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Terremoto, lo sciacallo digitale e la manipolazione dei post: così si prova a screditare grandi testate e a fare propaganda

Nei giorni frenetici e drammatici del terremoto in Italia centrale, con la conta dei morti, i soccorsi, le speranze e il dolore di migliaia di persone, sul web comincino a circolare quelli che potremmo definire senza timore come sciacalli digitali, webeti doc che vanno in giro ad avvelenare i pozzi, a screditare i media tradizionali e a far circolare false notizie per poi strumentalizzarle politicamente

di Domenico Naso

Non si fa neppure in tempo a tracciare l’identikit del webete, la nuova figura per nulla mitologica individuata da Enrico Mentana con un efficace neologismo, che il trollismo imperante sui social network fa l’upgrade, sale di livello, divento qualcos’altro, qualcosa di molto più articolato, organizzato e con uno scopo preciso, anche se con evidenti limiti tecnici che ne affossano immediatamente la credibilità. Succede, infatti, che nei giorni frenetici e drammatici del terremoto in Italia centrale, con la conta dei morti, i soccorsi, le speranze e il dolore di migliaia di persone, sul web comincino a circolare quelli che potremmo definire senza timore come sciacalli digitali, webeti doc che vanno in giro ad avvelenare i pozzi, a screditare i media tradizionali e a far circolare false notizie per poi strumentalizzarle politicamente.

Particolarmente colpite, forse per la loro linea editoriale certamente non troppo severa nei confronti del governo, due grandi testate come La Stampa e La Repubblica, prese di mira dai troll 2.0. Sono diversi dai semplici commentatori arrabbiati, disinformati e accaniti perché non si limitano a esporre la propria legittima ma spesso distorta opinione su un argomento, ma arrivano addirittura a taroccare post di Facebook o di Twitter, creando ad hoc screenshot fasulli su presunti casi di disinformazione che coinvolgerebbero questo o quel giornale.

La Stampa e la Repubblica, dicevamo, hanno subito gli attacchi peggiori, come ha scoperto e segnalato il debunker David Puente su debunking.it, poi ripreso dalla stessa Stampa con un articolo di Francesco Zaffarano. Puente, in pratica, ha facilmente smontato due screenshot in particolare che davano conto di presunti lanci social dei due quotidiani. Nel primo, apparentemente firmato La Stampa, si dava conto di aiuti ai terremotati provenienti dalla Russia, con Putin disposto a mandare in Italia tonnellate di roba. Nella foto a corredo del finto lancio Facebook, come segnalato da Puente, c’era però un Antonov ucraino e non russo, così come fasulle e sballate erano le dimensioni del post. Un fake che, almeno in questo caso, serviva non ad attaccare qualcuno ma a esaltare qualcun altro, cioè Vladimir Putin. È propaganda filo-russa, che ultimamente sul web va di moda assai, fatta usando il nome di una testata importante e credibile, tendenzialmente filogovernativa e non certo tenera nei confronti della Russia putiniana. Per la serie “Se lo dice La Stampa sarà vero…”, e giù a esaltare zar Vladimir, ingiustamente bistrattato dall’Occidente.

Il secondo fake è di un altro genere e serve, al contrario, a delegittimare una testata giornalistica come la Repubblica. Nel finto lancio Facebook stavolta si parla di immigrati che aiutano a scavare tra le macerie “fino a ferirsi”. E chi riporta lo screenshot, guarda caso, lo fa non per esaltare l’eventuale impegno dei profughi ma per smascherare il presunto imbroglio: la foto, infatti, non è stata scattata durante il terremoto in Italia centrale ma ad Haiti, nel 2010, subito dopo il terribile terremoto che aveva messo in ginocchio il già problematico Stato caraibico.

La tesi era più o meno la seguente: la Repubblica è un giornale renziano e diffonde false notizie sull’eroismo dei profughi per avallare le politiche del governo sull’immigrazione. Un percorso mentale arzigogolato che doveva servire a screditare il quotidiano diretto da Mario Calabresi e, al contempo, a colpire il governo Renzi. Peccato, però, che anche in questo caso Puente è riuscito a smascherare la bufala, anzi “la bufala della bufala”, roba da Inception del giornalismo online, un sistema di scatole cinesi del fake a uso e consumo dei creduloni, dei webeti, di chi condivide notizie spesso false senza verificare le fonti e il contenuto dei link o degli screenshot.

Come ha sottolineato acutamente Francesco Zaffarano su La Stampa commentando l’accaduto, “che l’informazione sia credibile o meno, del resto, poco importa: tutto si gioca su meccanismi che non hanno nulla a che vedere con la verosimiglianza della notizia. Le bufale rispondono a un bisogno di semplificazione della realtà che si fa sempre più grande quando le questioni che ci troviamo ad affrontare sono complesse: i flussi migratori sono una questione epocale ed è psicologicamente più facile ridurre tutto alla contrapposizione tra gli invasori cattivi e gli autoctoni invasi e impotenti che col collante dell’indignazione si riuniscono per difendersi. Allo stesso modo coccola la psiche la narrazione del Putin uomo forte, l’unico leader in un periodo di profonda crisi della leadership europea e mondiale, che promette di liberarci dalla “minaccia islamica”.

È la propaganda ai tempi dei social network, perpetrata a colpi di social e di ritocchini su Photoshop. Niente di tecnicamente complicato, peraltro, quindi alla portata di tutti. Analizzando i post e gli screenshot con un minimo di attenzione, in realtà si possono sbugiardare con relativa facilità. Ma nel fast food delle informazioni che sono i social network, sono pochi ad avere il tempo di verificare. Ci si limita a condividere dopo aver letto il titolo, innescando una valanga che, prima che qualcuno smascheri la bufala, è già arrivata a valle portando via con sé tutto e tutti. Poco impegno, tanta resa. Ecco perché i falsari di Facebook vanno per la maggiore soprattutto in questi tempi balordi di tensioni sociali, economiche e politiche. Ecco perché, d’altro canto, i media cosiddetti “tradizionali” devono tenere la guardia alta, controllare tutto, verificare e, quando necessario, puntualizzare e smentire.

È quello che è stato fatto durante i funerali delle vittime del terremoto con una foto di Matteo Renzi. Il premier si stava sistemando la cravatta ma dallo scatto diffuso sembrava stesse controllando il cellulare durante il rito funebre. Apriti cielo, ovviamente, con migliaia di post indignati contro un Renzi ossessionato dai social e dallo smartphone, da cui non riuscirebbe a staccarsi neppure durante un momento così drammatico e serio. Una bufala, dicevamo, che però ha fatto il giro dei social e per molti, che poi non hanno letto la smentita, è diventata la verità assoluta. I social media portano con sé enormi potenzialità ed enormi rischi. E tra le due vie è in corso una battaglia quotidiana a colpi di bufale e smentite. Il futuro del giornalismo online e dei social media dipende da chi prevarrà.

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