All’arrivo del 1237esimo voto, la Quicken Loans Arena è esplosa in un boato. Quello che fino a qualche mese fa sembrava impossibile è successo. Donald Trump è stato ufficialmente nominato candidato dei repubblicani alla presidenza. Ci sono stati, al momento del voto, alcuni tentativi delle delegazioni dell’Alaska e di Washington D.C. di bloccare il trasferimento di voti a Trump. Senza successo. Poco prima delle sette di sera il figlio di Trump, Donald Jr., ha annunciato che proprio i delegati di New York consentivano di superare la soglia dei 1237: “E’ un onore portarti questi voti. Papà, congratulazioni. Ti vogliamo bene”.
Si conclude così una delle primarie più combattute della storia repubblicana. Per celebrare il momento, lo stesso Donald Trump è comparso sugli schermi giganti dell’Arena in diretta dalla Trump Tower di New York. “Sono onorato di essere il vostro candidato a presidente degli Stati Uniti – ha detto -. Insieme abbiamo raggiunto un risultato storico. Ho avuto un numero di voti record nella storia del partito repubblicano. Il movimento che abbiamo creato andrà avanti”. Nei tre minuti del suo saluto da New York, Trump ha anche riassunto alcuni dei temi del discorso che terrà giovedì: “Voglio rafforzare i confini… liberare l’America dall’Isis… riportare la legge e l’ordine”.
La giornata, la seconda di questa Convention, era iniziata con le polemiche attorno al discorso di Melania Trump, la moglie, chiaramente modellato, in alcune parti, su quello di Michelle Obama alla Convention democratica del 2008. Ma la giornata era iniziata soprattutto con le dichiarazioni di Paul Manafort, il direttore della campagna di Trump, che si è levato più di un sassolino dalle scarpe ridicolizzando media, opinionisti e classe politica per non aver creduto alla candidatura di Trump: “Le loro previsioni sono state clamorosamente smentite”. Più tardi è stata la volta dei figli di Trump, Tiffany, la più giovane, e Donald JR., il maggiore, che dal palco della Convention hanno offerto un’immagine più personale, accessibile, del magnate repubblicano. Molto forte, nelle parole di Donald Jr., il tentativo di scrollarsi di dosso ogni sospetto di appartenere a un’élite lontana dall’americano medio. “In famiglia sappiamo guidare i trattori. L’abbiamo imparato non con un master, ma dalla gente laureata in buon senso”.
La seconda giornata della Convention doveva essere dedicata ai temi economici. In realtà, a parte qualche accenno qua e là da parte di alcuni speaker, di economia non si è praticamente parlato. Sono altri, in questo momento, i temi più urgenti per la campagna di Trump e per il partito repubblicano. Anzitutto, quello di trasmettere all’esterno una percezione di unità e armonia. Su questo aspetto ha insistito, nel suo intervento, Paul Ryan, lo speaker della Camera, sino a qualche settimana fa nemico agguerrito di Trump (da cui ha preso le distanze sulla questione dei musulmani, sull’uso di immagini anti-semite, su certi accenti razzisti del candidato nei confronti dei messicani). Il trionfo di Trump cancella ora le riserve di Ryan, uno dei leader dell’establishment di Washington, fautore di un liberismo radicale. “”Che ne dite di unire il partito in questo momento cruciale della nostra storia, quando l’unità è tutto?” ha chiesto alla folla Ryan. E ha continuato: “Amici repubblicani, quello che abbiamo cominciato qui, stasera, portiamolo a termine. Vinciamo queste elezioni… mostriamo all’America il nostro volto migliore”.
Il momento da ricordare della serata è però venuto con l’apparizione sul podio del governatore del New Jersey, Chris Christie. Personaggio controverso, politico aggressivo e spesso eccessivo, Christie è uno straordinario oratore. Lo ha confermato ieri sera, con un discorso che è, finora, l’attacco più duro e radicale a Hillary Clinton. Il governatore ha elencato tutti i motivi perché la Clinton non deve diventare presidente degli Stati Uniti: “”Ha fallito in Libia… Ha messo le basi per l’esplosione dell’Isis… Ha appoggiato I peggiori tiranni del Medio Oriente… E’ stata una negoziatrice inetta nei trattati sul disarmo… Ha permesso alla Russia di tornare a essere un attore importante sulla scena internazionale… Ha appoggiato le politiche brutali dei fratelli Castro… Ha messo a rischio la sicurezza nazionale con l’uso di un account mail privato”. A ogni citazione di un presunto “misfatto” di Hillary Clinton, Christie ha chiesto retoricamente alla folla di delegati repubblicani se l’ex segretario di stato è colpevole o innocente. “Guilty” è stata ogni volta la risposta delle migliaia di delegati, in un crescendo di urla, slogan, anche insulti contro la candidata democratica che è sfociato nel boato liberatorio finale.