Attualità

Enrico Mentana, l’invenzione del neologismo “webete” piace a tutti. Soprattutto a Twitter (che per Chicco è pieno di webeti)

di Domenico Naso

A Enrico Mentana non basta vincere: preferisce trionfare. Il direttore del Tg La7, già eroe universalmente riconosciuto per il modo in cui utilizza i social network, ieri ne ha fatta un’altra delle sue, facendo, come si dice insopportabilmente in questi casi, “impazzire il Web”. Il giornalista, impegnato come sempre a rispondere a tono ai commentatori della sua pagina Facebook, ha di fatto coniato un nuovo vocabolo (ad onor del vero, secondo alcuni esisteva già): “webete”, vale a dire l’ebete del web.

Lo ha fatto replicando all’ennesimo commento “benaltrista”, che metteva insieme terremoto, banche e immigrazione, in pieno stile social-populista: “Lei pensa che il prossimo le sia simile. – ha sibilato Chicco Mentana – Ma non c’è distanza maggiore che tra il virtuoso e il virtuale: eppure per lei se uno non grufola contro gli invasori è un fake. Lei è un webete”. Inutile dire che è venuto giù il web, roba da 92 minuti di applausi di fantozziana memoria, con Mentana portato in trionfo tra i meandri dei social network come la Madonna Pellegrina, simbolo del trionfo della ragione sulla pancia.

Secondo molti, Mentana è la risposta over 60 al piccolo Matteo, che qualche tempo fa aveva coniato l’abusato “petaloso”, segnalandolo all’Accademia della Crusca. E ieri in tanti hanno cinguettato all’account Twitter dell’Accademia per segnalare “webete”, il contributo alla lingua italiana del Mitraglia. Dalla Crusca, però, ormai non sanno più come ripetere che non tocca a loro apporre il bollino del neologismo sui termini proposti, ma agli italiani stessi, che con l’utilizzo del vocabolo di fatto lo assimilano nella lingua italiana e gli spalancano le porte del dizionario. La cosa assurda, ma forse neanche tanto, è che a esaltare Mentana è stato soprattutto Twitter, cioè lo stesso social che il giornalista aveva polemicamente abbandonato tempo fa proprio perché pieno zeppo di “webeti”.

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