di Lorenzo Fassina *
“Correggere una Costituzione non è impresa minore del costruirla la prima volta”.
Difficile trovare parole più efficaci ed essenziali di quelle che Aristotele scolpì nel quinto libro della sua Politica per esprimere lo spirito di doverosa cautela con cui si dovrebbe affrontare una tematica così delicata come una riforma costituzionale.
Ed è proprio con questo spirito che la Cgil ha voluto far crescere, al proprio interno, una discussione di merito affrancata il più possibile dalle tossine di un dibattito polarizzato sino alle estreme conseguenze di considerare l’esito referendario quasi fosse un giudizio divino sulle sorti della nostra Democrazia. La discussione c’è stata e ha dato i suoi frutti con l’approvazione dell’ordine del giorno, da parte dell’Assemblea Generale di inizio settembre, nel quale la Cgil ha ufficialmente optato per il No al referendum costituzionale che si svolgerà il 4 dicembre 2016.
Nella scelta hanno giocato due fattori: uno di metodo, l’altro di merito tecnico. Dal primo punto di vista, come già evidenziato, è stato chiarissimo a tutti come fattori contingenti, vedi la personalizzazione dell’esito referendario o gli auspici più o meno interessati di esponenti politici stranieri e/o di importanti agenzie di rating finanziario, abbiano sopravanzato nettamente le argomentazioni e le riflessioni pro o contro l’approvazione della riforma Renzi-Boschi. In questo senso, la netta sensazione di trovarsi di fronte ad una strumentalizzazione dell’opinione pubblica da parte del governo, ha certamente aiutato le menti più avvedute ad una maggiore ponderazione dei contenuti della riforma costituzionale. E qui, infatti, entra in gioco il giudizio concreto sugli aspetti nodali della proposta di riforma costituzionale sulla quale saremo chiamati ad esprimere il nostro sì o il nostro no.
In primo luogo c’è da considerare la conformità di un tale disegno riformatore alla Costituzione stessa. In questo senso appaiono piuttosto fondate le critiche di coloro che sostengono una violazione dell’art. 48 Cost., nella misura in cui al cittadino elettore viene chiesto di dare una valutazione su un plesso di questioni assai vario e che, per ciò stesso, non può essere oggetto di un aut-aut senza violare la libertà e la consapevolezza del proprio voto. Sarebbe stato molto meglio spacchettare il quesito referendario per aree omogenee, permettendo così agli elettori una maggiore ponderazione ed un consapevole e genuino esercizio del diritto di voto. Invece ciò non si è consapevolmente voluto, proprio per favorire l’approccio propagandistico basato su alcune parole d’ordine, ripetute a mo’ di inestinguibile mantra, come governabilità, lotta ai costi della politica, decisionismo istituzionale e quant’altro.
Lasciando perdere il risibile argomento dei costi della politica (basterebbe chiedersi come mai non sia stato diminuito il numero dei deputati), le principali argomentazioni per il sì sono facilmente smontabili.
Primo: non è assolutamente vero che non si incida né sulla forma di Stato né su quella di governo. E’ vero il contrario: è sempre più chiaro, infatti, come la forma di governo verrà modificata nella misura in cui il premier, soprattutto se a capo di un partito o di un movimento che abbia fatto incetta di seggi attraverso l’italicum (sistema elettorale in odore di incostituzionalità), avrà il totale controllo del Parlamento (il Senato, ridotto ad un lumicino, non potrà infatti dare la fiducia al Governo). Sul fronte della forma di Stato, è del tutto evidente una fortissima centralizzazione dei poteri in capo all’istanza statale, sancendo così il passaggio da un rapporto con le Regioni di tipo “cooperativo” ad uno “competitivo”.
Secondo: appare assai discutibile escludere che una riforma siffatta, che attribuisce alla maggioranza di turno un potere abnorme, avrà i suoi pesanti riflessi sulla parte prima della nostra Costituzione attraverso un ridimensionamento dei diritti sociali ivi scolpiti (rendendo ancora più semplice l’abuso di quelle “prove di forza che non possiamo dimenticarci e che hanno già caratterizzato l’azione governativa nello smantellamento, ad esempio, della tutela reintegratoria attraverso il cd Jobs Act). Questo potrebbe, anzi, essere facilitato dall’obiettivo, che la riforma Renzi-Boschi persegue quasi scientificamente, di indebolire i “contrappesi” all’esecutivo, cioè il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale (del Senato “ombra” abbiamo già detto).
Terzo: lo snellimento del procedimento legislativo si rivelerà una chimera e, anzi, il nuovo articolo 70 porterà ad una moltiplicazione dei conflitti di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale, in barba alla tanto sbandierata efficienza del sistema. Ecco perché la Cgil, fatta di donne e uomini che sono prima di tutto cittadine e cittadini consapevoli del loro esser parte di una comunità, ha rifuggito l’ordalìa renziana rispedendo al mittente la richiesta di un giudizio fideistico su quella che avrebbe dovuto essere la svolta decisiva per l’Italia ma che, in realtà, è solo una riformicchia inutile e dannosa.
* Responsabile dell’Ufficio giuridico e vertenze Cgil nazionale
Area pro labour
Giuristi per il lavoro
Referendum Costituzionale - 28 Settembre 2016
Referendum costituzionale, perché la Cgil dice No alla riformicchia Renzi-Boschi
di Lorenzo Fassina *
“Correggere una Costituzione non è impresa minore del costruirla la prima volta”.
Difficile trovare parole più efficaci ed essenziali di quelle che Aristotele scolpì nel quinto libro della sua Politica per esprimere lo spirito di doverosa cautela con cui si dovrebbe affrontare una tematica così delicata come una riforma costituzionale.
Ed è proprio con questo spirito che la Cgil ha voluto far crescere, al proprio interno, una discussione di merito affrancata il più possibile dalle tossine di un dibattito polarizzato sino alle estreme conseguenze di considerare l’esito referendario quasi fosse un giudizio divino sulle sorti della nostra Democrazia. La discussione c’è stata e ha dato i suoi frutti con l’approvazione dell’ordine del giorno, da parte dell’Assemblea Generale di inizio settembre, nel quale la Cgil ha ufficialmente optato per il No al referendum costituzionale che si svolgerà il 4 dicembre 2016.
Nella scelta hanno giocato due fattori: uno di metodo, l’altro di merito tecnico. Dal primo punto di vista, come già evidenziato, è stato chiarissimo a tutti come fattori contingenti, vedi la personalizzazione dell’esito referendario o gli auspici più o meno interessati di esponenti politici stranieri e/o di importanti agenzie di rating finanziario, abbiano sopravanzato nettamente le argomentazioni e le riflessioni pro o contro l’approvazione della riforma Renzi-Boschi. In questo senso, la netta sensazione di trovarsi di fronte ad una strumentalizzazione dell’opinione pubblica da parte del governo, ha certamente aiutato le menti più avvedute ad una maggiore ponderazione dei contenuti della riforma costituzionale. E qui, infatti, entra in gioco il giudizio concreto sugli aspetti nodali della proposta di riforma costituzionale sulla quale saremo chiamati ad esprimere il nostro sì o il nostro no.
In primo luogo c’è da considerare la conformità di un tale disegno riformatore alla Costituzione stessa. In questo senso appaiono piuttosto fondate le critiche di coloro che sostengono una violazione dell’art. 48 Cost., nella misura in cui al cittadino elettore viene chiesto di dare una valutazione su un plesso di questioni assai vario e che, per ciò stesso, non può essere oggetto di un aut-aut senza violare la libertà e la consapevolezza del proprio voto. Sarebbe stato molto meglio spacchettare il quesito referendario per aree omogenee, permettendo così agli elettori una maggiore ponderazione ed un consapevole e genuino esercizio del diritto di voto. Invece ciò non si è consapevolmente voluto, proprio per favorire l’approccio propagandistico basato su alcune parole d’ordine, ripetute a mo’ di inestinguibile mantra, come governabilità, lotta ai costi della politica, decisionismo istituzionale e quant’altro.
Lasciando perdere il risibile argomento dei costi della politica (basterebbe chiedersi come mai non sia stato diminuito il numero dei deputati), le principali argomentazioni per il sì sono facilmente smontabili.
Primo: non è assolutamente vero che non si incida né sulla forma di Stato né su quella di governo. E’ vero il contrario: è sempre più chiaro, infatti, come la forma di governo verrà modificata nella misura in cui il premier, soprattutto se a capo di un partito o di un movimento che abbia fatto incetta di seggi attraverso l’italicum (sistema elettorale in odore di incostituzionalità), avrà il totale controllo del Parlamento (il Senato, ridotto ad un lumicino, non potrà infatti dare la fiducia al Governo). Sul fronte della forma di Stato, è del tutto evidente una fortissima centralizzazione dei poteri in capo all’istanza statale, sancendo così il passaggio da un rapporto con le Regioni di tipo “cooperativo” ad uno “competitivo”.
Secondo: appare assai discutibile escludere che una riforma siffatta, che attribuisce alla maggioranza di turno un potere abnorme, avrà i suoi pesanti riflessi sulla parte prima della nostra Costituzione attraverso un ridimensionamento dei diritti sociali ivi scolpiti (rendendo ancora più semplice l’abuso di quelle “prove di forza che non possiamo dimenticarci e che hanno già caratterizzato l’azione governativa nello smantellamento, ad esempio, della tutela reintegratoria attraverso il cd Jobs Act). Questo potrebbe, anzi, essere facilitato dall’obiettivo, che la riforma Renzi-Boschi persegue quasi scientificamente, di indebolire i “contrappesi” all’esecutivo, cioè il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale (del Senato “ombra” abbiamo già detto).
Terzo: lo snellimento del procedimento legislativo si rivelerà una chimera e, anzi, il nuovo articolo 70 porterà ad una moltiplicazione dei conflitti di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale, in barba alla tanto sbandierata efficienza del sistema. Ecco perché la Cgil, fatta di donne e uomini che sono prima di tutto cittadine e cittadini consapevoli del loro esser parte di una comunità, ha rifuggito l’ordalìa renziana rispedendo al mittente la richiesta di un giudizio fideistico su quella che avrebbe dovuto essere la svolta decisiva per l’Italia ma che, in realtà, è solo una riformicchia inutile e dannosa.
* Responsabile dell’Ufficio giuridico e vertenze Cgil nazionale
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Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "Il nostro governo ha scelto di realizzare i termovalorizzatori con risorse pubbliche, stanziando 800 milioni di euro attraverso il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc). Questo per evitare che il costo di ammortamento potesse ricadere sui cittadini attraverso tariffe esorbitanti. Noi vogliamo evitare questo errore e garantire un sistema sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Non solo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia il Presidente della Regione siciliana Renato Schifani. "I termovalorizzatori rappresentano una grande opportunità anche per il nostro sistema energetico- dice -In un periodo storico in cui i costi dell’energia sono sempre più elevati e la transizione ecologica è una priorità globale, trasformare i rifiuti in energia significa rendere la Sicilia più autonoma, ridurre la dipendenza da fonti fossili e creare un sistema. Il nostro cronoprogramma: entro questo marzo/aprile bando per progettazione; entro settembre 2026 inizio lavori (durata diciotto mesi). La Sicilia non può più permettersi di rimanere prigioniera dell’emergenza, della precarietà, dell’inerzia. È il momento di agire con coraggio e senso del dovere".
"Chi si oppone abbia almeno l’onestà di dire chiaramente perché e di assumersi la responsabilità di condannare questa terra al degrado e all’inefficienza- dice Schifani - Non possiamo accettare che il futuro della Sicilia venga bloccato da interessi di parte, da vecchie logiche a volte ambigue. Non possiamo più tollerare un sistema che penalizza i cittadini, le imprese e l’ambiente. La nostra Regione merita di voltare pagina. Merita un futuro fatto di pulizia, decoro e sostenibilità. Noi andremo avanti, con determinazione e con la convinzione che questa sia l’unica strada possibile. Anche se in salita. In tutti i sensi. Perché la Sicilia merita di più".
Palermo,9 mar. (Adnkronos) - "Perché, dopo vent’anni di dibattiti e promesse mancate, ancora oggi qualcuno si oppone alla realizzazione di impianti di termovalorizzazione? L’esperienza europea dimostra che questi impianti sono una soluzione efficiente e sicura per chiudere il ciclo dei rifiuti, trasformando ciò che non può essere riciclato in energia pulita. Eppure, in Sicilia si è continuato a rinviare, mentre le discariche si riempiono e i cittadini pagano bollette sempre più alte per smaltire i rifiuti altrove. È davvero un problema di tutela ambientale? No, perché i moderni termovalorizzatori sono progettati per garantire emissioni praticamente nulle, rispettando i più severi standard europei". Così il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, in un intervento sul Giornale di Sicilia. "Parlare di inquinamento è oggi fuori luogo: in molte città del Nord Italia, in Europa e nel mondo, questi impianti convivono con i centri abitati senza alcun impatto sulla qualità dell’aria", dice.
"Forse si vuole difendere il business delle discariche? È un dubbio legittimo. Il sistema attuale, infatti, ha spesso alimentato interessi economici poco trasparenti, in alcuni casi perfino legati alla criminalità organizzata. E di questo ho parlato in occasione della mia audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie", conclude Schifani.
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "La Sicilia, purtroppo, vive da decenni un’emergenza che sembra diventata strutturale. Il mio governo ha individuato fin dalla campagna elettorale questo come un obiettivo primario, consapevole che la gestione dei rifiuti non è solo un problema ambientale, ma anche sociale ed economico. Abbiamo ereditato una situazione di stallo, con un sistema fondato su discariche ormai al collasso, senza un’efficace pianificazione e con una raccolta differenziata ancora insufficiente. E soprattutto, mancava uno strumento fondamentale: il Piano rifiuti, indispensabile per poter programmare e realizzare qualsiasi intervento strutturale. Lo abbiamo speditamente adottato nel novembre scorso, dopo un grande lavoro di squadra che ha coinvolto vari organi istituzionali preposti al ramo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia, il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani,.
"Sapevamo che sarebbe stato un percorso difficile, sia dal punto di vista normativo che politico- prosegue - E a volte avvertiamo una condizione di solitudine, nel dover difendere un’idea di sviluppo che dovrebbe essere patrimonio comune, ma che invece incontra resistenze incomprensibili e a volte ambigue. Non cori da stadio, ma silenzi a volte trasversali e imbarazzanti".
"Non è un caso che il tema dei termovalorizzatori in Sicilia sia presente nel dibattito pubblico da oltre vent’anni, senza mai trovare una concreta soluzione- aggiunge Schifani - In tutto questo tempo, mentre in altre regioni italiane e in Europa si realizzavano impianti di ultima generazione per trasformare i rifiuti in energia, in Sicilia si continuava a rinviare, accumulando ritardi su ritardi e lasciando che il problema si aggravasse. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: città invase dai rifiuti, discariche sature, costi di smaltimento sempre più elevati e una dipendenza dall’estero per l’invio della spazzatura che pesa sulle tasche dei cittadini siciliani per oltre cento milioni all'anno". "Ciò che trovo più preoccupante è la rassegnazione diffusa tra i siciliani. Dopo decenni di annunci e promesse mancate, molti ormai non credono più che il cambiamento sia possibile. Ma io dico che questa volta è diverso. Questa volta il governo regionale ha fatto una scelta chiara e irreversibile: realizzare gli impianti e dare finalmente alla Sicilia una gestione moderna ed efficiente dei rifiuti. E per questo obiettivo dedico due pomeriggi al mese per monitorare di persona il percorso, spesso complesso ma che ci sforziamo di velocizzare. Per non parlare dei numerosi ricorsi presentati contro il mio piano per bloccare il tutto. A questi ci opporremo con fermezza e competenza".
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - I vigili del fuoco del Comando provinciale di Palermo resteranno per tutta la notte tra via Quintino Sella e via Gaetano Daita per tenere sotto controllo l'edificio in cui ieri mattina si è propagato un vasto incendio che ha distrutto l'appartamento all'ultimo piano dell'ex sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale, e della moglie, l'ex magistrato Annamaria Palma. I due sono riusciti a mettersi in salvo, tutti i residenti sono stati evacuati, un uomo di 80 anni è rimasto intossicato. "Le fiamme sono state circoscritte e non si propagano più. Sono in corso adesso le operazioni di bonifica che consistono nello smassamento della parte combusta e nello spegnimento dei focolai residui. Per tutta la notte sul posto sarà effettuato un servizio di vigilanza antincendio", ha spiegato in serata all'Adnkronos Agatino Carrolo, direttore regionale dei vigili del fuoco della Sicilia, da ieri mattina sul luogo del rogo.
"Abbiamo dovuto tagliare il tetto con le motoseghe. I miei uomini hanno lavorato a 25 metri su un piano inclinato di 30 gradi e abbiamo lavorato con la dovuta cautela. Tagliato il tetto si impedisce alle fiamme di propagarsi. Quindi rimangono da effettuare le operazioni di bonifica, di rimozione del materiale combusto e laddove ci sono dei focolai residui spegnerli. Oltre a questo si prevede di effettuare un'operazione di vigilanza antincendio ceh consiste in un presidio fisico a vigilare lo stato dei luoghi fino a quando non ci sarà più bisogno", ha detto.
E ha aggiunto: "Ci siamo trovati ad operare ad un altezza di 25 metri dal piano di calpestio. Dobbiamo spegnere un incendio importante di un tetto di circa 400 mq di falde e le fiamme sono particolarmente insidiose perché questa combustione è caratterizzata dal cosiddetto fuoco covante ossia una combustione in condizione di sotto ossigenazione che corre nello spazio di ventilazione del tetto. Quindi in superficie non si vede nulla ma ad un certo punto le fiamme affiorano dove è possibile".
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Non c’è molto da dire, se non che mi vergogno e che mi dispiace molto. Il Pd è germogliato dalle tradizioni più alte e più nobili della storia politica del Paese. Ha nel suo dna l’europeismo. Ed è di tutta evidenza che non può essere questo il nostro posizionamento". Lo scrive sui social Pina Picierno rispondendo alle proteste sui social per il post del Pd sulla questione del piano di Difesa Ue in cui si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Matteo Salvini.
"Mi vergogno, infatti. E sono allibita", aggiunge la vice presidente del Parlamento europeo.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Ma vi siete bevuti il cervello Elly Schlein? Vi mettete a scimiottare Salvini. I riformisti sono vivi? Hanno qualcosa da dire? Paolo Gentiloni, Lorenzo Guerini certificate la vostra esistenza in vita al netto di Pina Picierno e Filippo Sensi". Lo scrive sui social Carlo Calenda, rilanciando un post del Partito democratico sulla questione del piano di Difesa Ue in cui tra l'altro si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Salvini.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "In Italia si aggira un tizio - si chiama Andrea Stroppa - che rappresenta gli interessi miliardari e le intrusioni pericolose di Elon Musk. Dopo avere espresso avvertimenti vagamente minatori e interferito sull’attività di governo, questo Stroppa ha insultato due giornalisti, Fabrizio Roncone e la moglie Federica Serra, con il metodo tipico dell’intimidazione". Lo dice il senatore del Pd Walter Verini.
"Esprimiamo solidarietà ai due giornalisti. E ci chiediamo anche cosa aspetti Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio di questo Paese, a far sentire la sua voce contro queste ingerenze, questi attacchi, questi tentativi di intimidazione a giornalisti e giornali”, aggiunge il capogruppo Pd in Antimafia.