La Consulta boccia la norma “anti badanti” sulle pensioni di reversibilità. La Corte ha dichiarato incostituzionale la norma che limitava l’ammontare dell’assegno quando il coniuge scomparso aveva contratto matrimonio a un’età superiore ai settant’anni e il coniuge superstite era più giovane di almeno vent’anni. Il paletto dunque salta, e non solo per le coppie sposate ma anche per quelle omosessuali che contraggono un’unione civile.
La norma, varata nel 2011 dal governo Berlusconi, intendeva contrastare il fenomeno di matrimoni di interesse attraverso penalizzazioni economiche: la pensione di reversibilità, che di norma è pari al 60% di quella del familiare deceduto se c’è solo il coniuge e sale al 100% se ci sono più figli, veniva ridotta di una misura compresa tra il 25 e il 50%. Esentati solo i nuclei familiari con figli di minore età, studenti o inabili al lavoro.
Ma secondo i giudici costituzionali, quel decreto ha irragionevolmente sacrificato i diritti previdenziali del coniuge superstite, interferendo con le scelte di vita dei singoli, espressione di libertà fondamentali. La disposizione impugnata “enfatizza la patologia del fenomeno”, scrivono i giudici, “partendo dal presupposto di una genesi immancabilmente fraudolenta del matrimonio tardivo”.
Si tratta di un presupposto di “valore fortemente dissonante” rispetto all’evoluzione del costume sociale, si legge nella sentenza, sottolineando il “non trascurabile cambiamento di abitudini e propensioni collegate a scelte personali, indipendenti dall’età”. “La piena libertà di determinare la propria vita affettiva ben si collega all’allungamento dell’aspettativa di vita”, notano i giudici. Secondo i quali non si può dunque dare per scontato che i matrimoni contratti da chi abbia più di settant’anni con una persona di vent’anni più giovane traggano origine dall’intento di frodare l’erario, in assenza di figli minori, studenti o inabili.