Il processo non rischia la prescrizione. Ma la strategia difensiva di Roberto Maroni, imputato per le ipotizzate pressioni per far ottenere contratti a due fedelissime, sembra voler allontanare il più possibile nel tempo il giorno della sentenza: il giudizio si è aperto il 30 novembre 2015 e a poco meno di 10 mesi non è stato ancora dichiarata l’apertura del dibattimento. Ma perché? La posta in gioco è altissima: una condanna – su cui scommette così tanto il Pd lombardo che, stando ad Affaritaliani.it, pare si stiano preparando già i comitati elettorali – innescherebbe la legge Severino. Uno dei due reati contestati al governatore leghista, ovvero l’induzione indebita (l’altro è turbata libertà nel procedimento), prevede in caso di verdetto di responsabilità la sospensione e la decadenza dalle cariche pubbliche. Tra un legittimo impedimento e un’astensione, tra un rinvio per elezioni e un po’ di melina sul calendario, il processo iniziato il 30 novembre 2015 è ancora alle battute iniziali e il dibattimento non è stato ancora dichiarato aperto. Grazie a una tattica dilatoria – del tutto legittima – che ricorda quella berlusconiana, guadagnare tempo e ancora tempo. “No, non è vero che vogliamo dilatare i tempi del processo. È il pm che vuole andare veloce perché si vuole appuntare la medaglia sul petto” dice Michele Aiello, unico difensore del presidente della Regione Lombardia nonché avvocato del Pirellone e nel consiglio dei liquidatori di Expo (dopo esserne stato consigliere).
Dall’interrogatorio saltato al legittimo impedimento
Eppure a mettere in fila i fatti il nastro di questa storia registra un’altra possibilità. L’affaire delle fedelissime sistemate con due contratti (prorogati a processo iniziato) diventa cronaca giudiziaria il 14 luglio 2014. La notizia delle indagini – pesantemente criticate da Maroni (“Sono inchieste del cazzo… se questa è la giustizia italiana ragazzi, bisogna fare gli scongiuri”) – si arricchisce subito di un rumor. Nel corridoio al quarto piano del Palazzo di Giustizia dopo l’estate comincia a circolare la notizia di un possibile interrogatorio di Maroni, pronto a chiarire tutto e subito. Ma passa un anno. L’incontro, fissato a fatica con il pm Eugenio Fusco, salta all’ultimo momento perché a detta del difensore la notizia si era diffusa tra i cronisti e l’interrogatorio doveva “avvenire a riparo delle telecamere”. Ma perché un anno di trattative e poi nulla di fatto? Il legale sostiene che il tira e molla sia durato solo due settimane “da 14 luglio al 1 agosto”. A questo punto è la stessa difesa a chiedere il giudizio immediato.
Ma tra questa richiesta e la prima udienza il 30 novembre per Maroni – rinviata perché il difensore aderiva all’astensione proclamata dall’Unione delle Camere penali – arriva la condanna a 4 mesi per Christian Malagone, ex dg di Expo. Il processo slitta poi ancora di quattro mesi e arriva alla data del 3 marzo 2016 per riunire le posizioni degli imputati divise dalla scelta del rito da parte delle difese. In primavera sembra che il dibattimento possa iniziare, ma l’udienza viene aperta e richiusa con slittamento al 5 maggio per un legittimo impedimento del difensore (impegnato in altri procedimenti) e dello stesso imputato. In questa occasione c’era stato un botta e risposta tra accusa e difesa sul calendario del dibattimento, perché i legali degli imputati avevano fatto presente ai giudici di avere impegni concomitanti per una serie di date che erano state individuate. Ad un certo punto il pm di Milano Eugenio Fusco, che in passato si è occupato si processi come Parmalat e Antoveneta – era intervenuto dicendo: “Sono solo quattro imputati per due capi di imputazione, è un ‘processetto’ e se si vuole si possono esaurire i miei testi fissando udienze in una sola settimana”. “Lo ha detto lei che è un ‘processetto'” aveva risposto Aiello. “I processi si devono fare, piccoli o grandi che siano” aveva poi chiosato il presidente del collegio Oscar Magi.
Ma anche il 5 maggio non si era celebrato il processo perché il governatore, capolista a Varese per ordine del Consiglio Federale del Carroccio come avvenuto per Salvini a Milano e Calderoli a Bergamo, aveva chiesto e ottenuto un rinvio al 23 giugno. In prossimità del periodo feriale quindi era state fissate solo due udienze con la prospettiva che da settembre sarebbe stato celebrato il processo ogni giovedì. E invece no. Si farà così solo da gennaio perché anche ieri l’udienza, stando alla cronaca fatta dalla agenzie di stampa, è stata vivace.
Tra eccezioni e calendario difficile
Doveva parlare il solo pubblico ministero in replica alle eccezioni sollevate dalla difesa, ma i legali hanno più o meno chiesto parola e sollevato altre questioni come quella sulla inutilizzabilità delle intercettazioni. In primis l’avvocato Di Capua, che insieme allo stesso Aiello difende Giacomo Ciriello, capo della segreteria di Maroni, sulla questione della “ministerialità” del reato (Maroni era responsabile del Viminale quando fu intercettato nell’ambito dell’inchiesta Finmeccanica che ha poi generato questa inchiesta, ndr) e poi lo stesso Aiello che si era riservato di presentare documentazione ma poi ha parlato della inattendibilità di Lorenzo Borgogni (ex manager di Finmeccanica che aveva parlato di una presunta tangente alla Lega Nord che ha portato a un’inchiesta poi archiviata). Per il difensore le conversazioni sono “inutilizzabili” perché disposte nell’ambito di un altro procedimento (Finmeccanica, appunto) e il pm avrebbe dovuto “trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri”. A questo punto Aiello ha chiesto un “gentleman agreement” affinché il pm rinunciasse alle intercettazioni. Richiesta rispedita al mittente. Il Tribunale si è ritirato in camera di consiglio e ha quindi respinto tutte le eccezioni della difesa.
A questo punto qualche tensione in aula – riporta l’Ansa – si è verificata anche quando si è trattato di decidere il calendario. Tensione che ha portato il giudice Guadagnino ad annunciare che da gennaio il processo si terrà (di nuovo) ogni giovedì, e far slittare, per impegni professionali di Aiello (che rappresenta la Regione parte civile nel processo sulle tangenti nella sanità a Monza) e di un altro difensore, l’udienza del 22 settembre nella quale si sarebbe dovuto conferire l’incarico a un perito per la trascrizione delle intercettazioni. Incarico che quindi verrà conferito in una nuova udienza programmata per il prossimo 6 ottobre, mentre il 20 ottobre si comincerà con i testi dei pm. Insomma il dibattimento di fatto non è stato ancora dichiarato aperto. E il giudizio entrerà nel vivo, impedimenti permettendo, solo in autunno inoltrato quasi a un anno della prima udienza. Aiello, a domanda del fattoquotidiano.it, sulla possibilità di far coincidere gli impegni di avvocato personale del governatore e quello della Regione, risponde però che non ci saranno rinvii perché ha “solo due procedimenti (l’altro è il processo contro Roberto Formigoni, ndr)”.
Meglio così perché si intuisce che ci sarà grande battaglia in aula. Nella lista dei 33 testi dell’accusa c’è anche il primo cittadino di Milano (chiamato anche dalla difesa) e si vivrà la singolare situazione in cui il sindaco dovrà rispondere a domande su presunte pressioni del presidente della Regione quando era ad di Expo 2015: “Ah, sì è anche teste della difesa. Il pm lo ha archiviato due volte Sala” mormora il legale. Poi la promessa “a ridosso di Natale, vediamo se sarà un regalo di Natale o della Befana – ironizza Aiello – Maroni si farà interrogare”.