I temi più caldi della campagna pro Brexit sono stati l’immigrazione e la sicurezza, in altre parole il controllo delle frontiere. E infatti David Cameron lo ha fatto presente ai colleghi europei nell’incontro di Bruxelles: la maggioranza degli inglesi ha votato per lasciare l’Unione perché hanno la netta sensazione di non poter gestire i propri confini nazionali. L’attentato all’aeroporto di Istanbul, l’ultima carneficina firmata Stato islamico in Turchia (nazione che si prepara all’ingresso nell’Unione europea) sembra convalidare i timori degli antieuropeisti britannici.
E’ triste doversi confrontare con questa realtà. Ironia della sorte vuole che mentre al Parlamento europeo volavano gli insulti contro i sostenitori della Brexit, a Istanbul un commando dell’Isis faceva strage di turisti in partenza per le vacanze. Non possiamo negare che questo evento mette a nudo i pericoli dell’accordo con Erdogan, stipulato dall’Ue per frenare il flusso dei migranti e di cui una delle contropartite più spinose è stato proprio l’accesso della popolazione turca ai paesi membri dell’Unione senza visto. Accordo concluso in fretta e furia per arginare gli effetti negativi dell’apertura incondizionata delle frontiere da parte di Angela Merkel ai profughi siriani nell’estate del 2015. Con loro sono entrati centinaia di migranti provenienti dal Medio Oriente, dall’Asia e dall’Africa per un totale di oltre 1 milione e mezzo di individui, secondo le stime.
La politica estera scellerata di Bruxelles ancora oggi si ostina a non capire che il processo di destabilizzazione della Turchia andava evitato a tutti i costi e che la soluzione era pacificare la Siria e l’Iraq smettendo di armare chiunque offra di combattere l’Isis e portando al tavolo delle negoziazioni tutti i gruppi coinvolti nella guerra civile siriana. La stessa leadership europea mostra la propria incompetenza nella gestione del post-Brexit. E’ davvero triste assistere alle grida delle liti da cortile che da una settimana ci arrivano da Bruxelles. La vittoria del fronte del Brexit sembra aver scatenato le ire degli europei e di chi li governa, se questa è la democrazia che l’Unione ci propone allora forse hanno ragione gli inglesi a non volerne più far parte.
Il fronte degli euro-burocrati non eletti, con il presidente della Commissione europea Juncker in prima fila, sta dando prova di non conoscere l’arte della politica e di non sapere neppure cosa significhi la diplomazia. Il discorso di Nigel Farage al Parlamento europeo è stato ugualmente provocatorio ma più moderato di quello del presidente della Commissione, che gli ha chiesto sarcasticamente cosa ci faceva nell’aula visto che il suo paese ha votato per uscire dall’istituzione che rappresenta. Una frase priva di senso dal momento che a tutti gli effetti il Regno Unito ne fa ancora parte. Sconvolgenti anche le risposte offerte dal presidente Juncker ai leader dei Paesi dell’est europeo quando alcuni di loro hanno ventilato la possibilità che lui dovrebbero dimettersi per non essere stato in grado di evitare la Brexit.
La vittoria del fronte per l’uscita dall’Europa, va ricordato, è l’espressione della sovranità popolare di una nazione e non la decisione di un gruppo di politici, quindi andava evitata con la politica, non con le minacce, e adesso va rispettata e gestita secondo le regole per evitare il peggio, non solo per chi se ne vuole andare ma soprattutto per chi resta. Ma il bullismo politico sembra essere l’unico strumento che Bruxelles conosce, lo abbiamo toccato con mano più di una volta durante la crisi del debito sovrano e in particolare dopo il referendum greco. Questa volta però non funzionerà non solo perché il Regno Unito non è la Grecia – che sfidando l’Unione rischiava la paralisi monetaria – ma anche perché la Brexit è arrivata dopo cinque anni di crisi irrisolte. Il clima in Europa è cambiato, i paesi del nord sono meno propensi a farsi governare da individui non eletti e una buona fetta dei 500 milioni di europei è stanca di questo teatrino. Se l’Unione vuole salvare il progetto europeo deve cambiare e lo deve fare iniziando a rispettare la volontà dei popoli che ne fanno parte. E per farlo bisogna cambiare, prima di tutto, chi guida la Commissione. Se ciò non avviene, altre Nazioni seguiranno la strada intrapresa dal Regno Unito. Una settimana triste, dunque, per tutta l’Europa che ci ha paradossalmente ricordato quelle ostilità che l’idea dell’unione dei popoli europei voleva distruggere.
Loretta Napoleoni
Economista
Zonaeuro - 3 Luglio 2016
Brexit, non c’è progetto europeo che tenga senza il rispetto del voto popolare
I temi più caldi della campagna pro Brexit sono stati l’immigrazione e la sicurezza, in altre parole il controllo delle frontiere. E infatti David Cameron lo ha fatto presente ai colleghi europei nell’incontro di Bruxelles: la maggioranza degli inglesi ha votato per lasciare l’Unione perché hanno la netta sensazione di non poter gestire i propri confini nazionali. L’attentato all’aeroporto di Istanbul, l’ultima carneficina firmata Stato islamico in Turchia (nazione che si prepara all’ingresso nell’Unione europea) sembra convalidare i timori degli antieuropeisti britannici.
E’ triste doversi confrontare con questa realtà. Ironia della sorte vuole che mentre al Parlamento europeo volavano gli insulti contro i sostenitori della Brexit, a Istanbul un commando dell’Isis faceva strage di turisti in partenza per le vacanze. Non possiamo negare che questo evento mette a nudo i pericoli dell’accordo con Erdogan, stipulato dall’Ue per frenare il flusso dei migranti e di cui una delle contropartite più spinose è stato proprio l’accesso della popolazione turca ai paesi membri dell’Unione senza visto. Accordo concluso in fretta e furia per arginare gli effetti negativi dell’apertura incondizionata delle frontiere da parte di Angela Merkel ai profughi siriani nell’estate del 2015. Con loro sono entrati centinaia di migranti provenienti dal Medio Oriente, dall’Asia e dall’Africa per un totale di oltre 1 milione e mezzo di individui, secondo le stime.
La politica estera scellerata di Bruxelles ancora oggi si ostina a non capire che il processo di destabilizzazione della Turchia andava evitato a tutti i costi e che la soluzione era pacificare la Siria e l’Iraq smettendo di armare chiunque offra di combattere l’Isis e portando al tavolo delle negoziazioni tutti i gruppi coinvolti nella guerra civile siriana. La stessa leadership europea mostra la propria incompetenza nella gestione del post-Brexit. E’ davvero triste assistere alle grida delle liti da cortile che da una settimana ci arrivano da Bruxelles. La vittoria del fronte del Brexit sembra aver scatenato le ire degli europei e di chi li governa, se questa è la democrazia che l’Unione ci propone allora forse hanno ragione gli inglesi a non volerne più far parte.
Il fronte degli euro-burocrati non eletti, con il presidente della Commissione europea Juncker in prima fila, sta dando prova di non conoscere l’arte della politica e di non sapere neppure cosa significhi la diplomazia. Il discorso di Nigel Farage al Parlamento europeo è stato ugualmente provocatorio ma più moderato di quello del presidente della Commissione, che gli ha chiesto sarcasticamente cosa ci faceva nell’aula visto che il suo paese ha votato per uscire dall’istituzione che rappresenta. Una frase priva di senso dal momento che a tutti gli effetti il Regno Unito ne fa ancora parte. Sconvolgenti anche le risposte offerte dal presidente Juncker ai leader dei Paesi dell’est europeo quando alcuni di loro hanno ventilato la possibilità che lui dovrebbero dimettersi per non essere stato in grado di evitare la Brexit.
La vittoria del fronte per l’uscita dall’Europa, va ricordato, è l’espressione della sovranità popolare di una nazione e non la decisione di un gruppo di politici, quindi andava evitata con la politica, non con le minacce, e adesso va rispettata e gestita secondo le regole per evitare il peggio, non solo per chi se ne vuole andare ma soprattutto per chi resta. Ma il bullismo politico sembra essere l’unico strumento che Bruxelles conosce, lo abbiamo toccato con mano più di una volta durante la crisi del debito sovrano e in particolare dopo il referendum greco. Questa volta però non funzionerà non solo perché il Regno Unito non è la Grecia – che sfidando l’Unione rischiava la paralisi monetaria – ma anche perché la Brexit è arrivata dopo cinque anni di crisi irrisolte. Il clima in Europa è cambiato, i paesi del nord sono meno propensi a farsi governare da individui non eletti e una buona fetta dei 500 milioni di europei è stanca di questo teatrino. Se l’Unione vuole salvare il progetto europeo deve cambiare e lo deve fare iniziando a rispettare la volontà dei popoli che ne fanno parte. E per farlo bisogna cambiare, prima di tutto, chi guida la Commissione. Se ciò non avviene, altre Nazioni seguiranno la strada intrapresa dal Regno Unito. Una settimana triste, dunque, per tutta l’Europa che ci ha paradossalmente ricordato quelle ostilità che l’idea dell’unione dei popoli europei voleva distruggere.
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Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.
Beirut, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas si starebbe preparando per un nuovo raid, come quello del 7 ottobre 2023, penetrando ancora una volta in Israele. Lo sostiene l'israeliano Channel 12, in un rapporto senza fonti che sarebbe stato approvato per la pubblicazione dalla censura militare. Il rapporto afferma inoltre che Israele ha riscontrato un “forte aumento” negli sforzi di Hamas per portare a termine attacchi contro i kibbutz e le comunità al confine con Gaza e contro le truppe dell’Idf di stanza all’interno di Gaza.
Cita inoltre il ministro della Difesa Israel Katz, che ha detto di recente ai residenti delle comunità vicine a Gaza: "Hamas ha subito un duro colpo, ma non è stato sconfitto. Ci sono sforzi in corso per la sua ripresa. Hamas si sta costantemente preparando a effettuare un nuovo raid in Israele, simile al 7 ottobre". Il servizio televisivo arriva un giorno dopo che il parlamentare dell'opposizione Gadi Eisenkot, ex capo delle Idf, e altri legislatori dell'opposizione avevano lanciato l'allarme su una preoccupante recrudescenza dei gruppi terroristici di Gaza.
"Negli ultimi giorni, siamo stati informati che il potere militare di Hamas e della Jihad islamica palestinese è stato ripristinato, al punto che Hamas ha oltre 25.000 terroristi armati, mentre la Jihad ne ha oltre 5.000", hanno scritto i parlamentari, tutti membri del Comitato per gli affari esteri e la difesa.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - L'attacco israeliano nei pressi della città di Daraa, nel sud della Siria, ha ucciso due persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale siriana Sana.
"Due civili sono morti e altri 19 sono rimasti feriti in attacchi aerei israeliani alla periferia della città di Daraa", ha affermato l'agenzia di stampa, mentre l'esercito israeliano ha affermato di aver preso di mira "centri di comando e siti militari appartenenti al vecchio regime siriano".