ulteriore accertamento” appariva “superfluo” per la decisione.
L’ANALISI DELLE CELLE TELEFONICHE
Anche l’analisi delle celle telefoniche ha costituito un punto di forza per l’accusa. Il 26 novembre 2010, giorno della scomparsa di Yara, l’ultima telefonata del muratore di Mapello è alle 17.45, orario compatibile con la sparizione della ragazza. Bossetti era nella zona della palestra di Brembate di Sopra in cui la ragazzina era andata per portare un impianto stereo per la ginnastica ritmica. Il suo telefono non genera traffico fino alle 7.34 del giorno dopo. Per la difesa, Bossetti era solito fare quella strada tornando dal lavoro. Il dato per i legali del muratore non è in alcun modo significativo.
LE TELECAMERE DI SORVEGLIANZA
Secondo gli accertamenti del Ris e del Ros dei carabinieri, è quello di Bossetti il furgone bianco che viene immortalato sette volte nelle immagini delle telecamere di sorveglianza della zona intorno alla palestra in orario compatibile con la scomparsa di Yara. Secondo il consulente della difesa, tacciato di “malafede e approssimazione” dal pm, quel furgone non è suo. Dalle accuse dei difensori di aver confezionato un video “tarocco” dei quelle immagini (era un video destinato alla stampa, quindi non aveva valore processuale) è scaturito un procedimento a carico di giornalisti su iniziativa del comandante del Ris Giampietro Lago.
LE FIBRE TESSILI SUL CORPO DI YARA
Sul corpo di Yara sono state trovate delle fibre “compatibili” con la tappezzeria dei sedili del furgone di Bossetti e delle sferette metalliche che portano a qualcuno che lavora “nel mondo dell’edilizia”. Dati insignificanti per la difesa, mentre il pm ha più volte detto che tutti gli indizi vanno valutati nel loro insieme, quindi anche in relazione al Dna.
LE BUGIE DI BOSSETTI E LE RICERCHE PORNOGRAFICHE
Ci sono poi le incongruenze nel racconto di Bossetti. Il muratore ha ipotizzato che quel 26 novembre dl 2010, dopo essere stato al lavoro, poteva essere andato dalla commercialista, poi da un meccanico, e a comperare le figurine per i figli come era solito fare tornando dal lavoro. Nessuno, però, quel giorno, ricorda di averlo visto e Bossetti ha dato una sua spiegazione: “Qui mentono tutti”. Nel corso del processo il pm ha evidenziato una serie di ricerche a sfondo pornografico trovate nei computer di casa, alcune riferite a tredicenni la stessa età di Yara quando morì. Ricerche che non significano nulla per la difesa, anche perché di molto successive alla sparizione della ragazza e delle quali la moglie di Bossetti, Marita Comi, si è in parte assunta la responsabilità. Fuori dall’aula la donna, che ha voluto essere presente in aula, la sorella gemella, Laura Letizia, si sono abbracciate a lungo, piangendo.