La bordata contro l’euro lanciata dalle colonne del Financial Times dal premio Nobel Joseph Stiglitz piomba su un’Europa ancora disorientata dall’addio della Gran Bretagna. Un’Europa dove le spinte centrifughe acquistano forza, come dimostrano da ultimo le avanzate (o le ritirate) in ordine sparso sul tema del trattato commerciale con gli Usa, il Ttip. La tesi di Stiglitz, un euro strutturalmente debole che zavorra l’economia europea e che quindi sarebbe meglio abbandonare o dividere in due – uno per il Sud e uno per il Nord – è destinata a rinfocolare l’eterno dibattito sui pro e i contro moneta unica.
La posizione del premio Nobel è stata per la verità accolta con molte perplessità tra gli altri economisti e Paul De Grauwe, una delle massime autorità in materia di unioni monetarie, bolla l’ipotesi del doppio euro come “fantascienza“. Pregi e difetti di un’unica valuta per Paesi con caratteristiche economiche differenti sono da tempo al centro di studi e valutazioni non sempre concordanti. Tra i più noti quello condotto nel 1961 dall’economista e premio Nobel Robert Mundell, intitolato “teoria delle aree valutarie ottimali”, che enfatizza i costi che comporta l’adesione a un’unione monetaria e la rinuncia alla gestione di una propria politica monetaria. Il punto è che senza possibilità di manovrare i tassi di cambio (e dunque svalutare la moneta per rendere, almeno temporaneamente, i propri prodotti più competitivi) le crisi di domanda sono destinate ad abbattersi direttamente su occupazione e salari.
In assenza di flessibilità salariale o della possibilità di spostarsi facilmente dove c’è maggiore offerta di lavoro, diventa difficile per un Paese superare la fase di impasse. Della questione si occupò nel 1991 anche un altro premio Nobel, Paul Krugman, e nel 1990 la commissione Ue diffuse il rapporto “One Market, One Money” in cui, comprensibilmente, si poneva però l’accento sui benefici di un’unica moneta. Quel report servì da base per costruire l’edificio della moneta unica. Comunque la si pensi, è difficile affermare che finora l’euro abbia aiutato la crescita economica. Questo anche prima della crisi. L’incremento del pil dell’area euro tra il 1992 e il 1998 è stato infatti esattamente lo stesso del periodo 1999-2006: +1,5% l’anno circa.
Stiglitz sposta però la sua analisi sul periodo che va dal 2008 ad oggi, e di fronte alla deludente performance dell’economia europea afferma “l’euro avrebbe dovuto portare prosperità e accrescere la solidarietà tra gli stati membri. E’ successo esattamente l’opposto”. Quindi, è la sua conclusione, “è arrivato il momento di ripensare alla radice la struttura della moneta unica ipotizzando anche il suo smantellamento”. Secondo il premio Nobel l’euro è nato debole, la sua architettura è sbagliata all’origine e politiche economiche errate, troppo improntate all’austerità, hanno peggiorato la situazione. Sebbene secondo Stiglitz l’euro sia di per sè un problema, l’economista concede che con alcuni correttivi (unione bancaria, assicurazione comune sui depositi, maggiore solidarietà tra paesi ricchi e poveri) le cose potrebbero migliorare. Il premio Nobel è però pessimista sulla volontà politica dei Paesi membri di procedere in questa direzione. Se alla fine si scegliesse il divorzio consensuale Stiglitz suggerisce una fase di transizione con due euro. Uno per i paesi economicamente più forti del Nord Europa, un altro, con cambio più debole, per i paesi del Sud. Anche in questo caso non mancherebbero i problemi, a cominciare dalla ridenominazione dei debiti. Tuttavia, con una buona dose di volontà e impegno attraverso questa strada la separazione potrebbe non essere così traumatica.
Il professor Gustavo Piga, che insegna economia all’università Tor Vergata di Roma, condivide le considerazioni di Stiglitz sugli errori nelle politiche economiche ma ridimensiona il ruolo dell’euro nella genesi delle difficoltà del Vecchio Continente. “La moneta unica è spesso usata come un capro espiatorio“, spiega Piga, “ma la verità è che un’area che adotta una sola valuta può funzionare soltanto se c’è una forte solidarietà tra le aree ricche e quelle meno prospere. Gli Stati Uniti insegnano, il dollaro è stato per lungo tempo un generatore di tensioni e guerre civili. Soltanto quando si è introdotto un meccanismo di trasferimenti automatici tra le diverse aree della confederazione il sistema ha cominciato a funzionare bene e a generare vantaggi per tutti. Se ci sono sistemi di questo tipo gli choc che colpiscono i diversi paesi in modo asimmetrico possono essere gestiti”.
Il problema è la politica più che la moneta. La domanda chiave per i paesi euro è capire se valga la pena aspettare che si compia questa “rivoluzione”. Non è però detto che abbandonare l’euro cambierebbe radicalmente le cose. “Stiglitz sbaglia”, ragiona Piga, “quando pensa che l’uscita dall’euro produrrebbe di per sé un mutamento nelle politiche economiche dei singoli paesi. Se ci sono strategie improntate sull’austerità è perché esistono blocchi sociali e politici che le sostengono. E questo vale per tutti i paesi membri. Quello che è davvero importante”, continua il professore, “è che si rafforzino quelle forze di opposizione portatrici di una visione diversa in merito alle politiche economiche da adottare in un’unione monetaria”. Piga esprime perplessità anche sull’ipotesi dell’euro a due velocità. “Una volta che certe forze centrifughe vengono innescate”, avverte il professore, “è illusorio pensare che possano essere gestite e controllate. Se ci sarà una spaccatura dell’euro sarà definitiva e profonda e difficilmente è ipotizzabile un passaggio non traumatico ad un’Unione europea senza moneta unica”.
Anche Lorenzo Codogno, che oggi insegna alla London School of Economics ed è stato in passato direttore generale del Tesoro, non condivide le critiche di Stiglitz sull’euro in quanto tale. “A mio parere”, afferma Codogno, “è sbagliato affermare che anche con politiche diverse l’euro sia comunque destinato a fallire poiché costruito male. Le critiche di Stiglitz alle scelte fatte dopo la crisi le considero invece giuste”. Infatti, spiega l’economista, “è prevalsa la logica dell’ognuno per sé senza nessuna forma di solidarietà tra paesi e questa è stata senza dubbio un’impostazione sbagliata che ha prodotto danni”. “Purtroppo”, nota Codogno, “al momento non ritengo ci sia in Europa una volontà di cambiare le politiche economiche. In particolare la Germania appare particolarmente intransigente, anche perché tutto è bloccato in vista delle elezioni del settembre 2017”.
Qualche segnale di speranza però esiste, concede Codogno: “Il documento presentato dai cinque presidenti (Jean Claude Juncker, Donald Tusk, Mario Draghi, Martin Schultz, Jeroen Dijsselbloem) intitolato “Completare l’Unione politica e monetaria dell’Europa” è piuttosto timido ma è senza dubbio un passo nella giusta direzione. L’alternativa potrebbe essere molto problematica. Codogno ritiene che il Nobel commetta un errore quando afferma che si potrebbe abbandonare l’euro in modo relativamente indolore. I problemi tecnici sono tanti e notevoli, spiega Codogno ma soprattutto “il solo parlarne è pericoloso. Finché è un dibattito tra accademici non accade nulla ma appena l’ipotesi venisse anche lontanamente presa in considerazione da qualche politico si alzerebbe immediatamente il livello di rischio percepito dai mercati. Gli operatori economici reagirebbero immediatamente, si scatenerebbero corse agli sportelli e, a cascata, i default di debiti sovrani e privati”.
Zonaeuro
Euro a due velocità, i dubbi sull’idea di Stiglitz: ‘Moneta unica capro espiatorio. Il problema sono le politiche economiche’
Per Gustavo Piga, che insegna economia a Tor Vergata, il vero problema è che non c'è "solidarietà tra le aree ricche e quelle meno prospere". Negli Usa "il sistema ha iniziato a funzionare bene solo quando sono partiti i trasferimenti automatici tra gli Stati". Lorenzo Codogno, ex dg del Tesoro: "Parlare di addio all'euro è pericoloso: rischio corsa agli sportelli e default sovrani"
La bordata contro l’euro lanciata dalle colonne del Financial Times dal premio Nobel Joseph Stiglitz piomba su un’Europa ancora disorientata dall’addio della Gran Bretagna. Un’Europa dove le spinte centrifughe acquistano forza, come dimostrano da ultimo le avanzate (o le ritirate) in ordine sparso sul tema del trattato commerciale con gli Usa, il Ttip. La tesi di Stiglitz, un euro strutturalmente debole che zavorra l’economia europea e che quindi sarebbe meglio abbandonare o dividere in due – uno per il Sud e uno per il Nord – è destinata a rinfocolare l’eterno dibattito sui pro e i contro moneta unica.
La posizione del premio Nobel è stata per la verità accolta con molte perplessità tra gli altri economisti e Paul De Grauwe, una delle massime autorità in materia di unioni monetarie, bolla l’ipotesi del doppio euro come “fantascienza“. Pregi e difetti di un’unica valuta per Paesi con caratteristiche economiche differenti sono da tempo al centro di studi e valutazioni non sempre concordanti. Tra i più noti quello condotto nel 1961 dall’economista e premio Nobel Robert Mundell, intitolato “teoria delle aree valutarie ottimali”, che enfatizza i costi che comporta l’adesione a un’unione monetaria e la rinuncia alla gestione di una propria politica monetaria. Il punto è che senza possibilità di manovrare i tassi di cambio (e dunque svalutare la moneta per rendere, almeno temporaneamente, i propri prodotti più competitivi) le crisi di domanda sono destinate ad abbattersi direttamente su occupazione e salari.
In assenza di flessibilità salariale o della possibilità di spostarsi facilmente dove c’è maggiore offerta di lavoro, diventa difficile per un Paese superare la fase di impasse. Della questione si occupò nel 1991 anche un altro premio Nobel, Paul Krugman, e nel 1990 la commissione Ue diffuse il rapporto “One Market, One Money” in cui, comprensibilmente, si poneva però l’accento sui benefici di un’unica moneta. Quel report servì da base per costruire l’edificio della moneta unica. Comunque la si pensi, è difficile affermare che finora l’euro abbia aiutato la crescita economica. Questo anche prima della crisi. L’incremento del pil dell’area euro tra il 1992 e il 1998 è stato infatti esattamente lo stesso del periodo 1999-2006: +1,5% l’anno circa.
Stiglitz sposta però la sua analisi sul periodo che va dal 2008 ad oggi, e di fronte alla deludente performance dell’economia europea afferma “l’euro avrebbe dovuto portare prosperità e accrescere la solidarietà tra gli stati membri. E’ successo esattamente l’opposto”. Quindi, è la sua conclusione, “è arrivato il momento di ripensare alla radice la struttura della moneta unica ipotizzando anche il suo smantellamento”. Secondo il premio Nobel l’euro è nato debole, la sua architettura è sbagliata all’origine e politiche economiche errate, troppo improntate all’austerità, hanno peggiorato la situazione. Sebbene secondo Stiglitz l’euro sia di per sè un problema, l’economista concede che con alcuni correttivi (unione bancaria, assicurazione comune sui depositi, maggiore solidarietà tra paesi ricchi e poveri) le cose potrebbero migliorare. Il premio Nobel è però pessimista sulla volontà politica dei Paesi membri di procedere in questa direzione. Se alla fine si scegliesse il divorzio consensuale Stiglitz suggerisce una fase di transizione con due euro. Uno per i paesi economicamente più forti del Nord Europa, un altro, con cambio più debole, per i paesi del Sud. Anche in questo caso non mancherebbero i problemi, a cominciare dalla ridenominazione dei debiti. Tuttavia, con una buona dose di volontà e impegno attraverso questa strada la separazione potrebbe non essere così traumatica.
Il professor Gustavo Piga, che insegna economia all’università Tor Vergata di Roma, condivide le considerazioni di Stiglitz sugli errori nelle politiche economiche ma ridimensiona il ruolo dell’euro nella genesi delle difficoltà del Vecchio Continente. “La moneta unica è spesso usata come un capro espiatorio“, spiega Piga, “ma la verità è che un’area che adotta una sola valuta può funzionare soltanto se c’è una forte solidarietà tra le aree ricche e quelle meno prospere. Gli Stati Uniti insegnano, il dollaro è stato per lungo tempo un generatore di tensioni e guerre civili. Soltanto quando si è introdotto un meccanismo di trasferimenti automatici tra le diverse aree della confederazione il sistema ha cominciato a funzionare bene e a generare vantaggi per tutti. Se ci sono sistemi di questo tipo gli choc che colpiscono i diversi paesi in modo asimmetrico possono essere gestiti”.
Il problema è la politica più che la moneta. La domanda chiave per i paesi euro è capire se valga la pena aspettare che si compia questa “rivoluzione”. Non è però detto che abbandonare l’euro cambierebbe radicalmente le cose. “Stiglitz sbaglia”, ragiona Piga, “quando pensa che l’uscita dall’euro produrrebbe di per sé un mutamento nelle politiche economiche dei singoli paesi. Se ci sono strategie improntate sull’austerità è perché esistono blocchi sociali e politici che le sostengono. E questo vale per tutti i paesi membri. Quello che è davvero importante”, continua il professore, “è che si rafforzino quelle forze di opposizione portatrici di una visione diversa in merito alle politiche economiche da adottare in un’unione monetaria”. Piga esprime perplessità anche sull’ipotesi dell’euro a due velocità. “Una volta che certe forze centrifughe vengono innescate”, avverte il professore, “è illusorio pensare che possano essere gestite e controllate. Se ci sarà una spaccatura dell’euro sarà definitiva e profonda e difficilmente è ipotizzabile un passaggio non traumatico ad un’Unione europea senza moneta unica”.
Anche Lorenzo Codogno, che oggi insegna alla London School of Economics ed è stato in passato direttore generale del Tesoro, non condivide le critiche di Stiglitz sull’euro in quanto tale. “A mio parere”, afferma Codogno, “è sbagliato affermare che anche con politiche diverse l’euro sia comunque destinato a fallire poiché costruito male. Le critiche di Stiglitz alle scelte fatte dopo la crisi le considero invece giuste”. Infatti, spiega l’economista, “è prevalsa la logica dell’ognuno per sé senza nessuna forma di solidarietà tra paesi e questa è stata senza dubbio un’impostazione sbagliata che ha prodotto danni”. “Purtroppo”, nota Codogno, “al momento non ritengo ci sia in Europa una volontà di cambiare le politiche economiche. In particolare la Germania appare particolarmente intransigente, anche perché tutto è bloccato in vista delle elezioni del settembre 2017”.
Qualche segnale di speranza però esiste, concede Codogno: “Il documento presentato dai cinque presidenti (Jean Claude Juncker, Donald Tusk, Mario Draghi, Martin Schultz, Jeroen Dijsselbloem) intitolato “Completare l’Unione politica e monetaria dell’Europa” è piuttosto timido ma è senza dubbio un passo nella giusta direzione. L’alternativa potrebbe essere molto problematica. Codogno ritiene che il Nobel commetta un errore quando afferma che si potrebbe abbandonare l’euro in modo relativamente indolore. I problemi tecnici sono tanti e notevoli, spiega Codogno ma soprattutto “il solo parlarne è pericoloso. Finché è un dibattito tra accademici non accade nulla ma appena l’ipotesi venisse anche lontanamente presa in considerazione da qualche politico si alzerebbe immediatamente il livello di rischio percepito dai mercati. Gli operatori economici reagirebbero immediatamente, si scatenerebbero corse agli sportelli e, a cascata, i default di debiti sovrani e privati”.
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Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Le scelte nello stile di vita possono avere un impatto significativo anche nella gestione della fibrillazione atriale, un disturbo del ritmo cardiaco che rischia di sviluppare 1 over 40 su 4 e che rappresenta una delle principali cause di ictus che colpisce milioni di donne e uomini in tutta Europa. Alcuni alimenti come alcol, caffeina o cibi piccanti possono scatenare un episodio di questa condizione cronica che spesso può passare inosservata: molti non ne sono consapevoli e non ricevono una diagnosi. Per aiutare le persone a comprendere meglio il legame tra alimentazione e fibrillazione atriale - riporta una nota - Daiichi Sankyo Europe ha ospitato a Milano oggi 'Beats and Bites', che gioca sul suono dei termini inglesi 'battiti e morsi'. All'evento, esperti di malattie cardiovascolari insieme alla European Nutrition for Health Alliance e Alice (Associazione per la lotta all'ictus cerebrale) Lombardia hanno affrontato le preoccupazioni comuni ed evidenziato le strategie di riduzione del rischio con la partecipazione dello chef italiano Ruben Bondì, che ha creato un menù di ricette semplici, gustose e salutari per il cuore.
"Gli operatori sanitari oggi devono fornire ai pazienti le giuste informazioni per comprendere il loro rischio di fibrillazione atriale e adottare misure proattive di prevenzione - spiega Daniele Andreini, direttore della Divisione di Cardiologia universitaria e Imaging cardiaco dell'Irccs ospedale Galeazzi Sant'Ambrogio di Milano - I cambiamenti nello stile di vita, come il movimento regolare e l'alimentazione equilibrata, svolgono un ruolo cruciale nel migliorare la salute del cuore". Tra le strategie alimentari da adottare, gli esperti consigliano: consumare 2 porzioni di pesce ricco di omega-3 alla settimana per gli adulti e ridurre il sale a meno di 5 g al giorno; fare attenzione alle dimensioni delle porzioni e gestire i livelli di stress e di sonno, che potrebbero portare all'obesità e complicare i problemi cardiovascolari se non gestiti correttamente. Infine, fare circa 2 ore di esercizio fisico di intensità moderata alla settimana - passeggiare, fare le scale o ballare - oltre ad un allenamento di resistenza, 2 giorni alla settimana.
"Eventi come 'Beats and Bites' forniscono un utile supporto, offrendo consigli pratici e mostrando l'impatto che semplici cambiamenti nella dieta e nel movimento possono avere nel ridurre il rischio di fibrillazione atriale - rimarca Giacomo Falzi, vicepresidente Alice Lombardia - E' incoraggiante vedere al centro dell'attenzione il benessere dei pazienti, con esperti e sostenitori che si uniscono per dare a individui e famiglie la possibilità di assumere il controllo della propria salute cardiovascolare".
Le lacune nella conoscenza e nella gestione della fibrillazione atriale lasciano molti pazienti senza le informazioni e il supporto di cui hanno bisogno. "Daiichi Sankyo Europa aspira ad arricchire la qualità della vita delle persone in tutto il mondo - afferma Ilaria Leggeri, direttore del Patient Engagement della farmaceutica - Per questo è necessario andare oltre la malattia, guardare alle persone che convivono con la patologia, alla loro qualità della vita, alle loro scelte di vita e ai risultati che contano per loro". L'evento 'Beats and Bites' fa parte della più ampia iniziativa dell'azienda 'Il tuo cuore, nelle tue mani: fibrillazione atriale', dedicata all'educazione e alla responsabilizzazione delle persone, affinché diano priorità alla loro salute cardiovascolare.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - In occasione della Giornata dell'Unità nazionale e del Tricolore, che ricorre lunedì prossimo, 17 marzo, sulla facciata di Montecitorio verrà proiettata la bandiera nazionale, dalla mezzanotte e nelle successive ore serali e notturne.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.