Oggi è il 960-esimo giorno da quando ho mollato di punto in bianco il mio prestigiosissimo lavoro in banca. La buona notizia è che non sono ancora morto di fame. Quella cattiva è che le motivazioni per cui l’ho fatto sono ancora attualissime: ripudio di un sistema economico ormai imploso e, soprattutto, pieno recupero del mio tempo e dell’unica vita che ho a disposizione. Ma Pier Carlo Padoan, e ieri Confindustria, mi costringono a farmi delle domande. Sia il ministro dell’Economia che gli industriali continuano infatti a piagnucolare che il Pil crescerà meno del previsto. Quindi, saranno nuovi dolori per tutti. Da tempo mi sento, infatti, raccontare che in Italia ci sono 4,6 milioni di poveri ed io… con che faccia scrivo addirittura un libro intitolato Solo la crisi ci può salvare? Mi faccio schifo da solo. Ma in che mondo vivo?
Penso, infatti, a quei poveri commessi della Apple che fra qualche giorno, aprendo le serrande dei loro store, si troveranno davanti chilometri di marciapiedi completamente deserti solo perché, a differenza di qualche anno fa, stavolta nessuno sgomiterà per essere il primo ad acquistare il nuovo iPhone.
Poi penso al povero (ma neofilantropo) Sergio Marchionne, costretto a trasferire mestamente all’estero la sede fiscale delle proprie attività, unicamente per salvaguardare il posto di lavoro a migliaia di operosi metalmeccanici, dediti a sostenere il mercato automobilistico più florido d’Europa – quello italiano – che con 608 autovetture ogni mille abitanti si colloca al secondo posto in Europa per tasso di motorizzazione. Tutti inequivocabili segnali di crisi nera.
E penso infine al triste destino dei fornai, che una di queste mattine si vedranno le botteghe assaltate dal popolo insorto e affamato, magari catechizzato dall’ultimo tweet di Salvini in difesa dell’ennesimo titolare di un Compro-Oro rapinato da quei criminali dei migranti climatici (altra bella invenzione lessicale dell’intellighenzia radical-chic, solo per giustificare con il loro pretestuoso ambientalismo l’invasione sulle nostre coste delle milizie armate dell’Isis).
E allora mi viene il dubbio di aver proprio sbagliato tutto, lo ammetto. E per farmi perdonare ho deciso da adesso di crederci anch’io a questa idea di Europa. Voglio difendere i suoi valori, a partire da quello della democrazia, che lo stesso Presidente della Repubblica Emerito mi ha appena ricordato essere fondamentale, al punto da sollecitare un cambiamento in extremis della legge elettorale. Ma non tanto “per impedire una possibile vittoria dei Cinquestelle” – ci mancherebbe, lui che i loro boom manco li sente – quanto perché “rischia di far vincere chi al primo turno ha ricevuto una legittimazione popolare troppo scarsa”.
Per non parlare poi dei valori della nostra Costituzione, che fortunatamente adesso potremo migliorare votando Sì al referendum. E questo, grazie al furore riformista della Maria Elena nazionale, non certo – come i populisti vorrebbero farmi credere – perché la banca d’affari JP Morgan nel suo Outlook di maggio 2013 ha raccomandato alle economie periferiche dell’area Euro una solerte revisione delle rispettive carte costituzionali, in quanto troppo imbevute di idee socialiste e per questo incapaci di garantire quell’accentramento decisionale funzionale a una tempestiva e incondizionata obbedienza all’Eurocrazia di Bruxelles.
Quindi, per concludere, voglio dare il mio personale contributo alla ripresa della crescita economica, adottando comportamenti virtuosi e invitando lettrici e lettori del Fatto a fare altrettanto. Come? Semplicissimo: ad esempio, spacciando coca davanti alle scuole o anfetamine in discoteca, contrabbandando tabacco e armi, ma soprattutto prostituendovi. No, non intellettualmente. Dico proprio fisicamente: datel@ via! Sì certo, sono tutte attività che avranno pure il piccolo difettuccio dell’illegalità, ma sono convinto che stavolta Alfano chiuderà un occhio. Infatti, come ci ha chiesto l’Europa, dal 2014 l’impatto economico di questi illeciti rientra a pieno titolo nel calcolo del Pil, unico e totemico dogma del vostro benessere. Coraggio allora: ve l@ chiede l’Europa.
Al di là delle ironie (o delle accuse di ignorare il problema dell’equità distributiva, sui cui ho scritto in passato decine di post), la verità è che tutti chiamano “crisi” l’abbandono del tenore di vita che avevano prima. Un tenore di vita, però, sfortunatamente insostenibile per noi e per il nostro habitat. Soprattutto per questo, quindi, forza crisi.