“Renzi sta facendo diventare il referendum un voto su di lui. Come ai tempi di Pinochet in Cile. E sappiamo come è finita”. Il paragone tra l’atteggiamento del presidente del Consiglio e il dittatore cileno è del deputato e membro del direttorio M5s Luigi Di Maio che in mattinata ha pubblicato un post su Facebook con tanto di gaffe. In una prima versione del testo infatti ha scritto “in Venezuela”, sbagliando il Paese di provenienza e attirandosi ironie e critiche degli avversari politici. “Attaccare il premier è legittimo. Paragonare l’Italia ad una dittatura è squallido. Di Maio piccolo uomo”, ha detto il sottosegretario Luca Lotti. “Non sa leggere le mail e parla a vanvera. Ma lo sa dove si trova il Cile?” ha ribattuto su Twitter il senatore Andrea Marcucci. Non c’è pace per il parlamentare grillino. Dopo una settimana al centro delle polemiche per la gestione della crisi della giunta 5 stelle in Campidoglio e dopo aver chiesto scusa per aver nascosto il fatto che l’assessora Muraro è indagata, il vicepresidente della Camera si guadagna nuove critiche. La gaffe, secondo le indiscrezioni dell’agenzia Adnkronos, ha provocato non pochi nervosismi anche negli uffici della Casaleggio associati che hanno telefonato allo staff comunicazione a Roma.
Di Maio poi intervistato su Rai3 a “Politics” ha spiegato: “La mia era una provocazione, non ho mai detto che era un sanguinario. Ma sono arrabbiato con Renzi per come ha occupato le istituzioni, soprattutto da un premier arrivato a Palazzo Chigi grazie a un tweet, staisereno”. Quello sul Venezuela invece “è stato un lapsus che ho corretto subito, mi prendo tutte le responsabilità”. Per giustificarlo è intervenuto anche il collega Alessandro Di Battista, intervistata da Otto e mezzo su La7: “Sono parole forti ma occorre spiegare e vorrei sapere se in un altro Paese europeo un premier ha la possibilità di nominare lui i direttori di rete della tv pubblica che a loro volta nominano i direttori dei Tg. Sono provocazioni ma servono a far capire che siamo in una dittatura mediatica”.
La frase incriminata del post su Facebook recitava: “Renzi sta facendo diventare il referendum di ottobre, novembre o dicembre (ci faccia sapere la data, quando gli farà comodo) un voto sul suo personaggio che ha occupato con arroganza la cosa pubblica, come ai tempi di Pinochet in Cile. E sappiamo come è finita”. Il deputato grillino ha argomentato il suo parallelismo dicendo che “i comizi di Renzi sono diventati un problema di ordine pubblico”. “Le feste de l’Unità”, si legge sulla sua pagina Facebook, “quando le frequenta lui, diventano Fort Knox. Mentre lui arringa poche centinaia di persone sulle ragioni – meglio chiamarle bugie – del Sì, il suo ministro dell’Interno fa manganellare i cittadini, fa allontanare chi sostiene il No ed il tutto viene oscurato sistematicamente dai direttori dei telegiornali che ha appena nominato”.
Di Maio se la prende con il presidente del Consiglio perché, dice, la modifica della Costituzione non è una priorità per l’Italia: “Parla di legge elettorale e di referendum, mentre i cittadini chiedono soluzioni ai problemi reali: meno tasse, lavoro, reddito, sviluppo, diritto alla salute e all’istruzione. Ma soprattutto parla di modifiche alla nostra Costituzione”. Secondo il deputato grillino Renzi non avrebbe la legittimazione necessaria per fare le riforme: “Un presidente del Consiglio mai passato per il voto, che non ha mai presentato un programma elettorale agli elettori e che è a capo di una maggioranza eletta con una legge dichiarata incostituzionale. Non è un presidente del Consiglio ma il più grande provocatore del popolo italiano, un Presidente non eletto, senza alcuna legittimazione popolare, che sorride mentre le persone soffrono”. Il deputato M5s ha poi annunciato che oggi 13 settembre sarà ospite su Rai3 nella puntata di Politics, la stessa che ha disertato una settimana fa in pieno caos della giunta a Roma. “Noi continueremo a raccontare i pericoli della riforma costituzionale“, ha concluso su Facebook, “il nostro obiettivo è salvare la Carta fondamentale del Paese dalle sue oscene modifiche. Questa non è una riforma, è un attentato alla democrazia”.
In difesa di Renzi si sono schierati tutti gli esponenti del Pd, compresi quelli della minoranza dem. “La sua”, ha detto Gianni Cuperlo, “rappresenta una deriva di linguaggio intollerabile, sbagliata e pericolosa. Di Maio è molto giovane e ha davanti a sé una carriera radiosa. Anche per questo dovrebbe riflettere (e poi riflettere, e ancora riflettere) prima di usare espressioni che non sono soltanto offensive ma profondamente irresponsabili. E il principio di responsabilità per una classe dirigente conta molto. A cominciare dalle parole”. Su Twitter anche il leader della minoranza Pd Roberto Speranza ha preso le difese del premier: “Sul paragone tra Renzi e Pinochet”, ha scritto su Twitter, “Di Maio del tutto fuori misura. Così dimostra solo l’improvvisazione e la povertà dei propri argomenti”. I dem hanno anche deriso la gaffe del vicepresidente della Camera: “Magari fra un po’ ci parlerà del cileno Chavez”, ha scritto David Sassoli, “dell’egiziano Erdogan o dello spagnolo Hollande… Di Maio show”. E infine la vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani: “Ricordo a tutti che Di Maio è quello bravo. Quello che rappresenta il loro partito all’estero”, ha scritto su Twitter.