C’è una prima volta per tutto. Per i dipendenti pubblici dell’Arabia Saudita è il momento dell’austerity. La monarchia di Riad ha deciso di tagliare gli stipendi dei ministri e i benefit degli impiegati ministeriali, nel tentativo di far fronte ad una falla apertasi nel bilancio statale. Dietro c’è ovviamente il perdurare dei bassi prezzi del petrolio sul mercato internazionale, che mette in difficoltà un’economia ancora fortemente dipendente dalle esportazioni del greggio com’è quella saudita. Che non a caso nei mesi scorsi ha tentato di avviare una diversificazione promuovendo lo sfruttamento dei giacimenti di minerali e lanciato “offerte speciali” per far fronte alla concorrenza degli idrocarburi iraniani.
Secondo quanto si legge in un decreto governativo reso noto dai media locali, i ministri vedranno le proprie paghe ridotte del 20% per tutto il 2016; una decurtazione del 15% verrà applicata invece ai membri della Shura, un organo consultivo che ha tra le proprie prerogative quella di proporre leggi al governo e al re. Discorso analogo per i benefit extra: secondo l’agenzia di stampa Saudi Press Agency, i dipendenti dei ministeri dovranno pagarsi le loro ricariche telefoniche. Gli alti funzionari diranno addio alle loro auto blu fino alla fine del prossimo anno fiscale, mentre per i quadri più bassi è in arrivo un abbassamento del tetto alle ferie pagate. L’obiettivo è quello di portare le retribuzioni pubbliche a scendere, nel complesso, dal 45% al 40% del budget statale entro il 2020. Contestualmente, Riad ha deciso d’introdurre una nuova imposta sulle vendite e di ridimensionare i sussidi energetici.
È il taglio dei salari, in ogni caso, la misura che sembra destinata ad avere il maggior impatto sociale, dal momento che una percentuale enorme di cittadini sauditi – tra il 65 e il 70 per cento – è al momento impiegata in uffici pubblici, mentre le imprese private preferiscono assumere lavoratori stranieri, ai quali non vengono riconosciuti le indennità e i benefici che spettano invece ai cittadini sauditi. E proprio per favorire un rilancio di un’occupazione interna che non gravi eccessivamente sulle casse dello Stato, Riad ha annunciato che verranno posti nuovi limiti sulle quote di stranieri che le aziende nazionali possono reclutare: prima i Sauditi, insomma.
Il calo dei prezzi del petrolio, che l’Opec riunita in questi giorni ad Algeri non riesce a contrastare con accordi per contenere la produzione, ha provocato non pochi problemi alle finanze di Riad. Nel 2015 il bilancio statale si è chiuso con un deficit che ha sfiorato i 100 miliardi di dollari, mentre la crescita del pil viaggia intorno all’1%. Un dato, quest’ultimo, che per la monarchia locale è assai deludente. Secondo i tecnici sauditi, lo Stato arabo ha bisogno di vendere i propri barili di petrolio intorno agli 86 dollari: è questa la cifra che permetterebbe alle finanze pubbliche di restare in ordine. Ma per il terzo anno consecutivo, ormai, il costo del greggio non supera i 50 dollari al barile. Troppo poco.