Una lunga scia di botti e attentati dinamitardi. Come gli ordigni sotto la casa di Romano Prodi, i plichi inviati a Sergio Cofferati e a Sergio Chiamparino, ma anche le bombe davanti alle caserme o le buste incendiarie ad aziende e giornali. Un’unica firma dietro le rivendicazioni: quella della Fai, Federazione anarchica informale, che non ha niente a che fare con la Federazione anarchica italiana fondata a Carrara nel ’45. Quella che oggi è stata colpita duramente dalle indagini della Procura di Torino che hanno portato in carcere sette persone è la più importante sigla nella galassia anarco-insurrezionalista italiana, nata nel 2003, con legami internazionali che vanno dalla Russia al Sud America e una struttura orizzontale complessa, difficile da inquadrare per gli investigatori.
“Distruzione dello Stato e del capitale”
Perché dietro a quel nome si celano una miriade di cellule eversive sparse per mezza Italia, affini ideologicamente, ma non collegate direttamente. Una sorta di contenitore all’interno del quale ad ogni gruppo viene garantita autonomia e anonimato (da qui la scelta dell’aggettivo “informale”). Ne fanno parte la Fai – Solidarietà Intemazionale, quelli della Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini – occasionalmente spettacolare, la Fai – Brigata 20 Luglio, la Cellula contro il Capitale il Carcere i suoi Carcerieri e le sue Celle. E ancora, le Sorelle in Armi e il Nucleo Rivoluzionario Horst Fantazzini, in onore dello storico scrittore e bandito anarchico individualista bolognese morto nel 2001. E tante altre ancora. Si tratta di “una struttura unitaria, ma operante attraverso una pluralità di sigle”, scrivono i magistrati nell’ordinanza firmata dal gip Anna Ricci, “scelte in ragione degli obiettivi di volta in volta perseguiti nell’ambito di specifiche campagne rivoluzionarie di lotta”. Un “patto di mutuo appoggio” per realizzare il progetto politico comune: la “distruzione dello Stato e del capitale”. Un obiettivo da realizzare con la lotta armata contro le istituzioni e i suoi rappresentanti: le strutture del “domino”. Secondo gli inquirenti in 13 anni di vita le varie cellule della FaInformale hanno compiuto una cinquantina di azioni. La più importante rimane quella contro l’ingegner Roberto Adinolfi, amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare, gambizzato il 7 maggio 2012 a Genova dai membri del Nucleo Olga.
Indagini partite dal ferimento di Adinolfi
Un attentato che venne subito considerato dagli investigatori “uno scatto in avanti” fatto dalla FaInformale, che per la prima volta pianifica e realizza un agguato che ricorda quelli delle Br degli anni Settanta. E’ proprio da quell’azione che scattano le indagini che oggi hanno portato all’arresto di sette persone in tutta Italia, otto invece sono gli indagati a piede libero. In carcere sono finiti Anna Beniamino, 46 anni, Marco Bisesti, 33 anni, Alessandro Mercogliano, 43 anni, Danilo Emiliano Cremonese, 40 anni, e Valentina Spaziale, 39 anni. Oltre che Alfredo Cospito, compagno della Beniamino, e Nicola Gai, già condannati per la gambizzazione di Adinolfi. Gli arrestati sono accusati di associazione finalizzata a compiere atti di violenza con finalità di terrorismo ed eversione. Secondo gli inquirenti sono responsabili, a vario titolo, di una decina di attentati messi a segno in questi anni dalla Fai, tra cui i pacchi bomba a Prodi, Cofferati, Chiamparaino e le bombe esplose davanti ad alcune caserme.
Arresti e perquisizioni in tutta Italia
L’operazione “Scripta manent” realizzata dalla Digos di Torino, coordinata dal servizio centrale Antiterrorismo della direzione centrale della polizia, ha fatto scattare controlli in tutta Italia: trentadue le persone e 29 gli immobili perquisiti tra Piemonte, Liguria, Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Sardegna, Abruzzo, Campania e Umbria. Perché se la base era a Torino, le diramazioni si estendevano in tutto il Paese. Il materiale raccolto nel procedimento in carico alla Procura del capoluogo piemontese, in cui sono confluiti per competenza anche i fascicoli di indagine delle procure di Genova, Milano, Perugia, Bologna e Lecce, ha consentito di dimostrare infatti che la Federazione Anarchica Informale è stata costituita per iniziativa di anarchici residenti a Torino che, insieme ad altri anarchici residenti tra l’altro a Viterbo, Pescara e Roma, “hanno promosso, organizzato e compiuto attentati – sostengono gli investigatori – alla vita e all’incolumità delle persone attraverso l’utilizzo di armi, l’invio di plichi esplosivi ed incendiari nonché la collocazione di ordigni esplosivi temporizzati, su diverse province del nostro Paese”.
“Ordigni fabbricati per uccidere”
In questi 13 anni di vita sono stati molti gli obiettivi dei gruppuscoli della Fai: sedi ed esponenti delle istituzioni, politici e amministratori, ma anche giornalisti, strutture aziendali e università. Ma soprattutto le forze dell’ordine. Finite nel mirino il 2 giugno del 2006, quando due bombe vennero piazzate davanti alla Scuola Allievi Carabinieri di Fossano (Cuneo) ed esplosero a distanza di poco tempo l’una dall’altra, per colpire il maggior numero di carabinieri possibile. Il 5 marzo del 2007 altri tre ordigni esplosero nella zona pedonale del quartiere Crocetta di Torino. Secondo gli inquirenti quelle bombe avevano “il preciso obiettivo di uccidere“. Entrambi gli attentati vennero rivendicati dalla Fai – Rivolta anonima e Tremenda che il 4 luglio 2006 prende di mira anche il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, inviandogli una busta incendiaria, così come al direttore del quotidiano Torino Cronaca Giuseppe Fossati.
Attentati a Prodi e Cofferati
La prima apparizione della Fai nel panorama terroristico italiano risale al 2003, quando a dicembre venne lanciata la campagna Santa Claus contro l’Unione europea, le sue strutture e i suoi rappresentanti. Il battesimo del fuoco. La Fai – Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare) fece esplodere due ordigni sotto la casa bolognese di Romano Prodi, all’allora presidente della Commissione europea. Il 24 ottobre 2005 nel Parco Ducale di Parma lo stesso gruppo piazzò un ordigno. Mentre il 2 novembre dello stesso anno, sempre la Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini rivendicò l’invio di un pacco bomba al sindaco Cofferati. Il salto di qualità avvenne con gli spari ad Adinolfi a Genova. L’ultimo attentato messo a segno è, invece, quello del gennaio 2016 al tribunale di Civitavecchia.