“Un laboratorio di gelateria e uno di rosticceria oltre le sbarre per aiutare i detenuti a rifarsi una vita fuori. Ma il Dipartimento amministrazione detenuti ha bocciato l’idea. Assurdo. Qui a Palermo poi cosa fanno, chi li prende? Tornano a rubare?”. Dall’altra parte del telefono risponde Maurizio Artale, presidente del Centro di accoglienza Padre Nostro, fondato da padre Pino Puglisi nel quartiere Brancaccio. “Chi esce avrebbe venduto gelati, arancine, calzoni e pizzette a bordo di una motoape in giro per i rioni della città. È un’attività del posto che rende”.

Tra il 2005 e il 2014 Artale ha visto andare in fumo quattro progetti di reinserimento sociale per i carcerati e le loro famiglie. Corsi di formazione per la co-gestione di campi sportivi e fondi agricoli, recupero scolastico per i minori, microcredito. Per la commissione della Cassa delle ammende, l’ente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che con le somme versate a fronte di sanzioni disciplinari o pecuniarie che il giudice impone al condannato in base alla legge 547/1932 deve finanziare programmi di reinserimento dei reclusi, erano inadeguati. Come centinaia di altre proposte che ogni anno arrivano dalle carceri di tutta Italia. I criteri di selezione non sono chiari, non si leggono da nessuna parte, l’approvazione è a discrezione della commissione.

Eppure di soldi da investire ce ne sono tanti. Nell’ultimo bilancio, del 2014, si parla di 26,7 milioni di euro (48,2 tra conto deposito e quello patrimoniale). Un tesoretto inutilizzato, sprecato se vogliamo. Nel 2010 erano 40,5 milioni e nel 2008 ben 127,7. Fino a sei anni fa poche associazioni sapevano dell’esistenza della Cassa delle ammende, che non è certo nata l’altro ieri, era infatti il 1932. Ma nessuno ai piani alti della Giustizia si è mai preoccupato della sua promozione. “Noi l’abbiamo scoperta solo qualche mese fa e subito abbiamo diffuso la notizia” racconta Valentina Ilardi della Casa di accoglienza “Liberi di volare” di Napoli che ospita ex detenuti e condannati in affidamento ai servizi sociali.

L’associazione Antigone da sempre denuncia l’assoluta arbitrarietà con cui il Dap sceglie i progetti da finanziare. Patrizio Gonnella, il presidente: “L’assegnazione è diretta, manca un bando di gara, perché non lo fanno? Sarebbe normale farlo, no? Se ne discute da cinque anni almeno ma non si è mosso un dito”. C’è di più: con il decreto legge 207 del 2008 (art. 44-bis, comma 7) sono ammessi anche i progetti di edilizia penitenziaria nel tentativo di risolvere l’emergenza sovraffollamento e migliorare le condizioni di celle, bagni e corridoi. Anzi, oggi questi piani di ricostruzione sono diventati la priorità, “snaturando i principi fondanti della stessa legge” sottolinea Gonnella. I numeri sono eloquenti. “Nel 2015 abbiamo approvato 267 progetti di edilizia carceraria e 8 di rieducazione sociale” conferma Nicolò Rallo, segretario della Cassa delle ammende.

I detenuti che lavorano in carcere sfiorano il 30 per cento e di questi appena la metà ha datori di lavoro privati, si legge nell’ultimo rapporto di Antigone di aprile. Lavorare alle dipendenze del carcere, si evidenzia nel documento, significa essere occupati per poche ore settimanali e guadagnare in media circa 200 euro al mese.

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