Smantellare pezzo per pezzo gruppi industriali decotti e ricostruirli pezzo per pezzo all’estero, in Bulgaria. Per riconsegnarli intatti nelle mani dei proprietari originali, previa intestazione a una rete di prestanome, senza passare attraverso rischiose procedure fallimentari. Alla faccia dei creditori, destinati così a restare a bocca asciutta che siano dipendenti, banche, fornitori o il fisco, beffato due volte: dalle aziende e dai loro proprietari. Ma soprattutto beffata, grazie al trasferimento all’estero e a un vuoto normativo comunitario, la legge che punisce il reato di bancarotta fraudolenta e tutti gli altri ad esso connessi.
Il servizio chiavi in mano per aggirare creditori e bancarotta fraudolenta – Il business ricalca il modello del contrabbando di auto rubate. Ma la sua domanda, contrariamente a quella per le quattro ruote, è cresciuta esponenzialmente con la crisi, visti gli oltre 80mila fallimenti d’impresa registrati in Italia tra il 2010 e il 2015 (dati Cerved). A tentare di svilupparlo in tutta Italia ci hanno pensato il commercialista spezzino Vittorio Petricciola e il conterraneo Roberto Piras, pregiudicato “dedito al contrabbando di t.l.r. fin dagli anni settanta specializzatosi – in seguito – nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti, da sempre ritenuto vicino ad ambienti della criminalità mafiosa di matrice calabrese”, come si legge nell’ordinanza che ne ha disposto l’arresto eseguita giovedì 1 settembre all’alba. I due, secondo la Procura di Piacenza, hanno promosso un’associazione a delinquere che ha testato il servizio chiavi in mano sul travagliato gruppo Dorini di Piacenza, tra il resto primo concessionario italiano dei veicoli commerciali Volvo oltre che sviluppatore immobiliare, con creditori insinuati ai passivi delle varie aziende del gruppo per circa 60 milioni di euro e quasi 100 milioni di euro di proprietà da mettere in salvo. Anche per consentire all’omonima famiglia e, in particolare, all’erede maschio Pierangelo, di continuare a mantenere un più che agiato stile di vita fino ad allora finanziato direttamente dalle casse aziendali come dimostra il flusso di denaro distratto, secondo l’accusa, per pagare le rate del leasing di un appartamento di 200 metri quadri in corso Venezia a Milano “dove abita Berlusconi, la figlia”. Una piccola parte del totale contando anche la casa di Montecarlo e le spese vive, come lamenta il patriarca Angelo Dorini parlando con la moglie Carmen Grillo intercettato dagli inquirenti: “Scusami lui ha 10mila euro al mese o dodici da pagare a Montecarlo, ascoltami sette, otto, diecimila al mese li spende al bar, ristorante e sono ventimila, lui ha bisogno di ventimila euro tutti i mesi, dove li va a prendere, più ha quattordicimila euro al mese per pagare la casa … sono altri quattordici, lui ha bisogno di 35mila euro al mese, dove li prende, dove li prende, e continua ad andare a fare trappole. Poi lui adesso ha venduto quei 78 appartamenti che gli ha rubati a Giardi, lo so, li ha venduti ma c’è su un mutuo da due milioni e mezzo di euro da pagare e non gli abbiamo dato niente ecco perché … i 78 appartamenti lui li ha girati, ha fatto un giro con Montecarlo, non so, ma anche lì ha fatto delle firme false, adesso poi lo arrestano”, conclude. Trascurando il fatto che secondo il suo contabile una delle società del gruppo non può pagare i contributi dei dipendenti perché costretta a pagare i viaggi di famiglia all’agenzia Viaggi dello Zodiaco. O che lui stesso ha percepito da alcune aziende di famiglia in decozione emolumenti ritenuti dagli inquirenti sproporzionati rispetto alla situazione aziendale e ingiustificati, tanto da essere considerate “delle vere e proprie distrazioni”.
L’inchiesta della Procura di Piacenza e gli arresti – Con l’avvicinarsi della conclusione del lavoro, la “procedura” con la sua articolata rete di prestatori d’opera, è stata ritenuta sufficientemente collaudata dai suoi ideatori che, rileva ancora l’ordinanza, fatti i debiti aggiustamenti e correzioni, l’hanno esportata nel milanese offrendola alla Giemmebi 2000, società di Giovanni Benazzo specializzata nella lavorazione e la tornitura di materie prime oberata da 4,5 milioni di debiti e trasferita in Bulgaria a fine 2015. Ma l’obiettivo, secondo la ricostruzione dei pm, è di cavalcare l’onda lunga della crisi delle imprese italiane in ginocchio estendendo il servizio anche a Parma, a Firenze, a Torino e a Genova. Il sogno si è infranto contro la barriera della Procura di Piacenza che, dopo quasi un anno di indagini coordinate dal pm Roberto Fontana innescate da una segnalazione della Dia di Genova, ha svelato tutte le maglie della rete costituita da prestanome e collaboratori in Italia e all’estero e arricchita da professionisti e curatori fallimentari ritenuti compiacenti dagli inquirenti, oltre ad esponenti delle forze dell’ordine e banchieri che si sono spesi per i Dorini, famiglia di imprenditori piacentini il cui nome era uscito anche nell’ambito dell’inchiesta su Banca Etruria, per via di alcuni prestiti dell’istituto aretino a imprese del gruppo oggetto di una perquisizione del gennaio scorso. In manette sono finite otto persone: Angelo e Pierangelo Dorini, Carmen Grillo (domiciliari), Vittorio Petricciola, Roberto Piras, Pierpaolo Zambella, Giuseppe Fago e Gian Marco Govi. Quattordici, invece, i denunciati a piede libero. Disposto, poi, il sequestro di una lunga lista di beni mobili e immobili oltre alla somma di 739mila euro, per un controvalore complessivo di circa 150 milioni. Le accuse per gli indagati vanno dalla bancarotta fraudolenta al riciclaggio passando per il trasferimento fraudolento di valori e l’associazione a delinquere.
Il metodo Petricciola: “Se la vuoi fare è così, se no te la prendi nel culo, fallisci in Italia” – Dettagliatissimo il quadro tracciato dalle oltre 500 pagine di ordinanza firmata dal gip Giuseppe Bersani. Dove si ricostruisce lo schema operativo seguito dal “gruppo” efficacemente sintetizzato dal suo ideatore (“se la vuoi fare è così, se no te la prendi nel culo, fallisci in Italia”) che con l’evolversi del caso Dorini stila una “monografia” da utilizzare per il futuro. Innanzitutto c’è la vendita del prodotto, ovvero la proposta ai soci e agli amministratori di società decotte di una soluzione globale alternativa alle soluzioni legali per la composizione della crisi d’impresa e che prevede lo svuotamento patrimoniale completo delle società, la conservazione dei beni in capo ai soci mediante intestazione fittizia a soggetti di fiducia e il trasferimento delle società, private di ogni attività, in Bulgaria per impedire la dichiarazione di fallimento in Italia e il conseguente esercizio dell’azione penale per il reato di bancarotta fraudolenta. Se il potenziale cliente diventa tale, la macchina si mette in moto e le società da svuotare vengono progressivamente intestate a prestanome dell’associazione pronti anche a svolgere il ruolo di liquidatori. Quindi si creano delle società ad hoc intestate e gestite dal “gruppo di lavoro” alle quali trasferire i beni mobili e immobili delle aziende in liquidazione in cambio di corrispettivi più che simbolici (spesso inferiori all’1% del valore di stima) e quasi mai versati, per poi riciclare gli stessi beni con altri passaggi di mano per arrivare a portarli in capo ai proprietari originari schermati da prestanome e/o fiduciarie. Quanto alle aziende svuotate, ricostruiscono ancora gli inquirenti, l’iter prevede il loro trasferimento in Bulgaria, non prima di aver aperto delle sedi locali. Il passaggio è fondamentale per escludere la giurisdizione italiana in caso d’istanza di fallimento nell’anno successivo al trasferimento. Una volta effettuato il cambio di sede, infatti, decade la giurisdizione originaria sull’impresa. A rendere ancora più complicata la tracciabilità delle aziende, poi, interviene la loro fusione con delle società locali create ad hoc e il gioco, sulla carta, è fatto.
Il gruppo di lavoro: dalla mente alle teste di legno fino ai professionisti “compiacenti” – A trattare con i clienti per i quali poi studiava il piano operativo e dirigeva le operazioni, secondo i pm era Petricciola. Piras condivideva con lui la direzione oltre ad occuparsi del trasferimento dei camion del gruppo e a mettere a disposizione la sede delle sue attività commerciali spezzine per le riunioni del gruppo. Caso a sé l’avvocato Zambella, consulente legale dei Dorini apparentemente all’oscuro delle trame della partita, ma per la procura era in realtà consapevole e interessato ad avere un ruolo sempre più attivo nel “gruppo”, tanto da non fermarsi neanche quando, nel nuovo caso milanese, si tratta di avere a che fare con la criminalità organizzata per un affare di rifiuti a Voghera. Del resto l’avvocato mostra anche in altre occasioni la più ampia disponibilità nei confronti di affiliati alla ‘ndrangheta come emerge in alcune intercettazioni. Il più importante dei prestanome era invece Giuseppe Fago, lo stesso che era salito agli onori delle cronache l’8 gennaio scorso quando una delle società dei Dorini a lui intestata, la Praha Invest, avrebbe dovuto essere perquisita dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta su Banca Etruria. Le Fiamme Gialle – che quel giorno avevano passato al lentino altre due società della famiglia piacentina e quelle di due suoi soci, tra i quali il massone Francesco Casprini – avevano però scoperto che la sede della Praha, beneficiaria di almeno un finanziamento di 2 milioni di euro da parte dell’istituto aretino, coincideva con quella del carcere di La Spezia. Interpellato dalla stampa locale Fago non era entrato nel merito della sede sociale, ma aveva ammesso di non sapere “nulla di Banca Etruria, delle modalità con le quali venivano erogati i finanziamenti, né dell’investimento a Praha. Io facevo da prestanome all’imprenditore emiliano Pierangelo Dorini nella Praha Invest e non ho toccato neppure un centesimo di tutti quei soldi”. Dichiarazione, quest’ultima, che è stata duramente contestata da Dorini junior a chi ne ha dato notizia. Completavano la squadra il rumeno Sorin Moraru, addetto alle attività bulgare, e altre quattro teste di legno. Dall’interno, nel caso piacentino, operava invece Gian Marco Govi, dipendente di fiducia dei Dorini per i quali si occupava dell’amministrazione e della messa in pratica di tutte le decisioni dei vertici ai quali era direttamente a riporto.
Il ruolo attivo dei curatori fallimentari – Ai margini del campo, ma con ruoli essenziali per la riuscita della partita, hanno poi giocato quattro professionisti ritenuti compiacenti dagli inquirenti. Da un lato il commercialista Stefano Godani e il notaio Rosario Patanè, che si sono occupati degli atti necessari per la fuga. Dall’altro i curatori fallimentari di due società del gruppo nominati dal tribunale, Carlo Bernardelli e Antonino Desi che, in seguito alla loro condotta nell’affare Donini, sono stati interdetti per sei mesi dall’esercizio dell’attività professionale (rispettivamente di commercialista e di avvocato) limitatamente all’assunzione d’incarichi e allo svolgimento delle funzioni di curatore fallimentare, commissario giudiziale e liquidatore giudiziale nelle procedure concorsuali. In particolare a Bernardelli il pm contesta il reato di favoreggiamento per aver riferito a Govi e alla Grillo che era in corso un’inchiesta penale a carico del gruppo piacentino. Non solo. Il commercialista era stato interpellato dalla Procura interessata ad ottenere alcune scritture contabili senza esporsi con gli indagati. Ma lui, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, aveva prontamente riferito agli stessi indagati informazioni sull’indagine a partire dal fatto che la richiesta dei documenti non era farina del suo sacco ma della procura, per chiudere con il dettaglio non trascurabile che a svolgere le indagini era la Direzione Investigativa Antimafia. All’avvocato Desi, invece, è contestato il concorso in bancarotta documentale e in falso in atto pubblico in quanto, una volta appresa dagli indagati l’esistenza di un documento contabile chiave sia per l’indagine che per i creditori che avrebbe dovuto tutelare, li avrebbe invitati a sottrarlo alla curatela (“io da curatore non voglio neanche vederlo”, avrebbe detto), cioè a se stesso. E, a sua volta, nella sua relazione sul fallimento della Rent 104 ha omesso di tenere conto del documento come del resto aveva anticipato secondo quanto riferito dai suoi interlocutori: “Io sono anche pubblico ufficiale e bisogna stare attenti a queste cose qui .. anche farmele vedere … io faccio finta di non averle viste”.
Con sentenza del 27 febbraio 2017, il Tribunale penale di Piacenza, ha applicato, su richiesta di Pierangelo Dorini, a seguito di patteggiamento, la pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione.
Lobby
Imprenditori decotti, il sistema per tenersi i beni senza fallire. Grazie a professionisti legati alla ‘Ndrangheta
Le indagini della Procura di Piacenza sul servizio chiavi in mano architettato dal commercialista Petricciola e dal pregiudicato Piras che, grazie a una rete di prestanome, permetteva la riapertura di aziende decotte nell'Est Europa, riconsegnate intatte ai proprietari. Alla faccia di creditori e fisco ed eludendo la giurisdizione italiana sulla bancarotta fraudolenta. Il modello testata sulla famiglia Dorini arrestata insieme ai suoi consiglieri. Il nome degli imprenditori piacentini era spuntato anche nell'inchiesta su Banca Etruria. Ecco come è andata
Smantellare pezzo per pezzo gruppi industriali decotti e ricostruirli pezzo per pezzo all’estero, in Bulgaria. Per riconsegnarli intatti nelle mani dei proprietari originali, previa intestazione a una rete di prestanome, senza passare attraverso rischiose procedure fallimentari. Alla faccia dei creditori, destinati così a restare a bocca asciutta che siano dipendenti, banche, fornitori o il fisco, beffato due volte: dalle aziende e dai loro proprietari. Ma soprattutto beffata, grazie al trasferimento all’estero e a un vuoto normativo comunitario, la legge che punisce il reato di bancarotta fraudolenta e tutti gli altri ad esso connessi.
Il servizio chiavi in mano per aggirare creditori e bancarotta fraudolenta – Il business ricalca il modello del contrabbando di auto rubate. Ma la sua domanda, contrariamente a quella per le quattro ruote, è cresciuta esponenzialmente con la crisi, visti gli oltre 80mila fallimenti d’impresa registrati in Italia tra il 2010 e il 2015 (dati Cerved). A tentare di svilupparlo in tutta Italia ci hanno pensato il commercialista spezzino Vittorio Petricciola e il conterraneo Roberto Piras, pregiudicato “dedito al contrabbando di t.l.r. fin dagli anni settanta specializzatosi – in seguito – nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti, da sempre ritenuto vicino ad ambienti della criminalità mafiosa di matrice calabrese”, come si legge nell’ordinanza che ne ha disposto l’arresto eseguita giovedì 1 settembre all’alba. I due, secondo la Procura di Piacenza, hanno promosso un’associazione a delinquere che ha testato il servizio chiavi in mano sul travagliato gruppo Dorini di Piacenza, tra il resto primo concessionario italiano dei veicoli commerciali Volvo oltre che sviluppatore immobiliare, con creditori insinuati ai passivi delle varie aziende del gruppo per circa 60 milioni di euro e quasi 100 milioni di euro di proprietà da mettere in salvo. Anche per consentire all’omonima famiglia e, in particolare, all’erede maschio Pierangelo, di continuare a mantenere un più che agiato stile di vita fino ad allora finanziato direttamente dalle casse aziendali come dimostra il flusso di denaro distratto, secondo l’accusa, per pagare le rate del leasing di un appartamento di 200 metri quadri in corso Venezia a Milano “dove abita Berlusconi, la figlia”. Una piccola parte del totale contando anche la casa di Montecarlo e le spese vive, come lamenta il patriarca Angelo Dorini parlando con la moglie Carmen Grillo intercettato dagli inquirenti: “Scusami lui ha 10mila euro al mese o dodici da pagare a Montecarlo, ascoltami sette, otto, diecimila al mese li spende al bar, ristorante e sono ventimila, lui ha bisogno di ventimila euro tutti i mesi, dove li va a prendere, più ha quattordicimila euro al mese per pagare la casa … sono altri quattordici, lui ha bisogno di 35mila euro al mese, dove li prende, dove li prende, e continua ad andare a fare trappole. Poi lui adesso ha venduto quei 78 appartamenti che gli ha rubati a Giardi, lo so, li ha venduti ma c’è su un mutuo da due milioni e mezzo di euro da pagare e non gli abbiamo dato niente ecco perché … i 78 appartamenti lui li ha girati, ha fatto un giro con Montecarlo, non so, ma anche lì ha fatto delle firme false, adesso poi lo arrestano”, conclude. Trascurando il fatto che secondo il suo contabile una delle società del gruppo non può pagare i contributi dei dipendenti perché costretta a pagare i viaggi di famiglia all’agenzia Viaggi dello Zodiaco. O che lui stesso ha percepito da alcune aziende di famiglia in decozione emolumenti ritenuti dagli inquirenti sproporzionati rispetto alla situazione aziendale e ingiustificati, tanto da essere considerate “delle vere e proprie distrazioni”.
L’inchiesta della Procura di Piacenza e gli arresti – Con l’avvicinarsi della conclusione del lavoro, la “procedura” con la sua articolata rete di prestatori d’opera, è stata ritenuta sufficientemente collaudata dai suoi ideatori che, rileva ancora l’ordinanza, fatti i debiti aggiustamenti e correzioni, l’hanno esportata nel milanese offrendola alla Giemmebi 2000, società di Giovanni Benazzo specializzata nella lavorazione e la tornitura di materie prime oberata da 4,5 milioni di debiti e trasferita in Bulgaria a fine 2015. Ma l’obiettivo, secondo la ricostruzione dei pm, è di cavalcare l’onda lunga della crisi delle imprese italiane in ginocchio estendendo il servizio anche a Parma, a Firenze, a Torino e a Genova. Il sogno si è infranto contro la barriera della Procura di Piacenza che, dopo quasi un anno di indagini coordinate dal pm Roberto Fontana innescate da una segnalazione della Dia di Genova, ha svelato tutte le maglie della rete costituita da prestanome e collaboratori in Italia e all’estero e arricchita da professionisti e curatori fallimentari ritenuti compiacenti dagli inquirenti, oltre ad esponenti delle forze dell’ordine e banchieri che si sono spesi per i Dorini, famiglia di imprenditori piacentini il cui nome era uscito anche nell’ambito dell’inchiesta su Banca Etruria, per via di alcuni prestiti dell’istituto aretino a imprese del gruppo oggetto di una perquisizione del gennaio scorso. In manette sono finite otto persone: Angelo e Pierangelo Dorini, Carmen Grillo (domiciliari), Vittorio Petricciola, Roberto Piras, Pierpaolo Zambella, Giuseppe Fago e Gian Marco Govi. Quattordici, invece, i denunciati a piede libero. Disposto, poi, il sequestro di una lunga lista di beni mobili e immobili oltre alla somma di 739mila euro, per un controvalore complessivo di circa 150 milioni. Le accuse per gli indagati vanno dalla bancarotta fraudolenta al riciclaggio passando per il trasferimento fraudolento di valori e l’associazione a delinquere.
Il metodo Petricciola: “Se la vuoi fare è così, se no te la prendi nel culo, fallisci in Italia” – Dettagliatissimo il quadro tracciato dalle oltre 500 pagine di ordinanza firmata dal gip Giuseppe Bersani. Dove si ricostruisce lo schema operativo seguito dal “gruppo” efficacemente sintetizzato dal suo ideatore (“se la vuoi fare è così, se no te la prendi nel culo, fallisci in Italia”) che con l’evolversi del caso Dorini stila una “monografia” da utilizzare per il futuro. Innanzitutto c’è la vendita del prodotto, ovvero la proposta ai soci e agli amministratori di società decotte di una soluzione globale alternativa alle soluzioni legali per la composizione della crisi d’impresa e che prevede lo svuotamento patrimoniale completo delle società, la conservazione dei beni in capo ai soci mediante intestazione fittizia a soggetti di fiducia e il trasferimento delle società, private di ogni attività, in Bulgaria per impedire la dichiarazione di fallimento in Italia e il conseguente esercizio dell’azione penale per il reato di bancarotta fraudolenta. Se il potenziale cliente diventa tale, la macchina si mette in moto e le società da svuotare vengono progressivamente intestate a prestanome dell’associazione pronti anche a svolgere il ruolo di liquidatori. Quindi si creano delle società ad hoc intestate e gestite dal “gruppo di lavoro” alle quali trasferire i beni mobili e immobili delle aziende in liquidazione in cambio di corrispettivi più che simbolici (spesso inferiori all’1% del valore di stima) e quasi mai versati, per poi riciclare gli stessi beni con altri passaggi di mano per arrivare a portarli in capo ai proprietari originari schermati da prestanome e/o fiduciarie. Quanto alle aziende svuotate, ricostruiscono ancora gli inquirenti, l’iter prevede il loro trasferimento in Bulgaria, non prima di aver aperto delle sedi locali. Il passaggio è fondamentale per escludere la giurisdizione italiana in caso d’istanza di fallimento nell’anno successivo al trasferimento. Una volta effettuato il cambio di sede, infatti, decade la giurisdizione originaria sull’impresa. A rendere ancora più complicata la tracciabilità delle aziende, poi, interviene la loro fusione con delle società locali create ad hoc e il gioco, sulla carta, è fatto.
Il gruppo di lavoro: dalla mente alle teste di legno fino ai professionisti “compiacenti” – A trattare con i clienti per i quali poi studiava il piano operativo e dirigeva le operazioni, secondo i pm era Petricciola. Piras condivideva con lui la direzione oltre ad occuparsi del trasferimento dei camion del gruppo e a mettere a disposizione la sede delle sue attività commerciali spezzine per le riunioni del gruppo. Caso a sé l’avvocato Zambella, consulente legale dei Dorini apparentemente all’oscuro delle trame della partita, ma per la procura era in realtà consapevole e interessato ad avere un ruolo sempre più attivo nel “gruppo”, tanto da non fermarsi neanche quando, nel nuovo caso milanese, si tratta di avere a che fare con la criminalità organizzata per un affare di rifiuti a Voghera. Del resto l’avvocato mostra anche in altre occasioni la più ampia disponibilità nei confronti di affiliati alla ‘ndrangheta come emerge in alcune intercettazioni. Il più importante dei prestanome era invece Giuseppe Fago, lo stesso che era salito agli onori delle cronache l’8 gennaio scorso quando una delle società dei Dorini a lui intestata, la Praha Invest, avrebbe dovuto essere perquisita dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta su Banca Etruria. Le Fiamme Gialle – che quel giorno avevano passato al lentino altre due società della famiglia piacentina e quelle di due suoi soci, tra i quali il massone Francesco Casprini – avevano però scoperto che la sede della Praha, beneficiaria di almeno un finanziamento di 2 milioni di euro da parte dell’istituto aretino, coincideva con quella del carcere di La Spezia. Interpellato dalla stampa locale Fago non era entrato nel merito della sede sociale, ma aveva ammesso di non sapere “nulla di Banca Etruria, delle modalità con le quali venivano erogati i finanziamenti, né dell’investimento a Praha. Io facevo da prestanome all’imprenditore emiliano Pierangelo Dorini nella Praha Invest e non ho toccato neppure un centesimo di tutti quei soldi”. Dichiarazione, quest’ultima, che è stata duramente contestata da Dorini junior a chi ne ha dato notizia. Completavano la squadra il rumeno Sorin Moraru, addetto alle attività bulgare, e altre quattro teste di legno. Dall’interno, nel caso piacentino, operava invece Gian Marco Govi, dipendente di fiducia dei Dorini per i quali si occupava dell’amministrazione e della messa in pratica di tutte le decisioni dei vertici ai quali era direttamente a riporto.
Il ruolo attivo dei curatori fallimentari – Ai margini del campo, ma con ruoli essenziali per la riuscita della partita, hanno poi giocato quattro professionisti ritenuti compiacenti dagli inquirenti. Da un lato il commercialista Stefano Godani e il notaio Rosario Patanè, che si sono occupati degli atti necessari per la fuga. Dall’altro i curatori fallimentari di due società del gruppo nominati dal tribunale, Carlo Bernardelli e Antonino Desi che, in seguito alla loro condotta nell’affare Donini, sono stati interdetti per sei mesi dall’esercizio dell’attività professionale (rispettivamente di commercialista e di avvocato) limitatamente all’assunzione d’incarichi e allo svolgimento delle funzioni di curatore fallimentare, commissario giudiziale e liquidatore giudiziale nelle procedure concorsuali. In particolare a Bernardelli il pm contesta il reato di favoreggiamento per aver riferito a Govi e alla Grillo che era in corso un’inchiesta penale a carico del gruppo piacentino. Non solo. Il commercialista era stato interpellato dalla Procura interessata ad ottenere alcune scritture contabili senza esporsi con gli indagati. Ma lui, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, aveva prontamente riferito agli stessi indagati informazioni sull’indagine a partire dal fatto che la richiesta dei documenti non era farina del suo sacco ma della procura, per chiudere con il dettaglio non trascurabile che a svolgere le indagini era la Direzione Investigativa Antimafia. All’avvocato Desi, invece, è contestato il concorso in bancarotta documentale e in falso in atto pubblico in quanto, una volta appresa dagli indagati l’esistenza di un documento contabile chiave sia per l’indagine che per i creditori che avrebbe dovuto tutelare, li avrebbe invitati a sottrarlo alla curatela (“io da curatore non voglio neanche vederlo”, avrebbe detto), cioè a se stesso. E, a sua volta, nella sua relazione sul fallimento della Rent 104 ha omesso di tenere conto del documento come del resto aveva anticipato secondo quanto riferito dai suoi interlocutori: “Io sono anche pubblico ufficiale e bisogna stare attenti a queste cose qui .. anche farmele vedere … io faccio finta di non averle viste”.
Con sentenza del 27 febbraio 2017, il Tribunale penale di Piacenza, ha applicato, su richiesta di Pierangelo Dorini, a seguito di patteggiamento, la pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione.
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(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Il Comune di Milano, alla luce delle indagini che recentemente hanno riguardato l’urbanistica, ricorda di aver già messo in atto diverse misure. Ad esempio con apposita delibera di Giunta, datata febbraio 2024, lo Sportello unico per l'edilizia (Sue) si è adeguato alle interpretazioni del gip in tema di pianificazione attuativa e ristrutturazione edilizia e lo scorso settembre è stato modificato il regolamento della Commissione per il paesaggio, "rafforzando ulteriormente il principio di trasparenza che lo guida e prevedendo che almeno 8 componenti su 15, compreso il presidente, per l’intera durata dell’incarico non svolgano attività di libera professione nel territorio comunale".
Lo scorso novembre sono state introdotte regole "molto restrittive" sui contatti tra funzionari dello Sportello unico per l'edilizia e gli utenti privati. E' invece datato primo marzo 2025 l’avvicendamento di alcuni dirigenti, mentre nel maggio 2023 il Consiglio comunale ha approvato la delibera di Giunta relativa all’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione e a novembre 2024 sono stati aggiornati anche i criteri di monetizzazione dello standard.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il 63% degli intervistati ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia in crisi, con una percezione più diffusa tra gli uomini (75%) e i tifosi (69%). E' quanto si evince dall'indagine condotta da 'Noto Sondaggi' su 'Gli italiani e il Calcio', un resoconto sul rapporto tra gli italiani e il mondo del calcio e la percezione del suo stato di salute, esplorando l'interesse per lo sport, il rapporto con il calcio, la percezione della salute del calcio, il ripensamento del modello di business e il sostegno pubblico al settore.
La maggioranza assoluta degli intervistati (67%) è tifoso di una squadra di calcio in particolare, con percentuali che superano il 90% tra chi lo pratica come sport e sfiorano l’80% tra gli uomini. È interessante rilevare come perfino una parte, seppur minoritaria, di chi non pratica né segue il calcio dichiari di avere una squadra del cuore. Chi ha seguito il calcio nell’ultimo anno lo ha fatto soprattutto in Tv (62% spesso, 28% qualche volta), mentre solo un appassionato su cinque si è recato allo stadio (34%, di cui 7% spesso). In entrambi i casi, la frequenza con cui si segue il calcio tende ad aumentare tra gli under 55, chi lo pratica come sport e chi è tifoso di una squadra. Coerentemente con la scelta di seguire il calcio in Tv piuttosto che allo stadio, la modalità più frequente per seguire la squadra del cuore è l’abbonamento alla PayTv (40%, con punte del 60% tra chi pratica il calcio), mentre l’11% segue la squadra in trasferta, il 10% ha un abbonamento allo stadio e l’8% dichiara di far parte di una tifoseria.
Una quota prevalente di intervistati (63% del totale) ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia crisi. Una percezione trasversale, ma più diffusa tra gli uomini (75%), i residenti nel Centro Italia (67%) e soprattutto tifosi e appassionati di calcio, ancor più se lo pratica (83%). Il compenso eccessivo di calciatori ed allenatori rappresenta il principale problema del calcio italiano odierno (indicato dal 64% del campione), ma all’interno di uno scenario ben più complesso fatto di tante criticità, tra cui spiccano l’indebitamento troppo elevato delle società (43%) e la scarsa valorizzazione dei settori giovanili (39%). Il 69% ritiene, inoltre, che la gestione economica delle società calcistiche italiane non sia trasparente. Crisi e problematiche spingono la maggioranza degli intervistati a giudicare il modello di gestione del calcio italiano per lo più equiparabile se non inferiore a quello di altri paesi europei (rispettivamente 38% e 32% del campione). Solo una parte minoritaria (appena il 12%) ritiene, inoltre, che il calcio italiano sia in una condizione finanziariamente più solida, mentre sull’effettiva capacità delle società sportive italiane di ripensare il proprio modello di business, adattandolo alle nuove regole Uefa, le opinioni sono discordanti.
La visione degli intervistati sul nuovo modello di business a cui le società calcistiche dovrebbero ispirarsi è ricca di sfumature. Coloro che ritengono che la solidità economica sia la cosa più importante per garantire la competitività sportiva di una squadra prevalgono, ma incalzati da chi ritiene non sia così (rispettivamente 43% e 32% del campione). La maggioranza assoluta ritiene che nel calcio chi ha più soldi abbia più probabilità di vincere (54%), ma non sono pochi coloro che, al contrario, ritengono che il talento vada formato e che, quindi, si dovrebbe investire nella formazione dei talenti anche se questo non garantisce sempre la vittoria (22%). Indipendentemente dai principi ispiratori, il nuovo modello di business delle società calcistiche dovrebbe prioritariamente puntare ad affrontare le tante problematiche del settore,a partire da quelle di natura finanziaria: costo di ingaggi, cartellini e commissioni fuori controllo o con regolamentazione inadeguata (indicato dal 46% del campione), indebitamento eccessivo (38%), investimenti insufficienti dei club nei settori giovanili (31%).
Tre intervistati su quattro (70% del totale, con scostamenti per lo più contenuti in relazione al profilo socio-demografico) sono contrari all’idea che il calcio professionistico in Italia sia finanziato e riceva sostegno pubblico, in quanto le società di calcio di primo livello debbano essere trattate allo stesso modo delle altre imprese. Solo il 18% si dichiara, viceversa, favorevole ad un’ipotesi di un intervento pubblico straordinario, sottolineando le ricadute positive che il calcio ha sulla collettività, mentre il restante 12% non esprime un’opinione in merito.
Le opinioni espresse sul ruolo dello Stato nella gestione finanziaria di impianti e strutture sportive sono più eterogenee. La maggioranza, in particolare giovani e appassionati di calcio, ritiene che lo Stato debba assumersi almeno in parte questa responsabilità. Tuttavia, il consenso varia a seconda dell’ambito di intervento: il 55% degli intervistati ritiene che lo Stato debba farsi in parte o totalmente carico dell’ammodernamento e della manutenzione degli impianti, mentre la stessa percentuale sale 64% con riferimento alla sicurezza dentro e fuori gli stadi.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il 63% degli intervistati ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia in crisi, con una percezione più diffusa tra gli uomini (75%) e i tifosi (69%). E' quanto si evince dall'indagine condotta da 'Noto Sondaggi' su 'Gli italiani e il Calcio', un resoconto sul rapporto tra gli italiani e il mondo del calcio e la percezione del suo stato di salute, esplorando l'interesse per lo sport, il rapporto con il calcio, la percezione della salute del calcio, il ripensamento del modello di business e il sostegno pubblico al settore.
La maggioranza assoluta degli intervistati (67%) è tifoso di una squadra di calcio in particolare, con percentuali che superano il 90% tra chi lo pratica come sport e sfiorano l’80% tra gli uomini. È interessante rilevare come perfino una parte, seppur minoritaria, di chi non pratica né segue il calcio dichiari di avere una squadra del cuore. Chi ha seguito il calcio nell’ultimo anno lo ha fatto soprattutto in Tv (62% spesso, 28% qualche volta), mentre solo un appassionato su cinque si è recato allo stadio (34%, di cui 7% spesso). In entrambi i casi, la frequenza con cui si segue il calcio tende ad aumentare tra gli under 55, chi lo pratica come sport e chi è tifoso di una squadra. Coerentemente con la scelta di seguire il calcio in Tv piuttosto che allo stadio, la modalità più frequente per seguire la squadra del cuore è l’abbonamento alla PayTv (40%, con punte del 60% tra chi pratica il calcio), mentre l’11% segue la squadra in trasferta, il 10% ha un abbonamento allo stadio e l’8% dichiara di far parte di una tifoseria.
Una quota prevalente di intervistati (63% del totale) ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia crisi. Una percezione trasversale, ma più diffusa tra gli uomini (75%), i residenti nel Centro Italia (67%) e soprattutto tifosi e appassionati di calcio, ancor più se lo pratica (83%). Il compenso eccessivo di calciatori ed allenatori rappresenta il principale problema del calcio italiano odierno (indicato dal 64% del campione), ma all’interno di uno scenario ben più complesso fatto di tante criticità, tra cui spiccano l’indebitamento troppo elevato delle società (43%) e la scarsa valorizzazione dei settori giovanili (39%). Il 69% ritiene, inoltre, che la gestione economica delle società calcistiche italiane non sia trasparente. Crisi e problematiche spingono la maggioranza degli intervistati a giudicare il modello di gestione del calcio italiano per lo più equiparabile se non inferiore a quello di altri paesi europei (rispettivamente 38% e 32% del campione). Solo una parte minoritaria (appena il 12%) ritiene, inoltre, che il calcio italiano sia in una condizione finanziariamente più solida, mentre sull’effettiva capacità delle società sportive italiane di ripensare il proprio modello di business, adattandolo alle nuove regole Uefa, le opinioni sono discordanti.
La visione degli intervistati sul nuovo modello di business a cui le società calcistiche dovrebbero ispirarsi è ricca di sfumature. Coloro che ritengono che la solidità economica sia la cosa più importante per garantire la competitività sportiva di una squadra prevalgono, ma incalzati da chi ritiene non sia così (rispettivamente 43% e 32% del campione). La maggioranza assoluta ritiene che nel calcio chi ha più soldi abbia più probabilità di vincere (54%), ma non sono pochi coloro che, al contrario, ritengono che il talento vada formato e che, quindi, si dovrebbe investire nella formazione dei talenti anche se questo non garantisce sempre la vittoria (22%). Indipendentemente dai principi ispiratori, il nuovo modello di business delle società calcistiche dovrebbe prioritariamente puntare ad affrontare le tante problematiche del settore,a partire da quelle di natura finanziaria: costo di ingaggi, cartellini e commissioni fuori controllo o con regolamentazione inadeguata (indicato dal 46% del campione), indebitamento eccessivo (38%), investimenti insufficienti dei club nei settori giovanili (31%).
Tre intervistati su quattro (70% del totale, con scostamenti per lo più contenuti in relazione al profilo socio-demografico) sono contrari all’idea che il calcio professionistico in Italia sia finanziato e riceva sostegno pubblico, in quanto le società di calcio di primo livello debbano essere trattate allo stesso modo delle altre imprese. Solo il 18% si dichiara, viceversa, favorevole ad un’ipotesi di un intervento pubblico straordinario, sottolineando le ricadute positive che il calcio ha sulla collettività, mentre il restante 12% non esprime un’opinione in merito.
Le opinioni espresse sul ruolo dello Stato nella gestione finanziaria di impianti e strutture sportive sono più eterogenee. La maggioranza, in particolare giovani e appassionati di calcio, ritiene che lo Stato debba assumersi almeno in parte questa responsabilità. Tuttavia, il consenso varia a seconda dell’ambito di intervento: il 55% degli intervistati ritiene che lo Stato debba farsi in parte o totalmente carico dell’ammodernamento e della manutenzione degli impianti, mentre la stessa percentuale sale 64% con riferimento alla sicurezza dentro e fuori gli stadi.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il Consiglio di Presidenza dell’Associazione Nazionale di Settore, che si è riunito oggi, ha approvato all’unanimità l’ammissione a Socio del Gruppo Azimut | Benetti. "Sono stato eletto nel 2019 con il mandato di unificare sotto una forte rappresentanza associativa tutta la filiera del settore" ha sottolineato il presidente di Confindustria Nautica Saverio Cecchi. "Sono orgoglioso, all’approssimarsi del termine del mio mandato, del raggiungimento completo di tale obiettivo con il ritorno in Associazione del Gruppo Azimut | Benetti. e sottolineo con soddisfazione l’adozione all’unanimità della delibera di ammissione da parte degli Organi statutari", ha aggiunto.
"Crediamo fermamente che un'industria nautica più unita sia un'industria più forte, capace di affrontare le sfide globali con maggiore coesione e visione strategica. Lavorare insieme significa non solo consolidare il ruolo dell'Italia come leader mondiale nella nautica, ma anche promuovere innovazione, sostenibilità e crescita per l’intera filiera. La scelta di aderire a Confindustria Nautica è espressione di questo impegno" ha commentato Marco Valle, Amministratore Delegato del Gruppo Azimut | Benetti.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - "Dalla lettura dell’Industrial Action Plan della Commissione Ue per l’automotive emergono ancora di più la necessità e l’urgenza di un nuovo percorso verso la mobilità decarbonizzata che integri il principio della neutralità tecnologica". Ad affermarlo in una nota è Matteo Cimenti presidente di Assogasliquidi-Federchimica in rappresentanza delle filiere dei gas liquefatti (Gpl e Gnl).
"Sono ormai a tutti evidenti – prosegue Cimenti – le difficoltà nel raggiungere gli obiettivi del 2035 e successivi. In questo contesto, la Commissione si è impegnata ad accelerare la revisione del regolamento CO₂ per le auto, che partirà da un’analisi dei dati, di tutti gli sviluppi tecnologici rilevanti e dell’importanza di una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa. Ci aspettiamo quindi che le Istituzioni comunitarie (a cominciare dal Parlamento europeo) rivedano il bando relativo ai motori a combustione interna e riconoscano tutte le tecnologie capaci di contribuire alla decarbonizzazione del trasporto, inclusi i biocarburanti. I prodotti gassosi anche nella loro versione bio e rinnovabile si distinguono come soluzioni concrete e immediate per ridurre le emissioni di CO₂".
Incomprensibile la chiusura sul fronte del trasporto pesante, dove il Gnl e il bioGnl rappresentano già oggi la soluzione più pronta e disponibile. Nel Piano non è prevista alcuna apertura per giungere alla revisione del Regolamento sulle emissioni di CO₂ dei veicoli pesanti: "La nostra richiesta e il nostro auspicio – conclude Cimenti – è che nella fase attuativa del Piano appena presentato, le Istituzioni europee lavorino anche su questo fronte nella direzione auspicata, l'unica in grado di coniugare sviluppo industriale competitivo, raggiungimento degli obiettivi ambientali e attenzione ai consumatori".