Impossibile dar conto dell’eredità di Italo Calvino in poche righe, impossibile restituire in un articolo la grandezza di “uno scrittore geniale e brillante, uno che ha saputo portare il romanzo in luoghi dove non si era mai spinto”. A parlare di biografia sembra quasi di fargli un torto, ad Italo, che in una lettera a Germana Pescio Bottino del 1964 scriveva: “Dati biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere. (Quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all’altra. Mi chieda pure quel che vuole sapere e Glielo dirò. Ma non le dirò mai la verità, di questo può star sicura“.
Trentuno gli anni passati dalla scomparsa dello scrittore: “Calvino è morto tre settimane prima del suo sessantaduesimo compleanno; e l’Italia mise il lutto, come se fosse morto un amato principe. Per un americano, il contrasto fra loro e noi è impressionante”, scrive Gore Vidal in un saggio pubblicato su The New York Reviwe of Books il 21 novembre 1985. Infiniti i mondi possibili immaginati e raccontati da Calvino, letteratura fantastica che si accompagna a racconti realistici, fiaba che cede il passo a riflessioni sul mondo, sulla politica, sulle relazioni interpersonali. E poi le conferenze, i suggerimenti sulla scrittura, sulla lettura (e sulla vita) scolpiti come su pietra nella testa di chi li ha letti, magari imbattendocisi per caso o magari cercandoli con la voracità di chi Calvino non smetterebbe di leggerlo mai.
Un breve e simbolico viaggio nel mondo di Italo Calvino nell’anniversario della sua morte. Morì il 19 settembre 1985. Quel giorno l’Europa visse la sua morte “come una calamità per la cultura. Un critico letterario, contrapposto a teorico, scrisse a lungo su Le Monde, mentre in Italia, ogni giorno per due settimane, furono pubblicati i bollettini dell’ospedale di Siena, e all’improvviso l‘intera nazione era unita nella sua stima non solo per un grande scrittore ma per qualcuno che raggiungeva non soltanto gli scolari delle scuole elementari attraverso le sue collezioni di racconti popolari e favole, ma anche, una volta o l’altra, tutti coloro che leggono“.
Perché leggere i classici – 1991
“Amo soprattutto Stendhal perché solo in lui tensione morale individuale, tensione storica, slancio della vita sono una cosa sola, lineare tensione romanzesca. Amo Puskin perché è limpidezza, ironia e serietà. Amo Hemingway, perché è matter of fact, understatement, volontà di felicità, tristezza. Amo Stevenson, perché pare che voli. Amo Cechov perché non va più in là di dove va. Amo Conrad perché naviga l’abisso e non ci affonda. Amo Tolstoj perché alle volte mi pare d’essere lì lì per capire come fa e invece niente. Amo Manzoni perché fino a poco fa l’odiavo. Amo Chesterton perché voleva essere il Voltaire cattolico e io volevo essere il Chesterton comunista. Amo Flaubert perché dopo di lui non si può più pensare di fare come lui. Amo Poe dello Scarabeo d’Oro. Amo Twain in Huckleberry Finn. Amo Kipling dei Libri della Giungla. Amo Nievo perché l’ho riletto tante volte divertendomi come la prima. Amo Jane Austen perché non la leggo mai ma sono contento che ci sia. Amo Gogol perché deforma con nettezza, cattiveria e misura. Amo Dostoevskij perché deforma con coerenza, furore e senza misura. Amo Balzac perché è visionario. Amo Kafka perché è realista. Amo Maupassant perché è superficiale. Amo la Mansfield perché è intelligente. Amo Fitzgerald perché è insoddisfatto. Amo Radiguet perché la giovinezza non torna più. Amo Svevo perché bisognerà pur invecchiare. Amo…”