I vicini di casa che sapevano del suo desiderio di vendetta maturato in carcere. La madre, che nel giro di tre mesi ha osservato passivamente la sua radicalizzazione. E ad alcuni parenti, per nulla sorpresi per quello che ha fatto, aveva detto che era sua intenzione attaccare una chiesa. Poi il duplice tentativo di partenza per andare a combattere in Siria, l’estradizione in Francia e un anno di carcere, per terminare ai domiciliari con tanto di braccialetto elettronico e permesso di uscita quotidiano dalle 8.30 alle 12.30 in attesa del processo per terrorismo. Le intenzioni di Adel Khermiche, uno dei due killer che ha sgozzato padre Jacques Hamel, 84 anni, nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, non erano rimaste sotterranee, nascoste. Erano note ai vicini, ai famigliari, ai compagni di classe.
Adel Khermiche aveva ripetuto più volte ai suoi parenti di volere attaccare una chiesa, esprimendo una palese volontà di farlo. “Non sono sorpreso – ha raccontato un suo parente ai microfoni di Rtl – Mi ha parlato sempre dell’Islam e che avrebbe fatto cose del genere”. Il 19enne, “giurando sul Corano e sulla Mecca” gli aveva detto: “‘Attaccherò una chiesa‘ e me l’ha detto due mesi fa davanti a una moschea. Sulla vita di mia madre, giuro che non gli ho mai creduto”. La madre, invece, a La Tribune de Geneve, raccontava del figlio dopo l’ultimo arresto, quando dalla Turchia era stato rispedito in Francia via Svizzera. Il percorso di radicalizzazione, dice, era cominciato intensamente dopo gli attacchi di Charlie Hebdo. Allegro, gentile, “amava la musica” come amava “uscire con le sue amiche”. Poi “in meno di tre mesi” la madre assiste “impotente alla sua radicalizzazione folgorante”. Le diceva che in Francia non si poteva praticare “tranquillamente” la sua religione, “parlava con termini che non gli appartenevano”. Era stato “stregato, come se fosse in una setta“.
Un percorso verso il fondamentalismo che non tutti, però, percepiscono con l’intensità della madre. Perché per alcuni vicini di casa Adel Khermiche era soltanto “un coglione“. Eppure anche loro sapevano della sua volontà di riscatto violento. “Ha tolto la vita a gente che non c’entrava niente con le sue storie. Era arrabbiato perché voleva andare in Siria e lo hanno fermato – dice un giovane musulmano di Saint-Etienne du Rouvray -, voleva vendicarsi per essere stato in prigione. Poteva vendicarsi in prigione invece di fare una cosa cosi nel quartiere”. Lo dice, riferiscono ii media francesi, con un tono di fastidio, di disprezzo. Insieme a un amico, musulmano di origine africana, il ragazzo si ferma a parlare con i cronisti, ma chiede di non scrivere il suo nome né di riprenderlo. “Hanno provato ad andare in Siria, lui e il fratello – racconta – hanno truccato i documenti, li hanno scambiati, una cosa del genere. Ma lui è stato fermato e rimandato indietro, era furioso. Il fratello però è passato, sta là adesso”.
E l’amico, al suo fianco, sembra sapere molto di più, mentre si nasconde il viso sotto un cappuccio scuro: “Sì sì, il fratello è lì, si addestra. Dicono che manda anche foto dal campo in Siria“. Il jihadismo rimane sullo sfondo nella cittadina a sud di Rouen, non viene citato dagli intervistati. Ma le storie di quelli che sono foreign fighter circolano, si conoscono. Provengono da famiglie di origine araba e probabilmente come i due killer sono nati e cresciuti in Francia. Ma prima della svolta fondamentalista si staglia un quadro di normalità, proprio come diceva la madre di Adel Khermiche. “Era con me al college Paul Eluard (a sud di Rouen) – dice un conoscente – era un ragazzo come noi. Non capisco perché abbia fatto tutto questo. Ma non bisogno compararlo ad altri musulmani, non hanno nulla a che fare”. E ha aggiunto: “Non sono stati i musulmani a volere fare questo, è stato lui. Era un ragazzo normale ma gli hanno fatto il lavaggio del cervello. Ma chi, quando e dove? Non ne ho idea”. Diverso il parere di alcuni suoi compagni di classe, che assicurano che tutti sapevano della sua radicalizzazione: “Non si vedeva più molto, è stato a lungo assente. Era diventato un po’ strano, non parlava più a molte persone”, ha raccontato una studentessa. Mentre un’altra ha aggiunto che appena avuta la notizia “abbiamo capito subito che si trattava di lui”.