Alex Schwazer non marcerà ai Giochi di Rio de Janeiro 2016, la sua carriera è praticamente finita: il Tas lo ha squalificato per altri 8 anni per la positività al testosterone in un controllo a sorpresa lo scorso primo gennaio. Ha avuto ragione la Iaaf, la Federazione internazionale di atletica leggera, che aveva chiesto esattamente questo tipo di sanzione per la recidiva dell’atleta altoatesino. Hanno avuto torto lui e il suo allenatore Sandro Donati, paladino dell’antidoping, che per tutti gli ultimi due mesi avevano gridato al complotto. Invano.
Il Tas si è preso tutto il tempo possibile e immaginabile per esprimersi su uno dei più controversi casi di doping della storia dello sport moderno. Se fosse stato scagionato e riabilitato, Schwazer sarebbe stato in gara già il 12 agosto nella 20 chilometri di marcia. Ma non andrà così. Dopo la sospensione da parte della Iaaf, il Tas aveva deciso di esprimersi direttamente sul merito della questione e di non concedere una sospensiva d’urgenza: troppo pericoloso far gareggiare un atleta da medaglia col rischio di vederlo squalificato subito dopo una vittoria imbarazzante ai Giochi. Così l’udienza era stata fissata direttamente a Rio de Janeiro, con l’atleta partito per le Olimpiadi senza la certezza di partecipare. Il prolungarsi della camera di consiglio aveva fatto sperare il marciatore in un possibile verdetto a sorpresa. Invece i tre periti (uno nominato dalla difesa, uno dall’accusa, più il presidente) hanno confermato la colpevolezza di Schwazer, accogliendo la pesante richiesta della Iaaf e di fatto ponendo fine alla sua carriera.
“Sono distrutto” l’unico commento del marciatore. Per lui parla Sandro Donati, il suo tecnico paladino della lotta al doping che in questo progetto ci ha messo la faccia. “È gravissimo che la Iaaf abbia fatto il bello e il cattivo tempo in questo procedimento fino ad arrivare a questa incredibile trasvolata oceanica che mi sa tanto di una beffa studiata per umiliare Alex e chi gli sta accanto – dice – Laddove questo atleta di grande talento sarebbe venuto a conquistare dei risultati, invece deve prendere la mannaia sulla testa”.
Evidentemente la strategia dei legali dell’olimpionico di Pechino 2008 non ha fatto breccia nelle maglie dell’accusa, che aveva dalla sua una prova difficile da confutare: la presenza di testosterone di natura esogena (ovvero non riconducibile alla produzione naturale dell’organismo) nelle urine dell’atleta. Poco importa che quello stesso campione, esaminato una prima volta, non aveva dato alcun esito, e che per trovare qualcosa di illegale era stato necessario ritestarlo a distanza di mesi. La difesa ha provato a far leva sulle tante irregolarità procedurali del controllo, a partire dalla violazione dei principi di anonimato (sulla provetta era indicato il luogo di provenienza, il comune di Racines, residenza di Schwazer). E poi sull’incongruenza della positività per valori minimi ad una sostanza che non è stata riscontrata in nessuno degli altri venti test a cui era stato sottoposto da organi diversi negli ultimi nove mesi . Ma non è riuscita a fornire una fornire una spiegazione credibile di come quel testosterone fosse finito nel corpo dell’atleta.
Donati e Schwazer hanno più volte agitato lo spettro del complotto: per la storia personale del professore, che ha lottato per decenni contro i vertici corrotti delle istituzioni ; e per le denunce del marciatore, che hanno contribuito ad innescare la grande inchiesta sul doping di Stato della Russia e sulla compromissione della Wada. Ma il Tas ha stabilito che Alex Schwazer, già trovato positivo prima dei Giochi di Londra 2012, e di nuovo in vista del suo gran ritorno a quelli di Rio 2016 , è uno dei più grandi dopati di tutti i tempi. E per questo non dovrà più gareggiare. Né all’Olimpiadi, né mai. È una sentenza. È l’unica verità a disposizione su una vicenda che chissà se sarà mai del tutto chiara.
Aggiornato da redazione web alle 10.28