“I traditori pagheranno a caro prezzo”: è stato lapidario il presidente Recep Tayyip Erdogan, all’indomani del tentato golpe che in poche ore ha fatto temere per il destino della potenza nucleare alleata della Nato. Nel risiko mediorientale, le varie fasi di quello che alcuni definiscono ora “colpo di Stato fasullo” hanno fatto presagire fin da subito che la reazione del presidente sarebbe stata il pugno di ferro contro le opposizioni. E così è stato. Nella deriva autoritaria che accelera dopo la notte scorsa, gli oppositori vengono resi inoffensivi: dopo la stampa e la destra islamica turca, passano sotto la scure i militari laici e la magistratura.
A pagare il prezzo più alto sono proprio i militari, che, voltando le spalle a Erdogan, hanno però mancato il bersaglio: dopo la dichiarazione del primo ministro turco, Binali Yildirim, sull’arresto di 2.800 soldati, si valuta il ripristino della pena di morte per chi ha appoggiato il ‘putsch’, già represso nel sangue con la morte di 104 golpisti. Altri 700 militari si sarebbero arresi alla polizia turca spontaneamente. Ma il repulisti tra le fila dei militari non è che la punta dell’iceberg di quello che probabilmente la Turchia affronterà nelle prossime ore. Molti soldati sono fuggiti in Grecia, e già chiedono asilo politico. Attraverso Mevlut Cavusoglu, leader della diplomazia turca, il Sultano ha chiesto l’estradizione degli otto capi militari putschisti atterrati stamane nello Stato ellenico dopo il fallimento del golpe.
Erdogan, in questa operazione, ha voluto al suo fianco il fedelissimo generale Umit Dundar, nominato capo di Stato Maggiore ad interim dopo la cattura da parte dei golpisti del generale Hulusi Akar. Il presidente turco adesso si sente più forte, di certo legittimato dalle migliaia di manifestanti richiamati anche dai muezzin e scesi in piazza nella notte per dichiarare il proprio appoggio alla Repubblica dell’Akp. Con le trasmissioni tv interrotte per ore, il colpo di Stato si è combattuto non solo ‘manu militari’, ma anche sul filo delle informazioni veicolate da agenzie e social network, fino ad oggi bistrattati dallo stesso leader dell’Akp.
L’occasione del fallimento del colpo di Stato a molti è sembrata ghiotta, tanto che il Partito Comunista turco, in un suo comunicato, ha identificato nell’Akp, se non nello stesso Erdogan, l’autore nascosto del putsch militare. “O il popolo turco si organizzerà per sbarazzarsi di Akp o le politiche reazionarie dell’Akp si intensificheranno, la repressione aumenterà, i massacri, il saccheggio e i furti continueranno”. Al netto delle probabili dietrologie, Erdogan adesso può stringere la tenaglia su intere frange della società che nei suoi 13 anni di governo hanno provato a dargli filo da torcere.
Oltre ai militari, il giro di vite adesso colpisce anche i giudici, storicamente ostili al governo di Erdogan e alla sua riforma costituzionale in formato presidenziale: l’Alto consiglio di giudici e procuratori, massimo organismo di controllo dei magistrati, ha rimosso dall’incarico 2.745 giudici in tutto il Paese, perché sospettati di collegamenti con l’ex imam in esilio Fethullah Gülen, ritenuto da Ankara l’ispiratore del fallito golpe del 15 luglio.
Erdogan va allora a pescare i suoi traditori (o chi gli è inviso) proprio tra le fila degli oppositori membri di alcune istituzioni chiave del Paese. Una lunga storia, che trova nei recenti arresti di giornalisti turchi solo uno dei tanti capitoli. L’ultima prova è la decisione della magistratura di svolgere il processo contro Can Dundar ed Erdem Gul, i due giornalisti del quotidiano di opposizione Cumhuryet accusati di spionaggio a porte chiuse per ragioni di sicurezza nazionale. Andando a ritroso, nel 2014 l’approvazione da parte del Parlamento di Ankara di una legge per il controllo del traffico via internet aveva inasprito le frizioni tra magistratura e Akp. Una schedatura degli internauti, sulla falsa riga della Nsa statunitense, mal digerita dai giudici. A gennaio dello stesso anno, l’allora presidente Abdullah Gul aveva incontrato i capi dell’opposizione per discutere di un progetto di legge per rafforzare il controllo politico sulla magistratura, che ha spazzato via 90 anni di storia repubblicana.
Il mondo intanto è restato poco a guardare alla finestra aldilà del Bosforo: conservativa la mossa statunitense, con Obama che ha convocato in riunione straordinaria il Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Sospesa l’attività alla base militare di Incirlik, di fronte alla Siria, con il governo turco che ha chiuso lo spazio aereo ai velivoli militari. L’ondata repressiva di Erdogan potrebbe non esaurirsi qui: occhi puntati proprio sui confini porosi del sud della Turchia, spesso attraversati dai foreign fighters, dove negli ultimi mesi l’Akp ha giocato la sua partita contro gli oppositori curdi.