Per il Tesoro non c’è Brexit che tenga. Nonostante il nervosismo dei mercati, il ministero dell’Economia decide di andare avanti con la privatizzazione di Enav. Tuttavia la volatilità di Borsa riduce di 100-150 milioni le aspettative d’incasso della terza privatizzazione dell’era Renzi. L’operazione, che partirà con le sottoscrizioni lunedì 11 (fino al 20 luglio), porterà infatti a Piazza Affari il 42,5% del capitale di Enav per un totale di 230 milioni di azioni. La quota di capitale collocato potrà salire fino al 46,6% nel caso di esercizio della greenshoe, cioè l’opzione di acquisto a favore delle banche del consorzio, che, se utilizzata, farebbe lievitare gli introiti del Tesoro. Complessivamente la valorizzazione di Enav sarà compresa fra 1,571 e 1,896 miliardi, pari a un prezzo per azione fra 2,90 e 3,50 euro. Le cifre in ballo sono tuttavia sensibilmente più basse rispetto alle iniziali aspettative del Mef che, prima del referendum inglese, riteneva che Enav potesse valere fra 1,8 e 2,2 miliardi.
Detta in altri termini, per il suo 42,5%, il Tesoro dovrà accontentarsi di intascare fra i 667 e gli 805 milioni contro i 765-935 stimati nel pre-Brexit. Se, invece, riuscirà a piazzare il 46,6%, allora la privatizzazione frutterà alle casse pubbliche fra i 732 e gli 883 milioni contro gli 839 milioni-1 miliardo stimati prima del referendum inglese. “Con queste cifre si tratta di un vero e proprio flop con danni incalcolabili per gli stessi equilibri aziendali considerando che a malapena queste risorse potrebbero coprire l’assurda politica di dividenti decisa lo scorso giugno”, spiega il deputato pentastellato Paolo Romano che annuncia un esposto alla Corte dei Conti. Anche perché, con la quotazione di Enav, le casse dello Stato dovranno anche rinunciare alla metà dei dividendi che il gestore del trasporto aereo civile distribuirà nei prossimi anni attingendo anche ad un bacino di riserve da 400 milioni.
Dal canto suo, il governo ne fa una questione di efficienza sostenendo che la quotazione favorisce la modernizzazione e rende più facili eventuali alleanze future. Possibilità, quest’ultima, alquanto teorica visto che Enav sarà l’unica società del suo settore quotata al mondo. In compenso il collocamento, destinato principalmente ad investitori istituzionali (90%), permetterà al governo di ottenere introiti immediati che daranno un piccolo contributo all’abbattimento del debito pubblico sulla falsariga di quanto promesso a Bruxelles.
Inoltre, sempre per soddisfare le richieste dell’Unione, il Mef si prepara anche al collocamento della seconda tranche di Poste. “Un’operazione in perdita”, come spiega una nota della Cgil, per via di una “chiara sottovalutazione della complessità del gruppo Poste” e una “totale assenza di valutazione del quadro finanziario internazionale che indurrebbe un governo responsabile a ripensare l’intero percorso”. Secondo il sindacato, il collocamento di Poste nell’immediato dopo Brexit equivale “nelle intenzioni e nei fatti, ad una svendita di un patrimonio pubblico”. Come nel caso Enav, insomma, anche per Poste la fretta di vendere rischia solo di essere cattiva consigliera. Con tutte le conseguenze del caso per le casse pubbliche.