La crescita italiana non si è limitata a rallentare, come gli ultimi dati Istat su produzione industriale e esportazioni facevano presagire, ma si è del tutto fermata. Nel secondo trimestre, stando alla stima preliminare diffusa venerdì mattina dall’istituto di statistica, il pil corretto per gli effetti del calendario è infatti rimasto al palo: +0%. Peggio di quanto temeva il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che il 27 luglio aveva ammesso la frenata ma aveva detto di attendersi un “+0,1/+0,2%”. Preoccupa soprattutto il fatto che dietro la variazione nulla c’è un calo del valore aggiunto dell’industria, mentre agricoltura e servizi hanno tenuto. La battuta d’arresto, dopo il risicato +0,3% dei primi tre mesi, arriva peraltro mentre il resto della Ue rallenta ma non inchioda, mettendo a segno un +0,4% contro il +0,5% del primo trimestre, e l’Eurozona vede il pil progredire dello 0,3% a fronte del +0,6% dei primi mesi dell’anno. Bene la Germania, che ha registrato un +0,4%, sopra le attese degli analisti che si aspettavano un +0,2%, e il Regno Unito a +0,6 per cento. Ferma come Roma, invece, Parigi.
Di fronte al brusco stop, il governo Renzi dovrà necessariamente tagliare le stime di crescita sull’intero 2016 contenute nel Def, che erano di un +1,2%. Ora “siamo per quanto concerne la dimensione annuale decisamente sotto l’1%“, ha anticipato il viceministro Enrico Morando. Per ora comunque il Tesoro si è limitato a diffondere una nota di commento che getta acqua sul fuoco spiegando che “il dato di oggi non costituisce una sorpresa” e dipende dai “fattori di rischio geopolitico che hanno un impatto negativo sulla crescita italiana, tra cui minaccia del terrorismo, crisi dei migranti, Brexit”, oltre che dalla “propensione al protezionismo che sembra riemergere in alcuni contesti”.
“In calo il valore aggiunto dell’industria” – La variazione acquisita per quest’anno, ovvero la crescita che si registrerebbe se nei prossimi mesi ci fosse una variazione congiunturale nulla, è secondo l’Istat dello 0,6%. Nel 2015, come è noto, l’Italia è cresciuta dello 0,6% (dato corretto per gli effetti del calendario), risultato di performance decrescenti di mese in mese: +0,4% nel primo trimestre, +0,3 nel secondo, +0,2 nel terzo e +0,1 nel quarto. Tornando al dato del secondo trimestre 2016, quel +0% è “la sintesi di un aumento del valore aggiunto nei comparti dell’agricoltura e dei servizi e di una diminuzione in quello dell’industria. Dal lato della domanda, vi è un lieve contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), compensato da un apporto positivo della componente estera netta”. Il progresso rispetto allo stesso periodo del 2015 è stato dello 0,7%.
L’analisi di Nomisma: “Confermate le difficoltà di lungo periodo dell’Italia. Si riduce lo spazio per una manovra espansiva” – “In un panorama economico internazionale che si è fatto più complicato, l’Italia conferma le sue difficoltà di lungo periodo”, commenta Andrea Goldstein, managing director di Nomisma, facendo notare che preoccupa sopratutto il calo del valore aggiunto dell’industria, mentre dal lato della domanda il contributo della componente nazionale è lievemente negativo. Per l’ennesima volta, insomma, a tenere è solo la componente estera netta, favorita però soprattutto dal prezzo ancora debole dell’energia. In questo quadro, secondo il centro studi bolognese, si riduce ulteriormente lo spazio per varare una manovra espansiva in autunno e “non c’è alternativa a una politica economica nel segno delle misure strutturali e del recupero della competitività erosa da troppi anni di timidezza”.
La Germania meglio delle attese. Parigi ferma come Roma – Sempre venerdì sono stati resi noti anche i numeri sulla crescita tedesca, francese, inglese e statunitense. La performance della Germania tra aprile è giugno è stata del +0,4%, superiore alle attese anche se in netto calo rispetto al +0,7% del trimestre precedente. Su base annua il dato corretto rispetto all’inflazione è aumentato del 3,1%, il miglior risultato degli ultimi 5 anni. A spingere l’economia, spiega l’istituto di statistica nazionale tedesco Destatis, sono stati il saldo tra importazioni ed esportazioni, i consumi delle famiglie e la spesa pubblica. Per contro, la debolezza degli investimenti ha influito negativamente sul dato finale.
Il Regno Unito mette a segno un +0,6% nel trimestre culminato con la Brexit – Nel trimestre che si è concluso con il referendum sulla Brexit ha fatto meglio il Regno Unito, con un +0,6%. Crescita zero, come per l’Italia, in Francia, duramente colpita dalle conseguenze degli attentati terroristici. Gli Stati Uniti hanno invece registrato un +0,3%. In termini tendenziali, cioè rispetto allo stesso periodo del 2015, si è registrato un aumento del 2,2% nel Regno Unito, dell’1,4% in Francia e dell’1,2% negli Stati Uniti.
Eurozona più lenta dell’intera Ue – Nel complesso, il pil dei Paesi Ue nel secondo trimestre è aumentato dello 0,4% contro il +0,5% dei primi tre mesi, mentre quello dell’Eurozona dello 0,3% rispetto al trimestre precedente quando il progresso era stato dello 0,6%. Rispetto allo stesso periodo del 2015, la crescita è stata dell’1,6% nell’area euro e dell’1,8% per l’Unione a 28.