È il ritorno dei “furbetti del quartierino”. Finanzieri d’assalto con tanto pelo sullo stomaco, in grado di macinare milioni di euro virtuali, grazie a trucchi e amicizie giuste. Stefano Ricucci – che solo dieci anni fa scalava il Corriere della Sera e la banca Antonveneta – è tornato questa mattina in carcere, su richiesta della procura di Roma. Insieme a lui c’è un altro imprenditore, Mirko Coppola, accusato di fatture per operazioni inesistenti: complessivamente sono dieci indagati, tra i quali il magistrato del Consiglio di Stato Nicola Russo. Un’inchiesta partita dopo il fallimento della cassaforte del finanziere originario di Zagarolo, la holding Magiste, la galassia societaria divenuta famosa tra il 2005 e il 2007, quando Ricucci e soci sembravano un tornado finanziario inarrestabile. Bella vita, belle donne, mogli famose e la voglia di entrare nel salotto buono della finanza italiana, mettendosi in tasca banche e giornali.
Dopo il crack Ricucci avrebbe mosso le sue pedine per riprendersi parte delle risorse finanziarie entrate nel fallimento, secondo l’accusa dei magistrati romani, che hanno affidato l’indagine al Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza della capitale. L’inchiesta sta approfondendo i movimenti finanziari che si sono sviluppati negli ultimi anni attorno ad una delle società del gruppo Magiste. Secondo quanto riportano fonti investigative, i finanzieri hanno analizzato l’acquisto di alcuni crediti del gruppo di Ricucci effettuato dal commercialista milanese Filippo Bono, anche lui indagato in questa inchiesta; asset, questi, che sarebbero poi stati rivenduti allo stesso Ricucci, permettendogli di recuperare parte delle risorse della sua Holding dopo il fallimento.
Tra i crediti acquistati attraverso questa triangolazione risultano 20 milioni di euro di rimborsi Iva, contestati dall’ Agenzia delle Entrate perché ritenuti relativi ad una compravendita fraudolenta di immobili tra due società appartenenti alla Holding Magiste. Su questa partita, secondo l’accusa, è entrato in campo il magistrato Russo: la sentenza di secondo grado sulla controversia con l’Agenzia delle Entrate, favorevole a Stefano Ricucci mostra – secondo gli investigatori – una serie di anomalie. Le motivazioni riporterebbero interi brani della memoria presentata dalla società, una sorta di copia e incolla che includeva anche i refusi. La Guardia di finanza ha poi acquisito nel corso delle indagini una serie di elementi che confermerebbero gli stretti rapporti tra Stefano Ricucci e il magistrato Nicola Russo. Contatti telefonici tra il giudice e Liberto Lo Conte, imprenditore ritenuto strettamente collegato a Ricucci, prima della pubblicazione della sentenza.
Per la procura di Roma, poi , è “altamente probabile” che il magistrato Russo sia “stato indebitamente retribuito da Ricucci” in cambio della rivelazione della decisione della commissione tributaria regionale in favore della società del gruppo Magiste. “Depongono in tale senso – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- l’acquisizione di un’ingente somma in contanti da parte di Ricucci nel periodo della decisione, gli acquisti di un’auto e di un immobile effettuati da Russo immediatamente dopo la sentenza, la presentazione da parte di Ricucci a Russo di una donna all’hotel Valadier dove i due hanno soggiornato senza essere registrati e pagando in contanti con fattura emessa a nome di un’altra persona e lo smodato tenore di vita di Russo”.
Il gip Gaspare Sturzo, però, non ha ritenuto che tali elementi provino l’esistenza di un accordo corruttivo perché le indagini non hanno dimostrato l’esistenza di pagamenti effettuati da Ricucci in favore del magistrato, “la cui posizione economica non appare florida, anzi, in grave difficoltà per un eccesso di spese”. La procura, invece, aveva chiesto la sospensione dall’esercizio dalla professione del magistrato ritenendo dimostrato un approfondito rapporto di conoscenza e frequentazione con Ricucci nel periodo compreso tra le decisioni assunte il 16 dicembre del 2014 dalla commissione regionale tributaria del Lazio nella controversia tra l’Agenzia delle entrate e la società Magiste Real Estate e il deposito della sentenza del 24 aprile 2015. Secondo l’accusa Russo e Ricucci erano in rapporti stretti anche alla luce del fatto che la moglie del magistrato lavorava presso lo studio legale che ha curato per l’immobiliarista il ricorso contro la Agenzia delle Entrate. Per gli inquirenti è accertato che nel testo della decisione presa dalla commissione tributaria a favore di Ricucci, in cui Russo era giudice-relatore, ci sono ampi pezzi copiati ed incollati della memoria presentata dai legali dell’immobiliarista, compresi alcuni errori battitura. Tra i due inoltre c’era un rapporto di amicizia tanto che i figli di Ricucci frequentavano quelli del magistrato.
I primi guai con la giustizia l’immobiliarista li ha avuti quando ancora lavorava come dentista a Carchitti, piccolo centro urbano alle porte di Roma. Si beccò una denuncia per esercizio abusivo della professione, visto che aveva solo il titolo di odontotecnico. E’ solo un primo incidente. La zona est della capitale – quell’agglomerato di case e quartieri cresciuti abusivamente lungo l’asse della Roma-Napoli – la conosce bene. Parte il nuovo piano regolatore di San Cesareo, mette insieme i risparmi della famiglia e realizza un piccolo centro commerciale: lo vende e ottiene il capitale iniziale per avviare il suo impero immobiliare, sempre basato sul meccanismo dell’acquisto e rivendita di terreni e immobili.. E’ l’inizio della sua lunga e tormentata carriera di immobiliarista, dove ha fiuto e capacità di giocare d’azzardo.
*Aggiornato da redazione web alle ore 16 del 20 luglio