Una splendida giornata di sole, il traffico congestionato di Los Angeles, il suono di una radio che irrompe prepotentemente nella scena, la voglia irrefrenabile di cantare e ballare. Non poteva esserci sequenza migliore per aprire le danze di questa settantatreesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia rispetto allo splendido e articolatissimo piano sequenza che accende La La Land. Neanche il tempo di scaldare i motori e già la prima giornata del festival cinematografico più antico del mondo regala i primi fuochi d’artificio.
Dopo la brutale furia animalesca di Whiplash, che aveva animato gran parte del pubblico e della critica, Damien Chazelle era atteso con ansia al varco insidiosissimo della conferma. Il giovane regista statunitense però, dimostra di avere già le idee chiare e una certa personalità anche nel saper reggere la pressione di palcoscenici così importanti incantando gli occhi degli spettatori con un’autentica meraviglia audiovisiva.
Sorprende il modo in cui riesce a fondere un’idea di cinema classico, legata al musical anni ’40 e ’50, con la capacità e la voglia di sperimentare qualcosa di nuovo, lasciando il cuore libero di danzare tra le pieghe del sogno e della realtà. Movimenti di camera, coreografie, colori, luci, voci, sguardi, dettagli… tutto si incastra armoniosamente in una sinfonia cinematografica di una perizia così minuziosa da lasciare spesso sbalorditi.
È bello perdersi in quel mondo colorato fatto di incontri, di cieli stellati e silhouette che si stagliano in controluce, di casualità non casuali, di lotte malinconiche con i propri destini ed è altrettanto bello vedere con quale naturale e amabile complicità Ryan Gosling ed Emma Stone intrecciano indissolubilmente le loro vite. Non posso nascondere che prima della visione aleggiava qualche leggero pregiudizio intorno a questo film, ma come spesso accade, essere smentiti e riuscire a sorprendersi è una delle piacevoli sensazioni che può regalare il cinema e, senza dubbio, questo film è la prima vera graditissima sorpresa della 73° edizione della kermesse veneziana.
Altro evento significativo per questa edizione della mostra, è stato sicuramente il battesimo del fuoco della nuovissima Sala Giardino a cui il direttore del Festival, Alberto Barbera, sembra aver dato particolare importanza con una programmazione ricca di nomi altisonanti e con un’ampia gamma di film, diversissimi tra loro per generi e tematiche (forse anche troppo), spesso accompagnati da incontri e approfondimenti con gli stessi autori.
Anche questa particolare sezione cala subito in campo uno dei pezzi da novanta della rassegna, il leone d’oro di Venezia 2012 Kim Ki Duk, uno dei registi più discussi ed apprezzati del panorama cinematografico contemporaneo che ha onorato il pubblico con la propria presenza alla proiezione. Escludendo qualche piccolo problema organizzativo, anche comprensibile, legato alla gestione tecnica della sala, purtroppo anche il film non è stato uno dei maggiori acuti dell’autore sudcoreano. Con The Net infatti, Ki Duk si addentra nel cuore del suo paese provando a tirare fuori tutte le incongruenze e le assurdità che animano il difficile rapporto nord-sud.
Per fare questo abbandona la sua propensione nel caricare di importanza e provocatorietà le scene madri a favore di una narrazione più equilibrata, che si prende il proprio tempo per sciogliere tutti i nodi tesi. Il risultato è un film che mostra sicuramente degli intenti interessanti e che trova nella chiarezza narrativa la propria qualità più grande, ma che nel suo incedere finisce per cadere sotto i colpi di un didascalismo troppo accentuato e di situazioni che in alcuni frangenti risultano forse troppo esplicite e superficiali. Un Kim Ki Duk che comunque torna a dare una svolta alla propria carriera esplorando un territorio inedito rispetto ai suoi recenti lavori e che forse inverte la rotta di un ultimo periodo che personalmente non avevo trovato così stimolante.