Il video hot che la vedeva protagonista era iniziato a circolare senza il suo consenso su whatsapp e Facebook ed era diventato virale in rete. Per lei, però, era diventato un incubo: aveva dovuto cambiare cognome, era andata in depressione e aveva tentato il suicidio pochi giorni fa. Ieri pomeriggio il corpo senza vita di Tiziana Cantone, 31 anni, è stato ritrovato in uno scantinato di Mugnano, in provincia di Napoli, a casa di alcuni parenti. A ritrovarla intorno alle 16 è stata la zia. La ragazza si è impiccata con un foulard.
Da un anno e mezzo la vita di Tiziana Cantone era diventata un inferno. I video hot – in uno la donna diceva “stai facendo il video? Bravoh” – erano finiti online. Una spirale di vergogna che l’aveva costretta a fuggire dal suo comune di residenza, e che l’ha portata a togliersi la vita nell’abitazione dove viveva da qualche tempo, con la madre.
Tiziana aveva ingaggiato anche una battaglia legale per il diritto all’oblio. Il suo avvocato, Roberta Foglia Manzillo, aveva ottenuto di recente dal tribunale di Napoli nord un provvedimento d’urgenza, ex articolo 700, con il quale si intimava a un social network di rimuovere post, commenti e contenuti multimediali relativi alla donna. Ma il danno ormai era stato consumato: malgrado lei avesse anche avviato le procedure per il cambio di cognome, la diffusione capillare delle immagini, della sua foto, delle generalità rappresentava una ferita non rimarginabile. La causa le era costata anche una condanna a un maxi-risarcimento. Perché il giudiceaveva accolto solo parzialmente le richieste stabilendo che per alcuni motori di ricerca e altri siti, che avevano già provveduto alla rimozione delle immagini e dei commenti, l’azione era da respingere. La domanda, invece, era stata accolta nei confronti di Facebook e di altri soggetti ai quali veniva imposta l’immediata rimozione di ogni post o pubblicazione con commenti e apprezzamenti riferiti alla donna. Per il magistrato la vittima non aveva il diritto all’oblio perché “presupposto fondamentale perché l’interessato possa opporsi al trattamento dei dati personali adducendo il diritto all’oblio – scrive il giudice nelle motivazioni – è che tali dati siano relativi a vicende risalenti nel tempo”
Per quanto riguarda, poi, le spese il giudice aveva condannato Facebook e altri tre soggetti al pagamento di 320 euro ciascuno per esborsi e 3645 euro per compensi professionali. Ma la ricorrente era stata condannata al rimborso nei confronti di editori e colossi del web di 3.645 euro, per ciascuno, per le spese legali oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% perché considerata consenziente. In pratica le somme che avrebbe dovuto dare e ricevere a titolo di esborsi e spese legali si sarebbero equivalse.
Sul web la vicenda della donna rimbalzava da tempo. C’è chi riferisce di un precedente tentativo di suicidio, chi descrive il progressivo aggravarsi della sua depressione. La vicenda sarebbe iniziata come un gioco: lei stessa avrebbe inviato per gioco quelle immagini a un ristretto numero di amici, uno dei quali l’avrebbe tradita trasmettendo il video a qualcun altro. E così via, in una catena di inarrestabile diffusione. Le immagini erano finite praticamente ovunque, siti porno compresi, dando vita sul web a una catena di insulti e dileggi.
Alta, bruna, capelli lunghi e sguardo intenso, un corpo da modella. La donna lavorava nel locale di cui erano titolari i genitori, in provincia di Napoli, e in seguito alla diffusione dei video era stata costretta prima a lasciare l’attività, poi a trasferirsi fuori Campania. Di recente era tornata in provincia di Napoli, ma il peso di questa vicenda si era fatto insostenibile, in un crescendo di angoscia e depressione.
Adesso la Procura di Napoli nord ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio: le indagini per chiarire ogni aspetto della vicenda sono condotte dal procuratore Francesco Greco e dal sostituto Rossana Esposito. Gli inquirenti valuteranno la possibilità che nel corso dell’inchiesta si possano configurare altri reati che vanno dalla violazione della privacy allo stalking.
“In questa storia – osserva la presidente della Camera Laura Boldrini – vedo una deriva preoccupante dell’utilizzo del web come gogna mediatica che può portare alle estreme conseguenze. Internet e i Social media sono uno strumento utile alla conoscenza e allo sviluppo di relazioni umane ed economiche ma questo caso ci conferma quanto sia necessario incrementare le attività di prevenzione e di educazione all’uso consapevole della rete”.