Dal 43esimo al 44esimo posto. L’Italia scende di un gradino nella classifica annuale sulla competitività industriale stilata dal Forum economico mondiale (Wef). In cima alla graduatoria, per l’ottavo anno consecutivo, si conferma la Svizzera, davanti a Singapore e Stati Uniti. I migliori Paesi dell’Ue risultano Paesi Bassi e Germania, che si piazzano rispettivamente in quarta e quinta posizione. Al sesto e settimo posto si collocano Svezia e Regno Unito, che fanno un balzo in avanti di tre posizioni. “Ma i dati presi in considerazione per Londra sono precedenti alla votazione sulla Brexit“, sottolinea il Forum. Completano la top ten Giappone, Hong Kong e Finlandia.

“La competitività dell’Italia – precisa il Forum – è migliorata ma più lentamente degli altri“. E così il Paese “scivola di un posto ed è 44esimo”, scalzato dalla Russia. Il principale punto di debolezza riscontrato nel nostro sistema economico è quello connesso ai problemi delle banche zavorrate di crediti deteriorati. Le riforme, prosegue il Wef, hanno migliorato la situazione, ma pesano la burocrazia, la fuga dei talenti e i tempi lunghi necessari perché il Jobs act dispieghi i propri effetti.

La classifica appena pubblicata – stilata tenendo conto di vari fattori tra cui infrastrutture, sanità, educazione ed efficacia dei mercati di 138 Stati – fotografa un’Europa divisa in due: un nord nel complesso più competitivo e un sud in generale difficoltà. Ma anche tra i Paesi del mediterraneo, l’Italia non risulta affatto in testa. Se la Grecia si ferma all’86esimo posto, la Spagna, 23esima, ci precede di 11 posizioni. Meglio ancora fa la Francia, che sale fino alla 21esima casella.

Alla base della supremazia svizzera, invece, la trasparenza delle istituzioni, l’efficacia del mercato del lavoro e le buone infrastrutture, oltre alla buona qualità del sistema formativo e alla capacità d’innovazione. Il sistema elvetico presenta anche delle debolezze, quali la persistente deflazione, una mancata concorrenza su certi mercati, la difficoltà nella creazione di nuove aziende e la poca partecipazione delle donne sul mercato del lavoro nel confronto internazionale, ma ciò non impedisce a Berna di occupare la prima posizione della classifica ininterrottamente dal 2007.

Quanto al resto del mondo, il Wef dedica uno spazio specifico ai Paesi emergenti, nei quali “l’accesso alla tecnologia e all’innovazione diventano fattori importanti per lo sviluppo dell’infrastruttura, dell’educazione e della salute”. Nel gruppo del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), in particolare, la Cina fa meglio di tutti, piazzandosi 28esima, seguita dall’India, 39esima ma in risalita di ben 16 posizioni. Russia e Sudafrica salgono entrambi di due gradini, passando rispettivamente al 43mo e al 47mo posto, mentre il Brasile scende di sei, e diventa 81esima. Nel mondo arabo gli Emirati Arabi Uniti si classificano sedicesimi, il Qatar diciottesimo e l’Arabia Saudita 29esima. In America Latina il Cile occupa la 33esima posizione, Panama la 42esima.

Nel complesso del contesto globale, il Wef riscontra soprattutto due problemi: da un lato un calo dell’apertura delle economie mondiali e dall’altro la presenza di stimoli monetari “non sufficienti” a rilanciare la crescita senza una forte competitività. “Il calo dell’apertura economica – afferma Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del Wef – sta danneggiando la competitività e rende più difficile spingere una crescita sostenibile e inclusiva”.

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