Esportazioni in calo e inflazione che non accenna a risalire. I nuovi dati sul mese in arrivo dall’Istat non sono un buon viatico per l’andamento del pil nel secondo trimestre dell’anno, su cui l’istituto di statistica diffonderà venerdì una stima preliminare. Del resto già la settimana scorsa la notizia della pessima performance (-0,4%) della produzione industriale di giugno aveva reso evidente che si prefigura un rallentamento della crescita anche rispetto al risicato +0,3% dei primi tre mesi 2016, E a fine luglio lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto di attendersi per il periodo aprile-giugno un progresso compreso tra +0,1 e +0,2%, inferiore alle previsioni iniziali che erano di un +0,4%, e ha annunciato che a settembre nella nota di aggiornamento al Def la stima sull’intero 2016 sarà rivista rispetto all’attuale +1,2%.
Ora l’Istat ha reso noto che l’export a giugno è calato dello 0,4% rispetto a maggio e dello 0,5% se il confronto è con giugno 2015. Questo per effetto di una riduzione dello 0,9% delle vendite negli altri Paesi Ue, mentre quelle extra Ue sono salite ma solo dello 0,3%. L’unico segnale positivo è che nel complesso il secondo trimestre ha visto l’export aumentare rispetto ai tre mesi precedenti: +2,4%.
Quanto al livello dei prezzi, in luglio l’indice nazionale di quelli al consumo ha registrato un calo dello 0,1% su base annua, anche se su base mensile c’è stata una lieve ripresa (+0,2%) soprattutto, si legge nella nota Istat, grazie all’accelerazione degli alimentari non lavorati (+1,5%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,8%) e dei trasporti (+0,7%), mentre si è ridotto il calo dei beni energetici regolamentati (-5,9% dal -6,8% di giugno). I prezzi di questi ultimi però continuano a perdere terreno rispetto all’anno scorso (-7% a luglio), il che spiega perché l’inflazione non rialzi la testa. Al netto degli energetici sarebbe positiva: +0,6% anno su anno. Così stando le cose, l’inflazione acquisita per il 2016 è pari a -0,1% contro il -0,2% di giugno.
I nuovi dati arrivano nel giorno in cui il Financial Times dedica un’altra allarmata analisi al “futuro economico e politico” dell’Italia, sottolineando che dietro la montagna dei crediti deteriorati che zavorrano i conti delle banche c’è “un problema più grave: la persistente mancanza di crescita dell’economia”, con il Fondo monetario che “stima che non tornerà ai livelli pre crisi prima del 2025″.