Si aprono i fascicoli riservati dei Bahamas Leaks e saltano fuori i nomi di altri italiani con denaro nei paradisi fiscali del Centro America. Dopo le rivelazioni connesse ai Panama Papers, i giornali associati all’International consortium of investigative journalists (Icij) hanno avuto accesso anche agli elenchi delle oltre 175mila società registrate alle Bahamas tra il 1990 e l’inizio del 2016. E in questi archivi, sono 417 i file di documenti con la targa “Italy”. A rivelarlo è il settimanale L’Espresso, che collabora con l’Icij, e che sceglie delle definizioni ficcanti per qualificare i nostri connazionali iscritti “nel club dei ni-tax ai Caraibi”: si va dal “siciliano emigrato in Svizzera che ha trattato affari milionari con Donald Trump” al “protagonista italiano dello scandalo Lockheed“, dal “Madoff dei Parioli” al “colletto bianco al servizio di Cosa nostra”. Oltre a vari industriali, armatori e professionisti di vario genere.
Perché alle Bahamas? Perché il piccolo Stato caraibico è un paradiso non solo fiscale, ma anche societario e giudiziario. Nassau garantisce da un alto l’esenzione totale sui profitti che le società registrate nell’arcipelago realizzano all’estero, e dall’altro l’anonimato assoluto dei titolari e degli amministratori di quelle società. Di fatto, al di là del nome delle aziende, non si sa nulla di chi le gestisce e di chi vi ricopre incarichi nei consigli d’amministrazione.
Tra i nomi degli italiani finiti nella rete dell’Icij, spicca quello di Antonio Lefebvre d’Ovidio. Che, spiega L’Espresso, è stato uno dei protagonisti dello scandalo Lockheed, condannato a due anni e due mesi dalla Corte Costituzionale nel 1979. Sono numerose, nelle carte delle Bahamas, le “offshore amministrate da lui stesso, fino alla morte del 2011, e da suo figlio Manfredi“. Degna di nota è soprattutto la Silversea Investments and Participations Ltd, al vertice di un gruppo internazionale di navi da crociera, di cui Manfredi risulta amministratore fino al febbraio 2003. Il legale di Lefebvre jr fa sapere che il suo assistito, oltre a vivere da anni a Monaco come stimato imprenditore, ha presieduto in passato la Silversea, ma che tuttavia non è stato né lui, né suo padre Antonio, a fondare quella offshore.
C’è poi Antonio Saladino, nato in provincia di Palermo nel 1936. Si tratta, stando a quanto si legge sulle pagine del settimanale del gruppo De Benedetti, di un finanziere italiano che ha fatto fondato in Svizzera la Gesfid, “società di gestione di patrimoni privati che è arrivata ad amministrare un miliardo e mezzo di franchi elvetici ed è stata poi venduta al gruppo Ligresti, che poco prima del crac l’ha ceduta a una banca svizzera”. Tra i vari investimenti compiuti da Saladino, L’Espresso si concentra soprattutto su quello che ha portato alla fondazione della Canouan Resorts Development Ltd, una società con un capitale sociale che si aggira sui 100 milioni di dollari impegnata nella gestione di un esclusivo polo turistico per vip creato dal nulla nell’arcipelago delle Granadine. Dopo un avvio problematico, a soccorrere la Canouan Resorts Development Ltd sarebbe arrivato, nel 2003, Donald Trump: un’operazione durata ben poco, a quanto pare, ma nella quale il candidato repubblicano alla Casa Bianca ha investito diversi milioni. Nel consiglio direttivo della stessa società, però, L’Espresso ha individuato anche Luca Rossetti, uno dei titolari del noto calzaturificio, che puntualizza: “Si tratta di un investimento turistico-immobiliare effettuato da mio padre diversi anni fa”, che poi “è stato regolarizzato per il fisco italiano”.
Dai dossier riservati riassunti dall’Espresso spunta anche il nome di Nicola Giorgio Bravetti, socio fondatore della Arner di Lugano ed ex socio d’affari di Silvio Berlusconi, e condannato nel 2015 a Milano, con sentenza definitiva, per aver nascosto, proprio in un fondo alle Bahamas, circa 13 milioni di euro dell’imprenditore inquisito per mafia Francesco Zummo, già condannato per riciclaggio di una parte del tesoro di don Vito Ciancimino. Bravetti ha gestito varie società-cassaforte con base nello Stato caraibico. Dirigeva ad esempio, almeno fino all’ottobre 2015, la Capricorn Management Services Ltd, e lo faceva insieme a Mario Speciale, manager milanese che è stato amministratore di varie società del gruppo Ligresti dal 2000 al 2013.
Problemi con la giustizia li ha avuti anche Gianfranco Lande, condannato per una bancarotta da 225 milioni di euro e tornato libero dopo cinque anni e mezzo di carcere. Lande è il protagonista di uno scandalo finanziario da 300 milioni di euro che gli è valso il soprannome di “Madoff dei Parioli”, accusa da cui si è sempre difeso dicendo di non essersi arricchito con i soldi dei clienti. La procura di Roma, però, ritiene che Lande, stando a quanto riportato sull’Espresso, abbia “dirottato una parte del tesoro in una serie di società-cassaforte alle Bahamas”. Tutte chiuse in blocco, però, nel 2012, quando esplode il dissesto che coinvolge il finanziere romano. “Gli eventuali soldi – conclude il settimanale – sono ormai spariti verso destinazioni sconosciute”, sebbene alcune tracce di quel tesoro possano essere individuate in una offshore registrata nel 1995 nell’isola di Niue, al largo della Nuova Zelanda.
Non mancano neppure le banche, tra i protagonisti italiani dei Bahamas Leaks. Nello Stato caraibico risulta registrata la Unicredit Finance Corporation Limited, costituita il 31 dicembre 1994 nella capitale Nassau e cancellata il 2 settembre 2002, ai tempi in cui l’istituto di credito era guidato da Alessandro Profumo. “La filiale alle Bahamas, con un capitale sociale di 23 milioni di dollari, è stata gestita – scrive L’Espresso – da sei manager italiani“. Unicredit precisa tuttavia che la controllata bahamense “è stata inserita nei bilanci consolidati come da regole contabili”, mentre “il fisco italiano ha sempre vigilato sui grandi gruppi internazionali verificando l’osservanza delle norme”.
L’articolo riferisce quanto riportato dall’Espresso il 23 settembre scorso. In merito alle precisazioni di Bravetti, il settimanale ha replicato di non aver accusato il banchiere di aver nascosto soldi di Cosa Nostra, bensì di aver solo riferito fatti comprovati da due sentenze definitive.
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Bahamas lekas, i nomi degli italiani. Dai reduci dello scandalo Lockheed, ai soci di imprenditori in odor di mafia
L'Espresso rivela i nomi dei nostri connazionali con società nel paradiso fiscale caraibico. Tra gli altri, anche finanzieri con legami con Berlusconi e Donald Trump. C'è anche il Maddoff dei Parioli e una controllata di Unicredit
Si aprono i fascicoli riservati dei Bahamas Leaks e saltano fuori i nomi di altri italiani con denaro nei paradisi fiscali del Centro America. Dopo le rivelazioni connesse ai Panama Papers, i giornali associati all’International consortium of investigative journalists (Icij) hanno avuto accesso anche agli elenchi delle oltre 175mila società registrate alle Bahamas tra il 1990 e l’inizio del 2016. E in questi archivi, sono 417 i file di documenti con la targa “Italy”. A rivelarlo è il settimanale L’Espresso, che collabora con l’Icij, e che sceglie delle definizioni ficcanti per qualificare i nostri connazionali iscritti “nel club dei ni-tax ai Caraibi”: si va dal “siciliano emigrato in Svizzera che ha trattato affari milionari con Donald Trump” al “protagonista italiano dello scandalo Lockheed“, dal “Madoff dei Parioli” al “colletto bianco al servizio di Cosa nostra”. Oltre a vari industriali, armatori e professionisti di vario genere.
Perché alle Bahamas? Perché il piccolo Stato caraibico è un paradiso non solo fiscale, ma anche societario e giudiziario. Nassau garantisce da un alto l’esenzione totale sui profitti che le società registrate nell’arcipelago realizzano all’estero, e dall’altro l’anonimato assoluto dei titolari e degli amministratori di quelle società. Di fatto, al di là del nome delle aziende, non si sa nulla di chi le gestisce e di chi vi ricopre incarichi nei consigli d’amministrazione.
Tra i nomi degli italiani finiti nella rete dell’Icij, spicca quello di Antonio Lefebvre d’Ovidio. Che, spiega L’Espresso, è stato uno dei protagonisti dello scandalo Lockheed, condannato a due anni e due mesi dalla Corte Costituzionale nel 1979. Sono numerose, nelle carte delle Bahamas, le “offshore amministrate da lui stesso, fino alla morte del 2011, e da suo figlio Manfredi“. Degna di nota è soprattutto la Silversea Investments and Participations Ltd, al vertice di un gruppo internazionale di navi da crociera, di cui Manfredi risulta amministratore fino al febbraio 2003. Il legale di Lefebvre jr fa sapere che il suo assistito, oltre a vivere da anni a Monaco come stimato imprenditore, ha presieduto in passato la Silversea, ma che tuttavia non è stato né lui, né suo padre Antonio, a fondare quella offshore.
C’è poi Antonio Saladino, nato in provincia di Palermo nel 1936. Si tratta, stando a quanto si legge sulle pagine del settimanale del gruppo De Benedetti, di un finanziere italiano che ha fatto fondato in Svizzera la Gesfid, “società di gestione di patrimoni privati che è arrivata ad amministrare un miliardo e mezzo di franchi elvetici ed è stata poi venduta al gruppo Ligresti, che poco prima del crac l’ha ceduta a una banca svizzera”. Tra i vari investimenti compiuti da Saladino, L’Espresso si concentra soprattutto su quello che ha portato alla fondazione della Canouan Resorts Development Ltd, una società con un capitale sociale che si aggira sui 100 milioni di dollari impegnata nella gestione di un esclusivo polo turistico per vip creato dal nulla nell’arcipelago delle Granadine. Dopo un avvio problematico, a soccorrere la Canouan Resorts Development Ltd sarebbe arrivato, nel 2003, Donald Trump: un’operazione durata ben poco, a quanto pare, ma nella quale il candidato repubblicano alla Casa Bianca ha investito diversi milioni. Nel consiglio direttivo della stessa società, però, L’Espresso ha individuato anche Luca Rossetti, uno dei titolari del noto calzaturificio, che puntualizza: “Si tratta di un investimento turistico-immobiliare effettuato da mio padre diversi anni fa”, che poi “è stato regolarizzato per il fisco italiano”.
Dai dossier riservati riassunti dall’Espresso spunta anche il nome di Nicola Giorgio Bravetti, socio fondatore della Arner di Lugano ed ex socio d’affari di Silvio Berlusconi, e condannato nel 2015 a Milano, con sentenza definitiva, per aver nascosto, proprio in un fondo alle Bahamas, circa 13 milioni di euro dell’imprenditore inquisito per mafia Francesco Zummo, già condannato per riciclaggio di una parte del tesoro di don Vito Ciancimino. Bravetti ha gestito varie società-cassaforte con base nello Stato caraibico. Dirigeva ad esempio, almeno fino all’ottobre 2015, la Capricorn Management Services Ltd, e lo faceva insieme a Mario Speciale, manager milanese che è stato amministratore di varie società del gruppo Ligresti dal 2000 al 2013.
Problemi con la giustizia li ha avuti anche Gianfranco Lande, condannato per una bancarotta da 225 milioni di euro e tornato libero dopo cinque anni e mezzo di carcere. Lande è il protagonista di uno scandalo finanziario da 300 milioni di euro che gli è valso il soprannome di “Madoff dei Parioli”, accusa da cui si è sempre difeso dicendo di non essersi arricchito con i soldi dei clienti. La procura di Roma, però, ritiene che Lande, stando a quanto riportato sull’Espresso, abbia “dirottato una parte del tesoro in una serie di società-cassaforte alle Bahamas”. Tutte chiuse in blocco, però, nel 2012, quando esplode il dissesto che coinvolge il finanziere romano. “Gli eventuali soldi – conclude il settimanale – sono ormai spariti verso destinazioni sconosciute”, sebbene alcune tracce di quel tesoro possano essere individuate in una offshore registrata nel 1995 nell’isola di Niue, al largo della Nuova Zelanda.
Non mancano neppure le banche, tra i protagonisti italiani dei Bahamas Leaks. Nello Stato caraibico risulta registrata la Unicredit Finance Corporation Limited, costituita il 31 dicembre 1994 nella capitale Nassau e cancellata il 2 settembre 2002, ai tempi in cui l’istituto di credito era guidato da Alessandro Profumo. “La filiale alle Bahamas, con un capitale sociale di 23 milioni di dollari, è stata gestita – scrive L’Espresso – da sei manager italiani“. Unicredit precisa tuttavia che la controllata bahamense “è stata inserita nei bilanci consolidati come da regole contabili”, mentre “il fisco italiano ha sempre vigilato sui grandi gruppi internazionali verificando l’osservanza delle norme”.
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Politica
Tajani: “L’Italia non userà fondi di coesione per comprare armi”. Si spacca il Pd: chi sta con Schlein
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "I fondi di coesione sono fondamentali per ridurre i divari e le disuguaglianze nel nostro paese e in tutta Europa, non possono e non devono essere usati per spese militari. Il Pd oggi ha difeso questa impostazione. Un’Europa forte e sicura e’ innanzitutto un’Europa più coesa. Elly Schlein e Giuseppe Provenzano hanno detto anche questo oggi al vertice socialista a Bruxelles. Dobbiamo essere tutti uniti per la tutela di questo strumento necessario a garantire protezione sociale e opportunità per una crescita giusta". Così in una nota Marco Sarracino, responsabile Coesione territoriale, Sud e aree interne nella segreteria nazionale del Pd.
Roma, 6 mar (Adnkronos) - "Un episodio grave e inaccettabile che deve essere condannato con forza e determinazione: la sofferenza del popolo palestinese non può e non deve essere strumentalizzata da delinquenti intenzionati a spargere nelle nostre città odio antisemita profanando un luogo nato per coltivare la memoria dell’orrore della Shoah". Lo dice all'Adnkronos il deputato del Pd Andrea Casu a proposito della vicenda del museo della Shoah di Roma.
Milano, 6 mar. (Adnkronos) - La Procura di Milano ha chiesto al Comune - nell'ambito dell'inchiesta sull'urbanistica - la consegna delle dichiarazioni e delle comunicazioni (previste per legge) concernenti "l'assenza di conflitti di interesse, anche potenziali", sottoscritte da Giovanni Oggioni (arrestato ieri per corruzione), sia riguardo l'incarico di direttore del Sportello unico per l'edilizia (Sue), che per quello di componente della Commissione per il paesaggio; dell'ex dirigente Franco Zinna; degli indagati Andrea Viaroli e Carla Carbone e "di tutti i membri delle Commissioni per il paesaggio, a partire almeno dal 2015 in poi", ossia delle quattro commissioni (compresa l'attuale) che si sono succedute nel corso degli ultimi dieci anni.
Per la procura, si legge nel provvedimento, è "altrettanto necessario completare (aggiornandole sino alla data odierna) le acquisizioni dei 'verbali delle riunioni cosiddette di staff', nonché i verbali della Commissione attuazione nuovo Pgt e la relativa determina del 23 luglio 2020, nonché del 'Gruppo di lavoro' istituito in seno all'Area Rigenerazione Urbana", a partire dal primo giugno 2024 a oggi.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "In un mutato e minaccioso quadro internazionale, il piano Ue per la difesa è per i Socialisti e Democratici europei un primo importante passo per assicurare il necessario sostegno all’Ucraina e la sicurezza dei nostri cittadini. A Bruxelles siamo al lavoro perché dal Parlamento venga una spinta forte nella direzione della condivisione e del coordinamento degli investimenti, verso una vera difesa comune europea". Lo scrive sui social l'eurodeputato Pd, Giorgio Gori.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "La linea del Partito Socialista Europeo è chiara, netta ed inequivocabile: il ReArm Europe è un atto iniziale importante per la creazione di una difesa comune europea". Lo scrive la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno del Pd, sui social.
"Non c’è nessuna rincorsa bellicista, nessuna distruzione del welfare e di quanto con fatica abbiamo costruito dopo la pandemia ma solo la necessità di rendere più sicuro il nostro continente e le nostre democrazie. Cosi come fu per il NextGenerationEu siamo davanti ad una svolta storica per l’Unione Europea che punterà su indipendenza strategica, acquisti comuni e innovazione".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - “Per la difesa europea servono investimenti comuni in sicurezza, una sola politica estera, economia forte e società coesa, serve un vero salto di qualità verso gli Stati Uniti d’Europa. Di fronte alle minacce che si profilano bisogna sostenere le nostre capacità di difesa nel modo più credibile, senza frammentare le spese tra gli Stati e neanche dando ancora soldi all’America come vorrebbe Trump. Il punto di vista portato dalla segretaria Schlein al vertice del Pse è stato ascoltato ed è positivo l’accordo dei socialisti europei sui fondi di coesione. Il Pd indica una strada di fermezza, consapevolezza e responsabilità sociale, senza farsi distrarre da alcun richiamo”. Lo dichiara Debora Serracchiani, componente della segreteria nazionale del Partito democratico.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Decidere maggiori investimenti per rendere più sicuro e protetto il nostro continente è una scelta non più rinviabile. La difesa europea è un pilastro fondamentale della nostra autonomia strategica. Non possiamo avere tentennamenti su questo obiettivo. La discussione non è sul se, ma sul come arrivarci". Così Alessandro Alfieri, capogruppo Pd in commissione Esteri e Difesa a Palazzo Madama.
"In questi giorni i nostri a Bruxelles stanno facendo un lavoro prezioso per evitare che si utilizzino i fondi di coesione per finanziare spese militari e per incentivare, attraverso gli strumenti europei vecchi e nuovi, le collaborazioni industriali e gli acquisti comuni fra Paesi Europei, l’interoperabilità dei sistemi e i programmi sugli abilitanti strategici (spazio, cyber, difesa aerea, trasporto strategico). In questo quadro, va salutato positivamente che dopo il Next Generation si consolidi l’idea di emettere debito comune per finanziare un bene pubblico europeo come la difesa".
"Anche perché sarà per noi meno complicato continuare la nostra battaglia per estenderlo agli altri pilastri dell’autonomia strategica, a partire dalle politiche per accompagnare la transizione ecologica e digitale. Un passo importante quindi, come sottolineato dal nostro gruppo a Bruxelles, a cui certamente ne dovranno seguire altri se si vuole davvero rafforzare la nostra difesa comune”.