Entro il 30 settembre Telecom Italia ufficializzerà l’addio al progetto del nuovo quartier generale che sarebbe dovuto nascere a Roma nelle “torri Ligini” del quartiere Eur. Alla base del tramonto del piano, voluto dall’ex amministratore delegato Marco Patuano e mai piaciuto all’attuale numero uno Flavio Cattaneo, c’è la revoca del permesso di costruzione decisa a fine luglio dal Comune di Roma.
La giunta di Virginia Raggi ha revocato il permesso – concesso nel dicembre 2015 dal predecessore Ignazio Marino – alla luce delle indagini della procura capitolina sugli oneri di concessione troppo bassi versati da Alfiere, la joint venture tra Telecom e Cdp immobiliare che avrebbe dovuto costruire la nuova sede del gruppo delle tlc. Stando a quanto emerso dall’inchiesta, che coinvolge 12 ex assessori della giunta Alemanno, Alfiere ha pagato solo 1 milione contro i 24 dovuti per ottenere in concessione i cinque edifici costruiti negli anni Cinquanta ed ex sede del ministero delle Finanze.
Il progetto era stato presentato lo scorso 13 gennaio da Patuano, secondo cui il trasferimento di 5mila dipendenti nelle “torri Tim” e la complessiva razionalizzazione del patrimonio immobiliare del gruppo avrebbe consentito risparmi “per 150-200 milioni annui dal 2018”. Già nel maggio 2015 Cattaneo, all’epoca consigliere di amministrazione (nonché presidente di Domus, la controllata del gruppo Caltagirone attiva nell’immobiliare), aveva però contestato la decisione ottenendo dal presidente Giuseppe Recchi la convocazione di un cda ad hoc.
In quella fase, e anche dopo l’insediamento di Cattaneo come ad nel marzo di quest’anno, la marcia indietro sarebbe però stata troppo costosa visto che il contratto firmato da Telecom e Cassa depositi e prestiti, che controlla il 100% di Cdp Immobiliare, impone all’ex monopolista penali per 180 milioni in caso di inadempienza. Ora però la revoca dell’autorizzazione fa scattare una delle condizioni sospensive del contratto e consente di sciogliere la jv senza costi.