Domenica sera a Kirkuk, in Iraq, un ragazzino con la maglia del Barcellona era stato stato bloccato dalla polizia poco prima che si facesse saltare in aria con una cintura esplosiva. Oggi la notizia della morte del fratello, che è invece riuscito a portare a termine l’attacco suicida: si era fatto saltare in aria un’ora prima in una moschea sciita, riuscendo solo a ferire due persone. Lo ha detto il comando della polizia locale, affermando che i due ragazzi erano stati “addestrati e incoraggiati dal padre a compiere azioni suicide”. Il ragazzo arrestato ha 15 anni ed è originario di Mosul. Non si conosce invece l’età del fratello. Il ragazzino arrestato ha detto di essere stato “rapito, sedato e costretto” a compiere un attentato suicida da parte dell’Isis. Lo ha riferito l’ispettore generale della polizia di Kirkuk, il colonnello Arkan Hamad Latif, che ha anche reso noto il nome dell’adolescente, originario di Mosul.
Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia ha spiegato che i minori vengono utilizzati sempre più spesso per compiere attentati terroristici “sono bambini e bambine costretti a farsi saltare in aria da uomini senza scrupoli con un telecomando in mano. Si tratta quasi sempre di bambini rapiti alle famiglie di origine e consegnati alle organizzazioni terroristiche” e per questo è improprio definirli “baby-kamikaze”. Il fenomeno dei minori utilizzati per compiere attentati “è emerso già da un paio d’anni e ultimamente va diffondendosi. I casi più eclatanti ci sono stati in Nigeria, dove Boko Haram costringe spesso le bambine a compiere gli attacchi, ma sono stati registrati casi del genere anche in Siria e nello Yemen. Sono bimbi indotti all’azione terroristica sotto l’effetto di droghe o in conseguenza di pressioni psicologiche e minacce”.