Negli Usa la crisi è finita già da almeno un anno, cosa aspetta dunque la Federal Reserve a rialzare un poco il tasso di riferimento, che spingerebbe finalmente all’insù anche un po’ di inflazione ridando finalmente fiato anche al mercato del risparmio obbligazionario? La domanda è molto intrigante, provate a farla a qualcuno di vostra conoscenza e state certi che dovrà riflettere molto prima di rispondere, ma la sua risposta non sarà comunque secca, semplice, definitiva, ma approssimativa, con variegate risposte che possono oscillare dal tutto al contrario di tutto.

E’ vero infatti che, non solo da adesso, ma già dallo scorso anno i maggiori economisti del mondo (molti sono americani) discutono animatamente su cosa stia succedendo nell’economia globale, dove persino negli Stati Uniti d’America – che, pare, quest’anno stiano attraversando un quasi boom economico – i più qualificati economisti stiano quasi litigando (bonariamente, beninteso) accusandosi vicendevolmente di perseguire politiche economico-finanziarie che potrebbero provocare gravissime conseguenze all’economia (e al popolo) americano.

E’ il caso per esempio di Larry Summers che “tira le orecchie” nientemeno che alla presidente della Federal Reserve Janet Yellen perché non si decide ad alzare i tassi, come aveva promesso a dicembre 2015, per riposizionare sul piano della normalità tutta l’economia americana. Aveva promesso quattro aumenti del tasso nel 2016, ma finora ne ha fatto uno solo e solo per un quarto di punto.

Chi e’ Summers? E’ stato presidente dell’Università di Harvard, Segretario al Tesoro Usa (con il presidente Clinton), etc. Ha quindi sempre ricoperto posizioni e incarichi di altissimo livello sia in campo economico-accademico sia istituzionale. Ha persino “rischiato” di diventare lui stesso presidente della Fed (scelto da Obama dopo le dimissioni di Bernanke), se solo i senatori repubblicani non gli avessero sbarrato la strada.

Ma dov’è il nocciolo della contesa? Perché uno del livello di Summers lancia alla presidente della piu’ importante Banca Centrale del mondo persino l’accusa di mettere la ripresa economica americana a rischio solo per il fatto che la Yellen (con il suo Fed Board) non si decide ad alzare di un quarto di punto il tasso base delle operazioni finanziarie Usa?

E’ lo stesso Summers nel suo articolo sul Washington Post a spiegarlo in tre punti, ecco il perché:
1) La stretta finanziaria sul breve periodo (tassi a zero o quasi), a lungo andare danneggia la credibilità della Fed;
2) L’interminabile discussione sul lungo periodo potrebbe essere interpretata dai mercati come “mancanza di munizioni” della Fed;
3) La mancanza di coraggio decisionale per avviare un cambio sostanziale nella politica monetaria, disorienta i mercati.

Quindi, secondo Summers, non ci sono veri problemi ma solo un difetto di coraggio decisionale perché in effetti la stessa Yellen (e la Fed da lei guidata) hanno più volte dichiarato o fatto capire che i tempi erano ormai maturi per un rialzo dei tassi.

Tuttavia è vero anche che la Yellen ha sostenuto varie volte che il momento topico sarebbe arrivato solo al raggiungimento di un tasso di inflazione pari al 2%, cosa che, anche se il traguardo è vicino, tuttavia non e’ ancora perfettamente raggiunto. Ma questa difesa fa arrabbiare Summers che (nell’articolo citato) ricorda che il 2% è di fatto acquisito e che dopo nove anni di inseguimento a una ripresa che non arrivava mai, non pare il caso di essere ora pignoli sui numeri. Quindi sbotta dicendo: “If inflation should not be allowed to rise a bit above 2 percent in such circumstances, how can it be expected to average 2 percent over time given that recessions and downturns at some point are inevitable?” (Se non si consente all’inflazione di salire un po’ sopra al 2% in circostanze come questa, come ci si puo’ aspettare di mantenere una media del 2%, considerando che recessioni e fattori negativi ad un certo punto diventano inevitabili?).

Proprio questa dichiarazione però potrebbe dare ragione alla Fed, perché coi “chiari di luna” che si vedono in giro di questi tempi (ne parleremo più dettagliatamente nel prossimo articolo), con l’effetto della Brexit ancora da emergere, con l’Europa in piena deflazione e sostanziale depressione, con tutto il resto del mondo che scivola quasi senza eccezioni verso una fase di sostanziale “correzione”, se non di vera e propria recessione, come potrebbe la Fed rischiare la figuraccia di alzare i tassi (solo in base a buoni dati nazionali) per doverli poi ribassare subito dopo proprio a causa di tutte le reazioni che questo comporterebbe nel resto del mondo e che si ripercuoterebbero inevitabilmente anche sul mercato Usa?

A questa sostanziale difesa della Fed Summers risponde con una dettagliata argomentazione tecnica (in 5 punti) dove sostanzialmente ricorda che la risalita da una fase deflazionistica (tassi a zero o sottozero) è molto più complicata e difficile da conseguire (come dimostra il caso Europeo) che non una manovra di raffreddamento dell’economia se l’inflazione sale troppo (basta rialzare di nuovo i tassi!) o di ritorno alle manovre di easing (sostegno finanziario statale) se le cose si mettono molto male.

Poi cita di nuovo una fila di elementi decisamente positivi nell’economia americana (incluso un tasso di disoccupazione, meno del 5%, che in questo momento è tra i più basso al mondo) che rendono a suo avviso improcrastinabile l’aumento del tasso federale a settembre. Chi ha ragione? Purtroppo l’economia non è una scienza esatta come la matematica. Probabilmente l’aumento del tasso a settembre arriverà, ma hanno ragione entrambi.

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