Carri armati che assediano il Parlamento, caccia militari che sorvolano i cieli sopra i palazzi di Ankara e militari che nella capitale e a Istanbul tentano di rovesciare il governo del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo. Venerdì notte lo “Stato Parallelo” tanto temuto dal presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, è uscito per la prima volta allo scoperto dopo l’affare Ergenekon del 2007 cercando di rovesciare il governo di Binali Yildirim e mettere fine ai 14 anni di potere dell’Akp. Un tentato colpo di Stato che porta alla luce una spaccatura interna all’esercito e indebolisce una delle istituzioni più importanti e rispettate della Turchia. “Questa vicenda, con questo epilogo, potrebbe addirittura favorire Erdoğan – commenta Matteo Colombo, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale ed esperto di politica turca – Dopo questo episodio, arresti, destituzioni e accentramento del potere nelle sue mani saranno giustificate da una situazione di emergenza alla quale neanche l’esercito è riuscito a dare risposta”. Per l’Occidente, però, la Turchia è oggi un partner meno affidabile.

La strategia di Erdogan: “Purghe nell’esercito, lotta alle opposizioni e accentramento del potere”
Gli arresti ci sono già stati, quasi tremila in meno di 24 ore, le condanne arriveranno e una parte dell’esercito dovrà essere ricostruita. “Il primo obiettivo di Erdoğan e del governo Akp – continua Colombo – sarà quello di trovare e punire i responsabili di questo episodio. Sarà avviato un ricambio interno alle forze armate, operazione già tentata in passato. Quello che temo, però, è che questo serva da pretesto per silenziare anche gli oppositori politici”. Il secondo passo, poi, potrebbe essere lo sblocco e l’accelerazione del processo di accentramento del potere tanto cercato dal leader turco dopo la sua nomina alla presidenza della Repubblica: “Il fatto che l’esercito, una delle parti più importanti e rispettate dello Stato turco, sia stata coinvolta in un affare così grande, mostrando debolezza e spaccatura tra i vertici e la base, non porta solo a gravi conseguenze dal punto di vista della sicurezza, in un contesto interno che vede la Turchia impegnata nella lotta al terrorismo del Pkk e dello Stato Islamico – dice l’analista – Questo legittima la strategia di Erdoğan dell’uomo solo al comando, giustificando l’accentramento del potere nelle sue mani, unica figura capace di mantenere il Paese in una situazione di stabilità. Un epilogo del genere favorirebbe anche la sua guerra alle opposizioni”.

Tra queste ci sono anche i seguaci di Fethullah Gülen, predicatore ed ex alleato politico capace di influenzare alte sfere dello Stato, della magistratura, dell’esercito e del mondo intellettuale. Poco dopo il fallito golpe, il Presidente ha subito puntato il dito contro il suo grande nemico, insinuando che questo attacco potrebbe essere stato orchestrato in Pennsylvania, dove il predicatore risiede. Un’accusa di cui Erdoğan potrebbe servirsi per combattere ancora più duramente le opposizioni interne: “I gulenisti influenzano parte della politica, della magistratura, della stampa e del mondo intellettuale turco e per questo sono già trattati dai vertici Akp come un’organizzazione terroristica – continua Colombo – Il rischio, adesso, è che parta una vera caccia alle streghe che coinvolga tutte le opposizioni”.

“Golpe fallito per mancato sostegno politico”, ma i problemi di Erdoğan sono anche dentro al partito
Quello di venerdì notte è stato un tentativo di golpe “maldestro, mal organizzato”, sostiene Colombo, che non ha trovato l’appoggio delle opposizioni presenti nel Paese. Per questo motivo, l’azione di una parte dell’esercito non ha avuto successo. “Le opposizioni non hanno sostenuto l’operazione – spiega il ricercatore -, quello che resta da capire è il motivo. O cercano disperatamente di sopravvivere evitando stravolgimenti come un colpo di Stato e di mettersi contro l’ala più forte del partito al governo, oppure hanno una strategia diversa. Come quella di trovare accordi con le ‘colombe’ dell’Akp per fare fuori i falchi fedeli al Presidente”.

A rischio i rapporti con Ue: “Da valutare se la Turchia è ancora un partner affidabile”
Un tentato colpo di Stato, dopo le accuse di comportamento antidemocratico seguenti agli attacchi nei confronti di giornalisti, intellettuali e membri delle opposizioni, obbligherà Bruxelles a rivalutare i numerosi accordi stipulati o in fase di trattativa con Ankara. “I Paesi membri dovranno analizzare la situazione e capire se la Turchia è ancora oggi un partner affidabile – spiega il ricercatore – Personalmente, non credo che quello che è accaduto possa far naufragare accordi di tipo commerciale, legati alla situazione dei migranti e nemmeno quelli relativi ai visti per i cittadini turchi diretti in Europa. C’è da dire che, con un esercito così indebolito e da ricostruire, la sicurezza interna ne risentirà e con essa anche l’immagine del Paese agli occhi dei suoi partner”.

Se la rottura tra Erdoğan e l’ex premier Ahmet Davutoğlu, primo sponsor degli accordi Turchia-Ue, aveva già raffreddato i rapporti tra Ankara e Bruxelles, questo nuovo episodio rischia di frenare ulteriormente le trattative future, soprattutto in campo militare e strategico. “Molto dipenderà anche dalle prossime dichiarazioni delle parti in causa – conclude Colombo – Se il Presidente continuerà a sostenere che il golpe è opera di forze esterne al Paese, con riferimento ai gulenisti e ai Paesi che possono appoggiarli, è certo che potrebbero nascere delle tensioni. Se poi le voci sul visto negato dalla Germania al leader turco trovassero conferma, saremmo di fronte a una svolta. Non dimentichiamoci che il governo di Angela Merkel è il primo alleato di Ankara nell’Unione”.
Twitter: @GianniRosini

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