“We’ve got to stop being the stupid party“, dobbiamo smetterla di essere il partito degli stupidi. Questo disse Bobby Jindal, governatore della Louisiana, durante il tradizionale winter meeting, la riunione d’inverno del Republican National Commitee. Era il 25 gennaio del 2013 e la sonora sconfitta elettorale di Mitt Romney, il candidato repubblicano contrapposto al presidente uscente, Barack Obama, era vecchia d’appena un paio di mesi. Il che inevitabilmente trasformava quell’incontro dello Stato Maggiore del Gop (Grand Old Party) nel primo atto d’un processo di contrizione e revisione. O, più esattamente, come molti scrissero, nella prima puntata di quella che intendeva essere una spietata autopsia del proprio cadavere.
Di che cosa era “morto”, due mesi prima, il Partito Repubblicano? Per l’appunto: “di stupidità” aveva provocatoriamente risposto Bobby Jindal, primo governatore d’origine asiatica nella storia degli Stati Uniti. E, così dicendo, aveva affondato il coltello in quella che non solo lui percepiva, dopo la sconfitta di novembre, come una delle più infette piaghe della politica repubblicana. Vale a dire: l’ostentato antintellettualismo che – in dichiarata contrapposizione ad un ipotetico “establishment cultural-mediatico”, nonché, ovviamente, al vituperatissimo politically correct – era progressivamente divenuto una dei più visibili vessilli del Gop. E che, a sua volta, altro non era che uno dei risvolti della strategia d’un partito rimasto politicamente e demograficamente immobile in un paese che andava profondamente trasformandosi.
Appena tre mesi dopo quella riunione e quello stupid – un auto-insulto che, in realtà, non era che un grido di dolore – il Rnc aveva pubblicato un documento di quasi 100 pagine ufficialmente intitolato Growth and Opportunities Project. Ovvero: il risultato della “autopsia” di cui sopra, essenzialmente basata sull’impietosa analisi statistica dei voti perduti. Chi sono gli elettori che, dopo il 2008, hanno smesso di votare (o hanno scelto di non votare) repubblicano? E perché l’hanno fatto? Lo hanno fatto, rispondeva il rapporto citando una minuziosa inchiesta d’opinione, perché il Grand Old Party veniva da loro percepito come scary, narrow minded, out of touch. Ovvero: come il partito della paura, intellettualmente limitato e distaccato dalla realtà. In sintesi: come il partito degli stuffy old men, dei vecchi ammuffiti. Vecchi, maschi, bianchi e d’assai modesto curriculum scolastico (gli “stupidi”, per l’appunto).
Conclusione: per mantenere qualche seria possibilità di riconquistare la Casa bianca il Gop doveva ripulire la propria immagine ed allargare la propria base elettorale adattandola ad una realtà in rapida trasformazione. Doveva ristabilire, o rendere più visibili, i contatti con le élite intellettuali ed estendere il proprio messaggio a minoranze che, se valutate nel loro complesso, ormai da tempo non sono più tali: donne, latinos, afro-americani, immigrati di ogni origine. Doveva cessare d’essere – per tornare all’appello di Jindal – the stupid party: bianco, maschio e incolto.
Fine del flash-back. Dissolvenza. Giorni nostri. Primo piano sul volto rubizzo di Donald Trump che, dal podio della convention repubblicana di Cleveland, pronuncia il suo discorso d’accettazione della candidatura per il partito repubblicano. Un lungo (75 minuti), rabbioso e divagante rantolo sormontato – tra xenofobi e apocalittici accenti, false statistiche e frottole da circo – da un unico riconoscibile concetto: “I alone can fix it” solo io posso mettere a posto le cose.
Tre anni dopo, quello che il Growth and Opportunities Project ha prodotto è questo: la caricatura di un “uomo della provvidenza”, un candidato che si propone di costruire muri – di vero acciaio e cemento come quello che vuole innalzare, a spese del Messico, lungo la frontiera sud, o metaforici – laddove il progetto repubblicano prevedeva lanciare ponti e tendere mani.
Un maschio settantenne, bianco e incolto oltre immaginazione, che si burla dei disabili, insulta le donne, vuole deportare immigrati e bandire musulmani. Un garrulo e vanitoso carnival barker, un imbonitore da baraccone (come venne molto propriamente definito dal governatore repubblicano del New Jersey, Chris Christie) che, con l’arroganza e la grossolanità d’un bullo di periferia, divide il mondo in winners and losers, vincenti e perdenti, e incorre in sesquipedali errori ogniqualvolta il tema del discorso si sposta dall’esaltazione di sé medesimo a qualunque concreto tema di politica internazionale o domestica.
Bobby Jindal, presentatosi come candidato alle primarie presidenziali repubblicane, è uscito di corsa quasi subito, da autentico loser, senza mai avere sfiorato il 5 per cento dei consensi. E altrettanto hanno fatto, accompagnati dai frizzi e lazzi del vincitore, tutti i pesi massimi messi in campo dall’establishment repubblicano per contrastare l’ascesa di Trumpenstein, il mostro che andava trangugiandosi il partito: Jeb Bush (“low energy Jeb“), Marco Rubio (“Little Marco“) e da ultimo (un disperato e improbabile ultimo) Ted Cruz. E a Chris Christie, (si, proprio il governatore del New Jersey che aveva coniato il termine carnival barker) è andata anche peggio, visto che è oggi uno dei più intimi e ossequienti collaboratori di Trumpenstein.
Il 31 luglio, sul New York Times, Max Boot, uno storico di chiara fede conservatrice, ha molto chiaramente spiegato come the stupid party created Donald Trump abbia, infine, creato Donald Trump e distrutto il Gop. O più semplicemente: come tutte le più sinistre forze dal Gop nel tempo evocate per conquistare il consenso dell’America bianca – dalla southern strategy di Richard Nixon in coda alla battaglia per i diritti civili, ai chiari sottintesi razzisti della politica reaganiana, piatti sempre serviti in salsa anti-intellettuale – abbiano finito, come nella ballata dell’apprendista stregone (der Zauberlehrling) di Wolfgang Goethe, per rivelarsi una irreversibile condanna.
Donald Trump si è in un solo boccone mangiato quel restava della intelligenza repubblicana, senza nulla risparmiare: dal poco che sopravviveva di Abraham Lincoln al compassionate conservatism, dal neoliberalismo di Milton Friedman all’antistatalismo di Friedrich Von Hayek, dall’esasperato individualismo oggettivista di Ayn Rand, all’ancor vivo e nefasto ricordo dei neocon che accompagnarono gli orrori della guerra infinita di George W. Bush. Tutto il potere agli stupidi, verrebbe da dire, invocando il perdono di Vladimir Ilic Lenin. Ma come è potuto accadere? E come andrà a finire?
Massimo Cavallini
Giornalista
Mondo - 2 Agosto 2016
Usa 2016: Donald Trump, tutto il potere agli stupidi
“We’ve got to stop being the stupid party“, dobbiamo smetterla di essere il partito degli stupidi. Questo disse Bobby Jindal, governatore della Louisiana, durante il tradizionale winter meeting, la riunione d’inverno del Republican National Commitee. Era il 25 gennaio del 2013 e la sonora sconfitta elettorale di Mitt Romney, il candidato repubblicano contrapposto al presidente uscente, Barack Obama, era vecchia d’appena un paio di mesi. Il che inevitabilmente trasformava quell’incontro dello Stato Maggiore del Gop (Grand Old Party) nel primo atto d’un processo di contrizione e revisione. O, più esattamente, come molti scrissero, nella prima puntata di quella che intendeva essere una spietata autopsia del proprio cadavere.
Di che cosa era “morto”, due mesi prima, il Partito Repubblicano? Per l’appunto: “di stupidità” aveva provocatoriamente risposto Bobby Jindal, primo governatore d’origine asiatica nella storia degli Stati Uniti. E, così dicendo, aveva affondato il coltello in quella che non solo lui percepiva, dopo la sconfitta di novembre, come una delle più infette piaghe della politica repubblicana. Vale a dire: l’ostentato antintellettualismo che – in dichiarata contrapposizione ad un ipotetico “establishment cultural-mediatico”, nonché, ovviamente, al vituperatissimo politically correct – era progressivamente divenuto una dei più visibili vessilli del Gop. E che, a sua volta, altro non era che uno dei risvolti della strategia d’un partito rimasto politicamente e demograficamente immobile in un paese che andava profondamente trasformandosi.
Appena tre mesi dopo quella riunione e quello stupid – un auto-insulto che, in realtà, non era che un grido di dolore – il Rnc aveva pubblicato un documento di quasi 100 pagine ufficialmente intitolato Growth and Opportunities Project. Ovvero: il risultato della “autopsia” di cui sopra, essenzialmente basata sull’impietosa analisi statistica dei voti perduti. Chi sono gli elettori che, dopo il 2008, hanno smesso di votare (o hanno scelto di non votare) repubblicano? E perché l’hanno fatto? Lo hanno fatto, rispondeva il rapporto citando una minuziosa inchiesta d’opinione, perché il Grand Old Party veniva da loro percepito come scary, narrow minded, out of touch. Ovvero: come il partito della paura, intellettualmente limitato e distaccato dalla realtà. In sintesi: come il partito degli stuffy old men, dei vecchi ammuffiti. Vecchi, maschi, bianchi e d’assai modesto curriculum scolastico (gli “stupidi”, per l’appunto).
Conclusione: per mantenere qualche seria possibilità di riconquistare la Casa bianca il Gop doveva ripulire la propria immagine ed allargare la propria base elettorale adattandola ad una realtà in rapida trasformazione. Doveva ristabilire, o rendere più visibili, i contatti con le élite intellettuali ed estendere il proprio messaggio a minoranze che, se valutate nel loro complesso, ormai da tempo non sono più tali: donne, latinos, afro-americani, immigrati di ogni origine. Doveva cessare d’essere – per tornare all’appello di Jindal – the stupid party: bianco, maschio e incolto.
Fine del flash-back. Dissolvenza. Giorni nostri. Primo piano sul volto rubizzo di Donald Trump che, dal podio della convention repubblicana di Cleveland, pronuncia il suo discorso d’accettazione della candidatura per il partito repubblicano. Un lungo (75 minuti), rabbioso e divagante rantolo sormontato – tra xenofobi e apocalittici accenti, false statistiche e frottole da circo – da un unico riconoscibile concetto: “I alone can fix it” solo io posso mettere a posto le cose.
Tre anni dopo, quello che il Growth and Opportunities Project ha prodotto è questo: la caricatura di un “uomo della provvidenza”, un candidato che si propone di costruire muri – di vero acciaio e cemento come quello che vuole innalzare, a spese del Messico, lungo la frontiera sud, o metaforici – laddove il progetto repubblicano prevedeva lanciare ponti e tendere mani.
Un maschio settantenne, bianco e incolto oltre immaginazione, che si burla dei disabili, insulta le donne, vuole deportare immigrati e bandire musulmani. Un garrulo e vanitoso carnival barker, un imbonitore da baraccone (come venne molto propriamente definito dal governatore repubblicano del New Jersey, Chris Christie) che, con l’arroganza e la grossolanità d’un bullo di periferia, divide il mondo in winners and losers, vincenti e perdenti, e incorre in sesquipedali errori ogniqualvolta il tema del discorso si sposta dall’esaltazione di sé medesimo a qualunque concreto tema di politica internazionale o domestica.
Bobby Jindal, presentatosi come candidato alle primarie presidenziali repubblicane, è uscito di corsa quasi subito, da autentico loser, senza mai avere sfiorato il 5 per cento dei consensi. E altrettanto hanno fatto, accompagnati dai frizzi e lazzi del vincitore, tutti i pesi massimi messi in campo dall’establishment repubblicano per contrastare l’ascesa di Trumpenstein, il mostro che andava trangugiandosi il partito: Jeb Bush (“low energy Jeb“), Marco Rubio (“Little Marco“) e da ultimo (un disperato e improbabile ultimo) Ted Cruz. E a Chris Christie, (si, proprio il governatore del New Jersey che aveva coniato il termine carnival barker) è andata anche peggio, visto che è oggi uno dei più intimi e ossequienti collaboratori di Trumpenstein.
Il 31 luglio, sul New York Times, Max Boot, uno storico di chiara fede conservatrice, ha molto chiaramente spiegato come the stupid party created Donald Trump abbia, infine, creato Donald Trump e distrutto il Gop. O più semplicemente: come tutte le più sinistre forze dal Gop nel tempo evocate per conquistare il consenso dell’America bianca – dalla southern strategy di Richard Nixon in coda alla battaglia per i diritti civili, ai chiari sottintesi razzisti della politica reaganiana, piatti sempre serviti in salsa anti-intellettuale – abbiano finito, come nella ballata dell’apprendista stregone (der Zauberlehrling) di Wolfgang Goethe, per rivelarsi una irreversibile condanna.
Donald Trump si è in un solo boccone mangiato quel restava della intelligenza repubblicana, senza nulla risparmiare: dal poco che sopravviveva di Abraham Lincoln al compassionate conservatism, dal neoliberalismo di Milton Friedman all’antistatalismo di Friedrich Von Hayek, dall’esasperato individualismo oggettivista di Ayn Rand, all’ancor vivo e nefasto ricordo dei neocon che accompagnarono gli orrori della guerra infinita di George W. Bush. Tutto il potere agli stupidi, verrebbe da dire, invocando il perdono di Vladimir Ilic Lenin. Ma come è potuto accadere? E come andrà a finire?
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Milano, 11 mar. (Adnkronos) - Spike Lee e Adriano Celentano si incontrano a Milano e subito l’ambiente cinematografico, quello televisivo e quello musicale entrano in fibrillazione partorendo mille ipotesi. Per incontrare il regista Usa, Celentano - a quanto apprende l’Adnkronos - ha lasciato la villa di Galbiate e la cosa, sempre più rara, non è passata inosservata. E infatti il motivo era validissimo visto che ad aspettarlo nel capoluogo lombardo c’era il regista newyorkese cult. Riserbo al momento su cosa i due si siano detti e cosa stiano tramando. Forse c’entra il nuovo film del regista americano ‘Highest 2 Lowest’, in uscita in primavera e dato in arrivo al festival di Cannes? Magari la colonna sonora? Si tratta di un thriller poliziesco che è il remake in lingua inglese del film di Akira Kurosawa del 1963 ‘High and Low’. Protagonista è Denzel Washington, alla sua quinta collaborazione con Spike Lee.
Roma, 11 mar. (Adnkronos Salute) - È stato presentato oggi, nel corso di un incontro alla Sala Stampa della Camera dei Deputati, su iniziativa dell’onorevole Simona Loizzo, capogruppo Commissione Affari sociali della Camera, il Manifesto per l’Umanizzazione delle cure in oncologia. Realizzato da Merck, azienda leader in ambito scientifico e tecnologico, in collaborazione con le associazioni di pazienti Ailar, Walce e Palinuro e con i clinici di riferimento in ambito oncologico, il documento è stato siglato da tutti i partecipanti, che hanno sottoscritto l’impegno a promuovere azioni concrete per riportare la persona al centro dell’iter di cura e affrontare lo stigma associato alla malattia. Nonostante i continui progressi della ricerca - si legge in una nota - il cancro continua a colpire milioni di persone, che vedono le proprie vite stravolte dalla patologia e da percorsi terapeutici tanto necessari quanto faticosi dal punto di vista fisico ed emotivo. Ogni anno, in tutto il mondo, vengono effettuate oltre 20 milioni di diagnosi di cancro e le proiezioni prevedono, al 2050, un aumento del 77% dei nuovi casi rispetto al 2022.
Tra le azioni, proposte del Manifesto, per condividere nuovi approcci a sostegno dei pazienti e delle loro famiglie, spicca quella di introdurre percorsi psico-oncologici strutturati e personalizzabili, in continuità con quanto suggerito dal Piano europeo di lotta contro il cancro e dal Piano oncologico nazionale 2023-2027. L’iniziativa prevede di aumentare gli interventi psico-sociali nei reparti di oncologia, al fine di gestire meglio l’impatto emotivo della patologia, che spesso porta i pazienti a sviluppare ansia e depressione, con conseguenze sfavorevoli sulla prognosi complessiva.
"L'umanizzazione delle cure in oncologia è un obiettivo fondamentale per garantire ai pazienti una qualità della vita che vada oltre la semplice cura fisica. L’obiettivo - afferma l’onorevole Loizzo - è quello di inserire all’interno dei percorsi di cura gli stessi pazienti con un ruolo da protagonisti. Non è un caso che abbiamo presentato un emendamento che punta a coinvolgere le associazioni di pazienti nei processi decisionali relativi alle cure, affinché le loro esperienze possano contribuire a un approccio che risponda sempre più ai bisogni ancora insoddisfatti di chi è affetto da queste patologie. Non possiamo infatti dimenticare l'impatto psicologico devastante che una malattia oncologica può avere sulla persona, ed è per questo che è urgente inserire la figura del psico-oncologo nel sistema sanitario, come già proposto dalla nostra legge".
Come ricordato durante l’incontro, per realizzare pienamente l’obiettivo di umanizzazione dei percorsi terapeutici è necessario un rinnovato impegno collettivo a favore della prevenzione, della diagnosi precoce, della presa in carico tempestiva e di un’assistenza olistica. Un simile impegno non può concretizzarsi senza la piena adesione di tutti gli attori, pubblici e privati, del sistema salute.
"Grazie ai notevoli progressi compiuti dalla ricerca, nel giro di pochi anni i pazienti oncologici hanno visto moltiplicarsi le opportunità di guarigione – afferma Ramon Palou de Comasema, presidente e amministratore delegato Healthcare di Merck Italia - Nel portare avanti l’impegno a rispondere ai bisogni ancora insoddisfatti, non va trascurata l’importanza di tutelare il benessere complessivo del paziente, come parte integrante del percorso terapeutico. Il Manifesto per l’Umanizzazione delle cure in oncologia parte proprio da questo presupposto e mira a mettere a punto azioni specifiche e concrete, attuate grazie alla collaborazione di tutti noi firmatari. È un grande impegno - conclude - ed è solo l’inizio di un percorso che vede nel benessere del paziente l’unico, fondamentale obiettivo".
Verona, 11 mar. (Adnkronos) - "Per il primo anno saremo presenti a Monaco di Baviera, alla Fiera Transport Logistics, insieme a Friuli ed Emilia Romagna. Sarà importante portare l’esperienza e quello che stiamo facendo nelle nostre regioni. In Veneto stiamo diventando un laboratorio e uno studio di nuove tecnologie applicate alla mobilità. A Monaco presenteremo tutti i nostri progetti". Così Elisa De Berti, vicepresidente della Regione Veneto e assessore alle infrastrutture, durante l’evento di lancio della partecipazione congiunta di tutti i nodi logistici regionali – sotto la regia della Regione del Veneto – alla prossima fiera Transport Logistics di Monaco.
È stata anche l’occasione per fare il punto sul protocollo logistica nord-est che ha l'obiettivo di migliorare il traffico di merci e persone, anche in vista delle Olimpiadi 2026, implementando e migliorando i collegamenti e la logistica, strumenti fondamentali quali volano dello sviluppo.
“Il protocollo logistica nord-est ha obiettivi molto ambiziosi - prosegue De Berti - mettere attorno a un tavolo a parlare di logistica, infrastrutture e trasporti regioni come Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e le province autonome di Trento e Bolzano. Il primo anno è servito per raccogliere tutte le informazioni e definire lo stato di fatto, ora la presidenza del tavolo è passata al Friuli e si inizierà ad entrare nel merito ragionando sulla pianificazione e fabbisogni della logistica del nord-est. La logistica fattura a livello nazionale più di 100 miliardi di euro, 15 solo nel Triveneto. Un settore davvero importante che può fare la differenza. Il fatturato è importante e incide molto sull’economia di questo territorio”
Verona, 11 mag. (Adnkronos) - "Infrastrutture Venete ha siglato il protocollo logistica nord-est, insieme alle altre due società regionali, l'anno scorso, e gli interporti avevano già sottoscritto il protocollo nel 2022. Siamo entrati come soggetti in grado di garantire l'accessibilità dei nodi di trasporto, che sono appunto rappresentati dagli interporti. Infrastrutture Venete sta operando affinché l'accessibilità attraverso le proprie infrastrutture sia assolutamente garantita e pronta ad accogliere la domanda di mobilità idroviaria". Sono le parole di Alessandra Grosso, direttore generale di Infrastrutture Venete, all’evento di presentazione “La Logistica Veneta al Transport Logistics di Monaco” tenutosi nella prima giornata di LetExpo, la fiera promossa da Alis, in collaborazione con Veronafiere, ormai vero e proprio punto di riferimento nazionale per il settore della logistica e del trasporto sostenibile.
Infrastrutture Venete presenterà domani a LetExpo 2025 “il proprio sistema di automazione delle conche, un'infrastruttura necessaria per la navigazione: attraverso un sistema di progettazione informatica e sistema IoT siamo infatti in grado di movimentare le conche da remoto - spiega Grosso - Parleremo poi anche del processo attraverso il quale, con una piattaforma, riusciamo a governare e monitorare i trasporti lungo le idrovie di nostra competenza. Siamo riferimento delle altre Regioni del sistema idroviario Padano-Veneto nonché poi riferimento di Uni per intercettare e trasferire i dati al Ministero”.
Milano, 11 mar. (Adnkronos) - Spike Lee e Adriano Celentano si incontrano a Milano e subito l’ambiente cinematografico, quello televisivo e quello musicale entrano in fibrillazione partorendo mille ipotesi. Per incontrare il regista Usa, Celentano - a quanto apprende l’Adnkronos - ha lasciato la villa di Galbiate e la cosa, sempre più rara, non è passata inosservata. E infatti il motivo era validissimo visto che ad aspettarlo nel capoluogo lombardo c’era il regista newyorkese cult. Riserbo al momento su cosa i due si siano detti e cosa stiano tramando. Forse c’entra il nuovo film del regista americano ‘Highest 2 Lowest’, in uscita in primavera e dato in arrivo al festival di Cannes? Magari la colonna sonora? Si tratta di un thriller poliziesco che è il remake in lingua inglese del film di Akira Kurosawa del 1963 ‘High and Low’. Protagonista è Denzel Washington, alla sua quinta collaborazione con Spike Lee.
Milano, 11 mar. (Adnkronos) - Spike Lee e Adriano Celentano si incontrano a Milano e subito l’ambiente cinematografico, quello televisivo e quello musicale entrano in fibrillazione partorendo mille ipotesi. Per incontrare il regista Usa, Celentano - a quanto apprende l’Adnkronos - ha lasciato la villa di Galbiate e la cosa, sempre più rara, non è passata inosservata. E infatti il motivo era validissimo visto che ad aspettarlo nel capoluogo lombardo c’era il regista newyorkese cult. Riserbo al momento su cosa i due si siano detti e cosa stiano tramando. Forse c’entra il nuovo film del regista americano ‘Highest 2 Lowest’, in uscita in primavera e dato in arrivo al festival di Cannes? Magari la colonna sonora? Si tratta di un thriller poliziesco che è il remake in lingua inglese del film di Akira Kurosawa del 1963 ‘High and Low’. Protagonista è Denzel Washington, alla sua quinta collaborazione con Spike Lee.
Roma, 11 mar. (Adnkronos) - Sport e Salute e la Fitp hanno presentato oggi al Foro Italico le novità per il site degli Internazionali Bnl d’Italia 2025 che tutti gli appassionati, dal 29 aprile al 18 maggio, si troveranno ad apprezzare per l’82esima edizione, una ‘nuova epoca’ del torneo capitolino, in un’atmosfera unica, all’interno di un site più grande, più bello, più funzionale e ricco di fascino. Quest’anno, infatti, il tennis per la prima volta entrerà nello Stadio dei Marmi. Il suggestivo impianto, intitolato alla leggenda Pietro Mennea, conterà tre campi, due da circa 800 spettatori ed uno da oltre 3000 posti la 'Supertennis Arena', che potrebbe avere la suggestione di abbracciare un’altra leggenda dello sport italiano, Jannik Sinner, il primo azzurro della storia a raggiungere il primo posto del ranking Atp e che proprio a Roma farà il suo ritorno alle competizioni, dopo la squalifica di tre mesi.
Per presentare il nuovo progetto con tutte le grandi novità che renderanno ancor più iconico il colpo d’occhio dello splendido parco del Foro Italico, si è tenuta la conferenza stampa alla presenza di Angelo Binaghi (Presidente della Federazione Italiana Tennis e Padel), Marco Mezzaroma (Presidente di Sport e Salute), Andrea Abodi (Ministro per lo Sport e i Giovani), Francesco Rocca (Presidente della Regione Lazio) e Alessandro Onorato (Assessore al Turismo, Grandi Eventi, Sport e Moda del Comune di Roma).
“Quello del Foro Italico era come se fosse un foglio bianco, e un team straordinario con l’ad Diego Nepi, alla guida, ha ridisegnato il Foro Italico del presente e del futuro. Da 10 ettari abbiamo portato il site a 20 ettari. Fino ad oggi poteva contenere circa 33 mila persone, mentre da quest'anno saranno 55 mila. Avremo 34.500 posti a sedere, ben 7500 in più del 2024. Inoltre nel 2025 avremo 21 campi (9 campi da gioco e 12 da allenamento) con 4 campi in più rispetto allo scorso anno", ha sottolineato Mezzaroma.
“Quest’anno puntiamo ad arrivare alle 400mila presenze pagarti e vorremmo superare la soglia di un miliardo di euro di impatto economico sul territorio, nel giro di due o tre anni”, ha aggiunto Binaghi che ha parlato anche di futuro, "Quinto Slam a Roma? La nostra sfida è crescere, abbiate pazienza. Noi secondi dietro il calcio e dietro i grandi Slam non ci vogliamo rimanere a vita. Come Sinner, vogliamo provare ad arrivare in vetta, questo è l'obiettivo. Siamo campioni del mondo nel tennis a squadre, abbiamo il numero uno e dobbiamo essere curiosi e legittimamente ambiziosi, accompagnati per mano dal Governo", ha proseguito il numero uno della Fitp che su Sinner ha poi detto "tre mesi sono il giusto vantaggio che un grande campione come lui doveva dare al resto del mondo. Io non lo disturbo e le uniche volte che Sinner mi chiama sta per succedere un disastro mondiale. Lui aiuta moltissimo il tennis italiano nel processo di crescita e noi lo aiutiamo a essere il campione di uno sport sano, pulito e vincente. La nostra sfida è crescere".
Mentre il ministro Abodi ha sottolineato come "il Foro Italico, è un'eredità del '900, ma da sempre è stato un luogo generoso e se prima era intermittente, oggi offre un palinsesto quotidiano. Qui si celebra lo sport in tutte le sue dimensioni. E' un luogo dell'intrattenimento in senso generale, un luogo di socialità, che diventerà molto facilmente un luogo di destinazione. E c'è ancora margine di miglioramento e non è una logica di gigantismo, ma di opportunità". Poi il ministro per lo sport ha poi concluso: "Invito tutte le altre realtà sportive a prendere la Federtennis come esempio. Non bisogna mai sovrastare o subire gli altri, ci deve essere un miglioramento che sia sistematico".
Tornando sul nuovo site, insieme al Campo Centrale, alla Grand Stand Arena e al ‘Pietrangeli’, la SuperTennis Arena rappresenterà, dunque, uno dei quattro show court del torneo. In totale ci saranno 9 campi da gioco e 12 campi per gli allenamenti dei campioni e delle campionesse attesi al via; menzione speciale, tra quelli riservati alla preparazione, per i due allestiti lungo il Tevere, all’ombra del Ponte della Musica. Il pubblico, che per la prima volta potrà accedere all’impianto direttamente dal suggestivo Viale dell’Impero, che unisce l’Obelisco alla Fontana della Sfera, beneficerà anche di un Fan Village totalmente rinnovato, con spazi e facilities che contribuiranno a rendere indimenticabile l’experience-IBI in questo 2025. La zona delle piscine, riservata anche quest’anno ai giocatori e alle loro squadre, sarà nuovamente collegata al Centrale attraverso quella suggestiva passerella rappresentata dal ponte sospeso. Il progetto e le ‘rivoluzionarie’ novità del site -che passa così da 12 a 20 ettari per soddisfare la sempre più crescente voglia di tennis - rappresentano un doveroso omaggio della città e degli organizzatori per gli storici risultati che i campioni azzurri hanno raccolto nelle ultime stagioni.