Ancora non si sa quando si voterà per il referendum costituzionale, ma nel mondo finanziario si susseguono le analisi più o meno interessate sui possibili esiti del voto italiano. Tra queste spicca lo studio di 14 pagine firmato Goldman Sachs. La posizione filo-governativa della banca d’affari statunitense non sorprende affatto: ha sostenuto Matteo Renzi fin dalla prima ora, ritenendo che dopo i governi tecnici di Monti e Letta fosse necessario un governo politico capace di dare la spinta necessaria alle riforme strutturali. Buona parte della nuova analisi dedicata all’Italia e al suo referendum, dunque, pesca a piene mani dai soliti luoghi comuni: una vittoria del “sì” rafforzerebbe Renzi e il percorso di riforme, una vittoria del “no” imprimerebbe invece una battuta d’arresto al cambiamento in atto e, soprattutto, segnerebbe un grosso punto a favore dei partiti populisti e antieuropei, alimentando l’instabilità politica (“anche se è del tutto improbabile che si vada ad elezioni anticipate”).

Insomma, più o meno le solite cose che si sentono da mesi. L’originalità dello studio di Goldman Sachs, però, non sta nell’analisi politica, ma nelle supposte conseguenze che il “no” avrebbe sui mercati: sostanzialmente nulle nel caso dei titoli di Stato grazie al quantitative easing della Bce, molto pesanti invece su MontePaschi e sul sistema bancario. In buona sostanza, in caso di vittoria del “no” sarà difficile che l’aumento di capitale possa avere successo perché verosimilmente gli investitori preferiranno aspettare che il quadro politico si chiarisca, con effetti che da MontePaschi potrebbero estendersi anche ad altre banche. La banca d’affari statunitense sottolinea anche che l’Italia è l’unico Paese europeo ad aver piazzato una fetta consistente del debito bancario nei portafogli delle famiglie (circa il 40% secondo i dati di Moody’s, vale a dire 4 volte più della Germania e 8 volte più di Francia e Spagna).

Cosa significa questo? “Che un governo forte che procede lungo il percorso di riforme volte a far ripartire la crescita potrebbe mitigare le preoccupazioni degli investitori, mentre una fase di turbolenza politica e uno stop al percorso riformista ridurrebbe le probabilità di arrivare a una soluzione di mercato per le banche in difficoltà, aumentando per contro quelle di un intervento del governo”. Insomma, come dire che votare “no” è da irresponsabili, perché equivale a volere il crollo del sistema bancario e l’azzeramento dei risparmi di milioni di italiani attraverso il meccanismo del bail-in. Un ragionamento che non sta né in cielo né in terra e che mira esclusivamente a spaventare l’elettorato. Le banche italiane e le loro debolezze sono molto chiare al mercato, come testimonia l’andamento dei titoli negli ultimi due anni, e non sarà certo l’esito del referendum costituzionale ad aggravarle.

Addossare all’esito referendario il rischio di far fallire la ricapitalizzazione del MontePaschi (il cui primo azionista è lo Stato italiano) è piuttosto un tentativo osceno di coprire i ritardi, l’improvvisazione e le responsabilità del governo per quanto sta accadendo. Osceno perché a scrivere queste cose non è un qualche controverso opinionista, ma una delle più grandi banche del mondo che in Italia fa tanti affari e che – guarda caso – è coinvolta direttamente anche nell’aumento Mps in qualità di Co-Global Coordinator e Joint Bookrunner.

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