La Spagna resta senza governo. Il Congresso dei deputati ha negato anche questa volta la fiducia al presidente incaricato Mariano Rajoy. Il risultato finale è stato di 180 voti contrari e 170 favorevoli. Per formare un governo Rajoy avrebbe avuto bisogno di 176 voti (gli eletti in Parlamento sono in tutto 350). L’esito era nell’aria: il leader del Partido Popular poteva contare sul sostegno dei suoi, di Ciudadanos guidato da Alberto Rivera e di Coalición Canaria, un partitino locale. La presidente del congresso, Ana Pastor, ha convocato una nuova seduta per venerdì, dove Rajoy può cercare una maggioranza semplice e non assoluta. Ma il risultato di oggi non lascia speranze all’ennesimo tentativo del presidente del gobierno in ordinaria amministrazione da oltre 8 mesi. ha comunque bisogno di un voto in più delle opposizioni e nessun partito – tra questi – sembra intenzionato a cambiare in due giorni quello che non è cambiato in settimane di trattative, consultazioni, incontri bilaterali.
A votare no sono state tutte le forze politiche di sinistra e centrosinistra, nazionali e regionali. Compresi il Partito socialista e Podemos. “Esiste un’alternativa alla continuità e al degrado” ha detto tra gli altri Gaspar Llamazares, deputato di Izquierda Unida, che alle ultime elezioni ha corso in una lista unica con Podemos. In realtà l’eventuale alternativa tarda ad arrivare. Pedro Sànchez, segretario dei socialisti del Psoe, e Pablo Iglesias, guida di Podemos, in questi mesi hanno dimostrato spesso di non riuscire a comunicare tra loro. Sànchez e Iglesias, invece, sono stati uniti nel voto contrario a Rajoy che d’altra parte viene visto come l’uomo dell’austerità, dei tagli a sanità e scuola, dell’altissima disoccupazione, leader di un partito coinvolto spesso in inchieste per corruzione. “La Spagna ha bisogno di un governo, ma non di un cattivo governo”, ha detto in aula Sànchez, confermando il voto contrario dei suoi 85 deputati, insieme ai 71 di Podemos-Izquierda Unida e i 24 indipendentisti e nazionalisti catalani.
“Sembra che un’altra tornata elettorale è l’opzione che alcuni pretendono” commenta sarcastica Soraya Sáenz de Santamaría, vicepresidente del governo. L’ipotesi più accreditata, infatti, è che l’unica via d’uscita da questa impasse che dura dal 23 dicembre sia che re Felipe VI mandi gli spagnoli a votare per la terza volta in un anno. La prima volta è stata appunto il 23 dicembre, alla scadenza naturale del mandato di Rajoy. Ma ne uscì un Congresso frammentato, almeno in quattro tronconi: il Pp, il Psoe, Podemos e Ciudadanos, gli ultimi due movimenti “di rottura” con i partiti tradizionali e al primo test elettorale nazionale. I popolari erano ancora primo partito, ma senza alleati per arrivare a un numero sufficiente per formare la maggioranza. Tanto che El Paìs titolò un editoriale così: “Benvenuti in Italia”. E il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi prese ad esempio proprio la situazione di paralisi in Spagna per benedire una volta di più l’Italicum, la legge elettorale, perché prevede un ballottaggio. Così la Spagna è dovuta tornare al voto il 26 giugno, ma il risultato è stato quasi identico, con il Pp che ha incrementato del 5 per cento i propri voti, ma ancora senza maggioranza. Per le altre forze politiche principali variazioni solo per qualche decimo percentuale. E oggi il Congresso ha scattato di nuovo la foto di quel voto.
Dopo l’eventuale secondo no del Congresso, venerdì, re Felipe VI aspetterà due mesi per vedere se – con un colpo di scena – si possa trovare una maggioranza che sostenga un esecutivo. C’è l’ipotesi – remota – che l’atteggiamento intransigente del Psoe possa “flettersi” dopo le elezioni regionali nel Paese Basco e in Galizia (regione di Rajoy, che è di Santiago di Compostela) Ma allo scadere dei due mesi, senza una maggioranza, non ci sarà altra opzione del nuovo voto nazionale. Secondo alcuni retroscena dei giornali una data possibile potrebbe essere il giorno di Natale.