Vendite al dettaglio in aumento, disoccupazione ai minimi dal 2005, boom in borsa per le piccole aziende favorite dalla sterlina debole. I dati economici in arrivo dal Regno Unito dopo il voto sulla Brexit smentiscono, in apparenza, le fosche previsioni della vigilia sulle conseguenze dell’uscita di Londra dall’Unione europea. Ma occorre tener presente che il Paese deve ancora avviare i negoziati con Bruxelles per il divorzio vero e proprio, che potrebbe essere rinviato fino al 2019 rimandando l’attivazione dell’articolo 50 dei Trattati. E che la Bank of England ha già rivisto al ribasso le previsioni di crescita per l’anno prossimo. Quanto al mercato del lavoro, secondo la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “sarà inevitabile un abbassamento delle tutele ad esempio in materia di flessibilità, part time, contratti a termine, trasferimenti di azienda e orario di lavoro”, visto che “gran parte della normativa sul tema deriva direttamente e indirettamente da direttive comunitarie“. E le prospettive future del mercato azionario, fanno presente gli analisti, sono tutt’altro che chiare.

Insomma, nel lungo periodo le conseguenze negative – più o meno gravi a seconda di come finiranno le trattative con la Ue sui principali dossier – si faranno sentire. Ma in questa fase di limbo la Gran Bretagna si gode gli effetti positivi della valuta debole sul turismo e sulle vendite delle sue aziende all’estero. L’agenzia Bloomberg dà conto martedì del rally dell’indice delle small-cap, le aziende più piccole tra quelle quotate alla borsa di Londra: è salito del 4,1% dal momento del voto. Con performance particolarmente brillanti per quelle che esportano molto come il produttore di componenti elettronici Premier Farnell e il fornitore di ferro e minerali Ferrexpo Plc, che ha guadagnato più del 150% dopo che Fitch ne ha aumentato il rating.

“Queste aziende possono derivare fino al 50% del fatturato da vendite fuori dalla Gran Bretagna”, commenta Guy Anderson, di Jp Morgan Asset Management. “Per questo beneficiano del pound debole”. Nel 2016 le loro valutazioni sono salite del 3,7%, rispetto al +2,5% del Ftse 250 che raccoglie le medie aziende. Tuttavia, prosegue Anderson parlando con Bloomberg, “gli effetti economici del voto sono ancora poco chiari e le azioni delle aziende inglesi sono a rischio per il futuro”. I titoli delle società immobiliari hanno già iniziato a perdere terreno a fronte della previsione che il boom del mercato londinese sia ormai terminato.

Quanto alla disoccupazione, difficile cantar vittoria visto che gli ultimi dati dell’Ufficio nazionale di statistica – tasso in calo al 4,9% dal 5,6% dello stesso periodo dell’anno prima e dal 5,1% del trimestre precedente – si riferiscono ai tre mesi da aprile a giugno e il referendum si è tenuto il 23 giugno. Positivo il calo delle richieste di sussidi di disoccupazione a luglio: sono state 8.600 in meno rispetto al mese precedente e il totale è sceso a 763.600. Tuttavia, ammoniscono i Consulenti del lavoro in un’analisi diffusa da Labitalia, la Brexit rischia di avere pesanti “ripercussioni sulla parità di trattamento retributivo e sociale e sul sistema di protezione sociale del lavoro somministrato”, mentre “i lavori autonomi subiranno effetti tragici circa l’inapplicabilità di tutti i sistemi di scambio e reciproco riconoscimento quali il passaporto delle qualifiche, la direttiva servizi, le regolamentazioni comuni per le libere professioni improntate al principio della proporzionalità delle normative professionali in relazione agli obiettivi di interesse generale”.

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