La data del voto slitta ancora una volta. Sarà una domenica tra fine novembre e inizio dicembre, infatti, che si apriranno le urne per il Referendum Costituzionale. A comunicarlo alla platea della Festa dell’Unità di Torino, il ministro che ha messo la sua firma sulla riforma della Carta, e cioè Maria Elena Boschi. Un periodo – quello tra fine novembre e inizio dicembre – che stavolta è stato confermato anche da Matteo Renzi, alla conferenza stampa convocata al termine del G20. “Il referendum – ha detto il premier – deve essere fissato a norma di legge entro il 13 ottobre, e a quel punto dal giorno in cui verrà fissato, decorrono tra i 50 e 70 giorni di tempo. Nei prossimi giorni, ascoltando i soggetti interessati il Cdm fisserà la data, ragionevolmente nei tempi già previsti”.
Entra a questo punto nel vivo, dunque, la campagna elettorale in vista della consultazione referendaria. E a tenere banco in questi giorni di fine estate sono soprattutto gli esponenti del Pd meno ortodossi, quelli più lontani dall’universo di Matteo Renzi: gli ex Ds, o addirittura ex Pci.
Il primo della lista è, manco a dirlo, Massimo D’Alema, autore di un’attacco a tutto tondo contro il premier – segretario, il Pd e la riforma costituzionale dal palco della Festa dell’Unità di Catania, che oggi lancia ufficialmente “I dem per il No“. Alle 14 al Cinema Farnese di Roma, l’ex premier raduna i suoi per lanciare una campagna che surriscalda gli animi all’interno del Pd. Dieci i parlamentari Pd che hanno firmato un documento in cui spiegano il loro voto contrario alla riforma – Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiuti, Walter Tocci, Luisa Bossa, Angelo Capodicasa, Franco Monaco. Bisognerà vedere, però, quanti di questi saranno al cinema Farnese, solo il senatore Mucchetti ha annunciato la sua presenza. Secondo il Corriere della Sera, poi con D’Alema andranno i parlamentari Massimo Paolucci e Antonio Panzeri, più una serie di amministratori locali che “pesano” in termini elettorali. Ed è proprio qualcuno dei suoi che descrive le parole di D’Alema come molto vicine “all’idea di un’uscita del Pd in caso di vittoria del Sì al referendum”.
Una posizione, quella dell’ex presidente del Consiglio, che ha infiammato gli animi, suscitando la replica di altri due fondatori del Pd: Dario Franceschini e Piero Fassino. “A D’Alema, potrei dire di guardarsi alle spalle: ci sono le migliaia e migliaia di parole spese per invocare il superamento del bicameralismo, per chiedere più poteri per il premier, per chiedere la riduzione dei parlamentari. Tutte cose che ci sono nella riforma”, ha detto il ministro dei Beni culturali. “Ma anche senza guardare il passato – ha aggiunto Franceschini – lo inviterei a guardare in avanti, a immaginare cosa succede in Italia se il sistema resta così com’è, bloccato, bicamerale con le sue lentezze, con i suoi ritardi e inefficienze denunciati da tanti anni; o se invece il giorno dopo il referendum, si mette in condizione chi vincerà le prossime elezioni – noi speriamo di essere noi, speriamo che sia Renzi naturalmente – di trovarsi con un legge elettorale che dà una maggioranza stabile, con un parlamento con una sola camera che fa le le leggi e dà la fiducia; davvero un altro mondo, un mondo che tutti hanno sempre invocato”.
Risponde a D’Alema anche Fassino, che con lui ha condiviso tutta o quasi la carriera politica, prima nel Pci, poi nei Ds e quindi nei dem. Ed è proprio la tradizione di sinistra che rivendica l’ex sindaco di Torino per argomentare la sua posizione sul referendum. “I contenuti della riforma – dice intervistato dalla Stampa – sono coerenti con battaglie antiche della sinistra italiana. I militanti della Cgil o dell’Anpi che votano sono numerosi pure loro. Io sono vicinissimo alla tradizione partigiana, anche per vicende legate alla mia famiglia, ma non per questo mi sento in contraddizione votando Sì. Trovo sbagliato dare a questo voto una connotazione ideologica o, peggio, classista”.
E mentre D’Alema monopolizza l’agenda elettorale in vista della sfida a Renzi, anche gli altri ex Ds si organizzano in chiave Referendum. Lancia la sua Sinistra per il Sì, il ministro della Giustizia Andrea Orlando – che venerdì scorso non ha rinunciato a definire il Pd come un partito “che va rifondato, anzi fondato proprio” – mentre la corrente dei Giovani Turchi si è associata a quella del ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, lanciando un appello sottoscritto anche da Matteo Orfini, Anna Finocchiaro, Nicola Zingaretti, Sergio Zavoli, Gianni Pittella e Paola De Micheli.
E Gianni Cuperlo? L’ex presidente dei dem si fa segnalare soprattutto per un’aspra polemica con L’Unità, che gli attribuisce un attacco a D’Alema (“Un errore l’incontro di domani per il No”).”Spiace molto che L’ Unità, giornale a cui siamo tutti legati per ragioni politiche e affettive, abbia titolato la mia intervista di oggi con un virgolettato che non ho mai pronunciato”, ha replicato Cuperlo. Che però non ha ancora aderito al comitato per il No di D’Alema. L’ipotesi di un’ulteriore spaccatura dello stesso fronte del No interno al Pd non è da sottovalutare.