Un recente editoriale di Lauren Lipuma su Earth & Space Science News la più diffusa rivista di geofisica pone un problema di politica ambientale abbastanza complicato. Al culmine della guerra fredda, nel 1959 gli Stati Uniti costruirono in Groenlandia Camp Century, una base militare completamente racchiusa all’interno della calotta glaciale.

Lo scopo ufficiale della base era quello di testare nuove tecniche di costruzione adatte alla regione artica e di condurre ricerche scientifiche dedicate all’ambiente artico. Poi il progetto si allargò un po’ e quasi subito Camp Century si trasformò in un sito top secret dove sperimentare la fattibilità di uno schieramento missilistico per colpire meglio l’Unione Sovietica in caso di guerra nucleare.

La Groenlandia è territorio danese. Anche se gli Stati Uniti avevano l’approvazione della Danimarca per costruire Camp Century, il programma missilistico, noto come Project Iceworm, pare fosse stato tenuto segreto. Dopo alcuni anni di operatività, il Progetto Iceworm fu accantonato dal Pentagono, la base fu dismessa nel 1967 e il corpo degli ingegneri dell’esercito rimosse il reattore nucleare che alimentava il campo. Ma furono lasciate lì tutte le infrastrutture e i rifiuti prodotti nel frattempo, pensando che tutto sarebbe stato congelato e sepolto per sempre dalle nevi perenni.

Da alcuni decenni, il cambiamento climatico sta scaldando l’Artico più di ogni altra regione della Terra. Un inventario aggiornato dei rifiuti abbandonati nel sito ha stimato la presenza di 200mila litri di gasolio, quanto basta a un auto per fare 80 volte il giro del mondo. E non è il solo residuo, perché ci sono anche 240mila litri di acque di scarico, comprese le acque reflue, assieme a un volume sconosciuto di refrigerante a bassa radioattività usato dal generatore nucleare, oltre a un’imprecisata quantità di policlorobifenili (Pcb), un inquinante tossico.

Le simulazioni climatiche indicano che, già nel 2090, la calotta di ghiaccio che copre Camp Century potrebbe passare da un regime di accumulo a un regime di scioglimento nivale. La fusione del ghiaccio comporterebbe la sicura mobilitazione dei residui e dei rifiuti con un pericolo ambientale non trascurabile. In tal caso, gli inquinanti sarebbero trasportati verso l’oceano con gravi rischi per gli ecosistemi marini. Per contro, bonificare oggi il sito sarebbe un’opera molto difficile, poiché i rifiuti sono sepolti sotto decine di metri di ghiaccio; e l’operazione sarebbe non solo costosa, ma anche tecnicamente assai impegnativa se non quasi impossibile.

Chi sarà però responsabile della bonifica quando i rifiuti emergeranno? Sebbene Camp Century fosse una base statunitense, è in terra danese. La Groenlandia è sì un territorio danese, ma è ora in regime di auto-governo. Nessuno ha mai preso in considerazione le implicazioni del cambiamento climatico sui rifiuti abbandonati in siti politicamente ambigui. E forse ci sono altre situazioni simili in giro per il mondo, per fortuna non tutte in ambienti così estremi.

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