Peculato, minacce, violenza privata e falso ideologico. Un altro terremoto alla Regione Calabria. Stamattina, la Guardia di Finanza ha eseguito cinque provvedimenti cautelari per altrettanti dirigenti, funzionari e consulenti della società in house “Calabria Verde” che da qualche anno ha accorpato l’ex Afor e le ex Comunità montane.
Su richiesta del procuratore Nicola Gratteri, dell’aggiunto Giovanni Bombardieri e del pm Alessandro Prontera, in carcere sono finiti l’ex direttore generale Paolo Furgiuele e il dirigente del settore 3 Alfredo Allevato. Arresti domiciliari, invece, per il dirigente dell’ecomato Marco Mellace. L’ex dirigente Antonio Errigo, oggi commissario del parco regionale delle Serre, è stato raggiunto dal provvedimento di interdizione dai pubblici uffici e, infine, per l’agrotecnico Gennarino Magnone (consulente esterno di “Calabria Verde”) è stato disposto l’obbligo di dimora.
È l’ennesima inchiesta che dimostra l’incapacità della Regione Calabria di utilizzare i fondi comunitari. Le indagini della Guardia di Finanza, infatti, hanno svelato come 102 milioni di euro, che sarebbero dovuti servire per l’acquisto di mezzi antincendio boschivi, per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua e per i rischi di frane in Calabria, sono stati di fatto distratti e utilizzati per scopi diversi come il pagamento degli stipendi e dello straordinario al personale. Personale che, tra l’altro, non veniva impiegato per le attività di “Calabria Verde” ma per ristrutturare l’abitazione privata del direttore generale Paolo Furgiuele. Naturalmente anche il costo del materiale (circa 33mila euro), che serviva per abbellire la casa del dirigente regionale – secondo i magistrati – sarebbe stato a carico dei contribuenti. Tutti soldi che, invece, sarebbero serviti per la ristrutturazione della sede di “Calabria Verde” a Paola, in provincia di Cosenza.
“Ad Amantea non c’era nessun cantiere di ‘Calabria Verde’ – fa mettere a verbale uno dei capi operai – si trattava, infatti, di una proprietà privata di Furgiuele e comunque nella sua disponibilità. Dissi che avevo paura perché andavamo a fare lavori in un’abitazione privata in orari di servizio. Come me, posso dire, che molti operai vivevano questa situazione di disagio. I materiali per eseguire i lavori ad Amantea venivano da noi acquistati e gli operai si facevano rilasciare ‘bolle’, cioè documenti di trasporto, intestate a ‘Calabria Verde’”. “Sapevamo che non si potevano fare lavori in una casa privata – ha aggiunto un altro dipendente della società in house – Eravamo però costretti a sottostare agli ordini superiori, perché da semplici operai avevamo paura di incorrere in qualche punizione”.
Stando all’inchiesta, “al fine di realizzare gli intenti criminosi propri e del Furgiuele – scrive il gip nell’ordinanza – l’Allevato (il dirigente del settore 3, ndr) con condotta intimidatoria, arrivava a minacciare i direttori dei lavori, costringendoli a redigere i Sal e dunque a porre in essere un’attività macroscopicamente viziata da eccesso di potere, oltre che in specifica violazione della legge penale”. Quando il capo cantiere si rifiutò di firmare i listini di fine mese, infatti, “fu trasferito in un Comune molto più lontano proprio perché si era opposto”.
L’inchiesta ha fatto luce, inoltre, sull’incarico conferito a un amico del direttore Forgiuele. A “Calabria Verde”, infatti, serviva un dottore agronomo per un compenso di 30mila euro. Il direttore generale e il dirigente Antonio Errigo, però, avrebbero assegnato l’incarico all’agrotecnico Gennarino Magnone, che avrebbe incassato 17mila euro della parcella senza che avesse i titoli e nonostante all’interno della stessa società vi fossero diciotto dipendenti con la qualifica e i titoli necessari.
“Trent’anni fa – ha commentato il procuratore Gratteri durante la conferenza stampa – iniziai la mia carriera occupandomi proprio di un’indagine relativa all’azienda forestale calabrese, oggi la prima indagine in cui mi sono imbattuto all’arrivo a Catanzaro è relativa allo stesso tema e devo dire che, anche se sono cambiate le tecnologie e i metodi di comunicazione, non è cambiata l’arroganza e la sicurezza di impunità degli indagati”. Secondo il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri, c’è stato “un danno per le casse regionali da circa 80 milioni di euro che difficilmente potrà essere risanato in qualche maniera”.