È tra le patologie considerate ancora senza cura. Una malattia neurodegenerativa che costringe la mente in una gabbia, lasciando intatte le attività cerebrali, ma minando progressivamente funzioni vitali elementari, come camminare, deglutire e parlare. Per contrastare la Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), si sono moltiplicati negli ultimi anni, da un lato gli sforzi della ricerca sulle cause e i meccanismi alla base del processo neurodegenerativo della malattia, e dall’altro le campagne di raccolta fondi e sensibilizzazione pubblica. Come i gavettoni di acqua gelida del 2014, il cosiddetto Ice bucket challenge, e gli appuntamenti legati alla Giornata nazionale sulla Sla.

Le iniziative per la ricerca
Giunta quest’anno alla sua nona edizione, l’iniziativa promossa dall’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla) si volge in 150 piazze italiane (la mappa regione per regione), dove centinaia di volontari, attraverso la vendita di bottiglie di vino, raccoglieranno fondi a sostegno dell’assistenza domiciliare degli oltre 6000 malati italiani. “Con i 2,4 milioni di euro raccolti con l’Ice bucket challenge del 2014 e la Giornata nazionale del 2014 – fa sapere l’Aisla in una nota diramata in occasione della raccolta fondi 2016 – abbiamo potuto destinare 700mila euro all’aiuto delle famiglie dei malati. E finanziare la ricerca con 1,7 milioni di euro, di cui 300mila riservati alla realizzazione della prima Biobanca nazionale dedicata alla ricerca sulla Sla”. Sono più di 400mila nel mondo le persone colpite da Sla e oltre 100mila i morti ogni anno, secondo le stime dell’International Alliance of ALS/MND Associations. Le previsioni sul numero di malati nel nostro Paese – come suggerisce uno studio italo-americano pubblicato su “Nature Communications” – è di un aumento dei nuovi casi di Sla, che nel 2040 saliranno dagli attuali 1.800 a 2.300 l’anno, con maggiore prevalenza tra le donne. La stessa ricerca stima, a livello globale, un incremento del 32% dei casi di Sla nel 2040.

La sfida, quindi, è lunga e complessa. Ad oggi, infatti, non esiste ancora un trattamento risolutivo. Ma la ricerca terapeutica è molto promettente. Nel 2015 si sono, ad esempio, ottenuti risultati definiti “miracolosi” dagli scienziati, grazie al trapianto di staminali. E nelle ultime settimane, proprio grazie al grande successo della raccolta fondi 2014 con l’Ice bucket challenge – complessivamente oltre 200 milioni di euro raccolti dall’associazione americana che combatte la Sla – la ricerca ha potuto compiere molti passi avanti. Con gli studiosi italiani in prima linea.

Studi su Proteine, staminali e geni: così avanza la ricerca
I ricercatori dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, coordinati da Serena Carra, hanno, ad esempio, individuato un complesso di proteine potenzialmente in grado di rallentare il decorso della Sla. I risultati sono stati pubblicati sulle riviste internazionali “Molecular Cell” e “Human Molecular Genetics”. “Le sperimentazioni – sottolineano gli studiosi italiani in un comunicato – sono state effettuate su modelli cellulari e animali di Drosophila Melanogaster, il moscerino della frutta, e costituiscono un promettente punto di partenza per ipotizzare una terapia sull’uomo”. Importante, inoltre, il ruolo italiano – con l’Irccs Istituto auxologico italiano e il Centro “Dino Ferrari” dell’Università degli studi di Milano come capifila – anche nella ricerca internazionale, pubblicata su Nature Genetics, che ha portato alla scoperta di due geni alla base della Sla. Denominati “NEK1” e “SARM1”, sono rispettivamente coinvolti nell’insorgenza delle forme familiari e sporadica di Sla, quest’ultima responsabile del 90-95% dei casi.

“Il lavoro assume un particolare significato perché rappresenta il primo prodotto del progetto mondiale “MinE” a cui anche l’Italia aderisce, volto al sequenziamento completo del genoma di pazienti colpiti da Sla sporadica”, spiega Vincenzo Silani, uno dei coordinatori della ricerca. Un progetto che, come sottolinea il nome stesso, si propone di “scavare” nel patrimonio ereditario per individuare le cause genetiche della Sla, attraverso l’analisi del Dna di almeno 15.000 pazienti colpiti dalla malattia e 7.500 individui di controllo. Al momento, sono quasi 8.000 i profili di Dna raccolti, pari a circa il 35% del totale di 22.500.

“Questi importanti risultati scientifici – sottolinea Alberto Fontana, presidente della Fondazione italiana di ricerca per la Sla (Arisla) – sono frutto di un gioco di squadra che da tempo sosteniamo: il lavoro dei ricercatori italiani, che rappresentano una vera eccellenza del nostro Paese, unito al supporto di chi investe nella ricerca. Le secchiate di acqua fredda hanno coinvolto milioni di italiani nell’estate 2014, scatenando un’ondata di solidarietà che ha prodotto un risultato straordinario. È fondamentale – conclude il presidente di Arisla – non fermare questa onda perché, come dimostrano queste ultime scoperte, ogni donazione contribuisce attivamente alla ricerca con ricadute concrete sui pazienti”.

Lo studio su Nature

Lo studio italiano su Molecular Cell

E su Human Molecular Genetics

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