Nel settembre del 2013 l’Associazione Luca Coscioni presentò alla Camera dei Deputati una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione della eutanasia e per il testamento biologico (o per meglio dire le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento – DAT) con oltre 67mila firme di cittadini elettori.
Da allora abbiamo fatto di tutto per far sì che la nostra proposta non restasse – come quasi tutte quelle di iniziativa popolare – nei cassetti della Camera. Abbiamo posto in essere scioperi della fame di protesta. Abbiamo coinvolto i congiunti di alcune personalità che, come mio fratello Michele, non potendo ricorrere alla eutanasia, erano state indotte a suicidarsi (Mario Monicelli, Lucio Magri e Carlo Lizzani). Abbiamo ottenuto il sostegno pubblico del Presidente Napolitano. Abbiamo accompagnato in Svizzera (autodenunciandoci per “aiuto al suicidio”) diversi malati. Siamo riusciti ad ottenere la formale presa di posizione di 238 fra deputati e senatori in favore del dibattito parlamentare sui nostri temi ed abbiamo costituito un “intergruppo”, che si attiva permanentemente a questo fine ed a cui hanno aderito parlamentari di diversi orientamenti politici.
Alla fine, il 2 marzo scorso l’eutanasia è arrivata all’esame della Camera, assieme al testamento biologico. Erano passati 35 anni dalla prima proposta di legge in materia, firmata da Loris Fortuna.
Anni in cui nulla si è mosso e si è addirittura rischiato di vedere approvata, nel 2012, la famigerata “legge Calabrò”, che invece di dare all’Italia un “testamento biologico” simile a quello dei grandi paesi dell’Occidente (alcuni degli Stati Uniti hanno il living will dal 1976) avrebbe fatto del nostro l’unico paese con “il sondino di Stato” obbligatorio. Solo la fine anticipata della Legislatura ci salvò da questa vergogna.
Le Commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera hanno cominciato a lavorare, partendo da una lunga serie di “audizioni” di esperti sui vari aspetti delle scelte di fine vita (una prassi normale in Parlamento, forse non del tutto necessaria nel caso di un tema di cui sia la Camera che il Senato si erano a lungo occupati tre anni fa, all’epoca della “legge Calabrò”). Le due commissioni – è il caso di dirlo – se la sono presa comoda. L’ultima riunione della Commissione Affari Sociali, cui spetta la responsabilità prevalente in materia, si era tenuta a maggio, decidendo da dare priorità al tema delle Dat (Dichiarazione anticipata di trattamento) rispetto a quello della eutanasia.
Finalmente, il 12 e 13 luglio la Commissione Affari Sociali (dopo due mesi) è tornata a discutere e ha deciso di formare un comitato ristretto per la formulazione di un testo di legge unificato per il dibattito in aula. Gli intervenuti nella discussione (Murer, Pd, Mantero, M5S, Nicchi, SI-Sel) hanno convenuto su due punti fondamentali: la vincolatività delle Dat; il fatto che nutrizione e idratazione artificiali vanno considerati “trattamenti sanitari”, e come tali sono rifiutabili dal malato. Un buon passo avanti.
Su questo secondo punto ha dissentito solo Calabrò (AP), ignorando le risultanze delle audizioni degli esperti in materia. Buon sangue non mente!
Ora il problema dei tempi è molto serio. Fra non molto inizieranno le vacanze ed alla ripresa autunnale tutta l’attenzione della politica sarà concentrata sul referendum costituzionale e sulle sue conseguenze politiche, fra le quali non si può escludere la fine anticipata della Legislatura. Il che vorrebbe dire ripartire da zero, certamente non prima di un anno. Intanto, ogni giorno tre malati si suicideranno e almeno altri tre tenteranno invano di farlo, ed ogni giorno, negli ospedali e nelle cliniche, medici pietosi praticheranno una qualche forma di eutanasia clandestina su oltre 50 malati terminali: medici coraggiosi perché sfidano una norma clerico-fascista del codice penale del 1930 che prevede pene fino a 15 anni per “l’aiuto al suicidio”.
Per questo faccio appello ai colleghi giornalisti perché si occupino dell’argomento, denunciando l’inaccettabile lentezza del Parlamento su un tema (l’eutanasia) che incontra il favore di oltre il 60% degli italiani e su un altro (le Dat) su cui il consenso è praticamente totale.
Ci aiutino a portare avanti questa battaglia, per riconoscere il diritto alla autodeterminazione nelle scelte di fine vita ed avvicinare la legislazione italiana a quelle dei paesi europei comparabili con il nostro.