Cinema

Mostra del cinema Venezia 2016, ‘The Young Pope’ di Paolo Sorrentino? Niente di che. E il protagonista Jude Law è “superblindato”

Il pellegrinaggio di Sorrentino alla fonte battesimale dell’immaginario contemporaneo, la serie tv, è questione per agiografi, amici, conoscenti, produttori smaniosi di esportare un’idea di collaborazione Europa/Usa più stretta. Un papa narciso, vendicativo, irritabile, fastidiosamente insopportabile questo è Lenny Belardo (o Jep Gambardella, o Tony Pisapia, o Tony Pagoda), autentico usurpatore di titoli, spazi, incarichi, ruoli

di Davide Turrini

Le infradito, lo smartphone che suona, il lettore mp3, una Coca Cherry Zero, una lavatina di denti, la sigarettina sempre tra le dita. E’ il Pio XIII di Paolo Sorrentino con le sembianze e lo sguardo luciferino di Jude Law. The Young Pope, la serie tv Sky-Hbo, è finalmente stata mostrata come evento speciale a Venezia 73. E detto tra noi, non è nulla di che. Il pellegrinaggio di Sorrentino alla fonte battesimale dell’immaginario contemporaneo, la serie tv, è questione per agiografi, amici, conoscenti, produttori smaniosi di esportare un’idea di collaborazione Europa/Usa più stretta. Un papa narciso, vendicativo, irritabile, fastidiosamente insopportabile questo è Lenny Belardo (o Jep Gambardella, o Tony Pisapia, o Tony Pagoda), autentico usurpatore di titoli, spazi, incarichi, ruoli.

Il tutto con una filosofia di vita che ricorda re e regine de Il Trono di Spade. Il Vaticano, oramai, è diventato un set a cielo aperto da quando Nanni Moretti ha posto la questione cruciale in Habemus Papam: ma un essere umano qualunque può sentirsi inadeguato a fare il papa e rinunciare all’incarico? Per Lenny/Pio XIII manco per idea. Per esigenze di serialità questo tizio americano è uno buono a far fuori quello che ha di più caro pur di governare Chiesa, cattolicesimo e pianeta terra. Chiaro che, comicamente, c’è chi gli mette il bastone tra le ruote (cardinali, preti, vescovi incazzati, addetti alla comunicazione, ecc..), ma anche chi lo supporta e venera (sempre cardinali, preti, vescovi meno incazzati, l’addetta alla comunicazione che ha cambiato idea, la suora Diane Keaton).

Sequenza d’apertura sorrentiniana da incubo post abbuffata della cena con un tappeto di cadaveri di neonati da cui emerge improvvisamente Jude Law. Un cristo a testa in giù che sanguina lo riporta e ci riporta immediatamente alla realtà. Pio XIII è il nuovo papa e deve organizzare il lavoro, preparare un nuovo organigramma, scrivere la prima omelia. I primi venti minuti mostrano la solita oramai conclamata abilità estetizzante del nostro ad evocare dettagli inutili in atmosfere solenni, rigorosamente non oltre le colonne del Bernini dove si fermò Marco Ferreri con L’udienza: ralenti, dettagli iperrealisti, un po’ di freak che fanno sorridere come una suora coi baffi, un cardinale senza collo, Silvio Orlando con la piccia posticcia sulla gota. E visto che lo zapping nella democraticissima Sky Atlantic (la serie si vedrà in Italia dal 21 ottobre 2016) non te lo toglie nessuno, ecco correre al rapido sgarbugliare di sottotrame per fare durare dieci episodi (dieci!) l’intrico attorno al papa cattivo che sembra teologicamente un oscurantista ratzingeriano ma con una dolente anima pop.

Che è poi l’essenza del sorrentinismo. Sgomberato ogni possibile riferimento all’universalità del messaggio (è una tale roba da vecchi tromboni, per carità…) il regista napoletano, qui a Venezia dopo quindici anni da quando portò il suo primo lungo il capolavoro L’uomo in più, ecco fluttuare in superficie il suo minimalismo fine a se stesso: papa, chiesa, fede, ragione, sentimento e perfino stile filtrano attraverso l’elucubrazione sorrentiniana, del suo compagno di merende allo script Umberto Contarello, Stefano Rulli e lo sceneggiatore spesso di Terry Gilliam, Tony Grisoni. Solo che Sorrentino è un signore come tutti alle prese con le più generiche ansie, distrazioni, onirismi assortiti. Ed il suo pop rassegnato, la sua capacità di divertire senza distruggere, il suo enfatizzare bizzarrie ed alterità senza un senso oltre il proprio comodino o astuccio dei colori (attenti dopo i fenicotteri de La Grande Bellezza qui c’è il canguro) lo relegano alla figura del simpatico creativo, un po’ dinoccolato, che ‘tiene’ una divertente flemma napoletana.

E visto che quello che ci riserverà il dipanarsi di script The Young Pope nei successivi otto episodi occuperà i nostri pensieri il tempo di un amen, ecco intanto qualche “spiegazione” del cinema Sorrentino che si fa tv. “Ho mostrato un papa diametralmente all’opposto da quello attuale (Francesco ndr) perché potrebbe accadere che ne venga eletto uno così. Dopo un papa più liberale è probabile che ne arrivi uno con idee diverse”, ha spiegato Sorrentino. “Non è un problema mio se il Vaticano si arrabbierà o meno guardando The Young Pope. Io ho voluto affrontare con curiosità e onestà, senza pregiudizi o sterili provocazioni le contraddizioni, le difficoltà e le cose che mi affascinano del clero, dei preti, delle suore e di uno di loro un po’ più diverso dagli altri che è il papa”. Conferma il tutto Jude Law, star superblindata ed inavvicinabile: “Sono stato un colore nella tavolozza di Paolo. All’inizio ero preoccupato di vestire i panni del papa, poi in realtà stavo interpretando soltanto un uomo”. Non c’è però nulla di cui preoccuparsi rispetto alle conseguenze della visione di questo The Young Pope. Perché ogni tensione, spunto, concetto, gesto, inquadratura dei primi due episodi visti si stempera in una battuta simpatica che fa andare a casa sorridenti pensando al ritorno in ufficio domani. Ne scegliamo due: i tre cellulari del cardinale Voiello (Silvio Orlando) con sopra le foto del terzetto di attaccanti del Napoli (Higuain è rimasto nonostante la Juve), o la maglietta di suora Diane Keaton  con su scritto: “I’m a virgin, but this is an old t-shirt”. Fa ridere, no?

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