La legislatura 2006-2008, la compravendita dei senatori, Prodi che cade pugnalato da Mastella, Dini e dal resto dei centristi dell’Ulivo, mentre nell’aula di Palazzo Madama si festeggia ingurgitando mortadella alla faccia sua. Formidabili quegli anni, quando il Cavaliere crede di essere un grande seduttore ma è solo un grande corruttore. Sono gli anni in cui Silvio Berlusconi affida all’attenzione dell’ex senatore dipietrista Sergio De Gregorio (nella foto) l’“Operazione Libertà”, ovvero far sfiduciare Prodi ad ogni costo erodendo la sua risicata maggioranza di tre voti al Senato.
A detta dei parlamentari berlusconiani, l’ex presidente del Consiglio “aveva un’ossessione, quella di tornare al governo, un’ossessione che gli aveva procurato quasi un malessere fisico, e si adoperava con ogni mezzo per fare cadere l’esecutivo, era ‘disposto a tutto’ per questo”. Così il senatore di Forza Italia Antonio Tomassini mentre approcciava il collega di centrosinistra Paolo Rossi per convincerlo a fare il grande salto. Rossi ha riferito al processo: “Tomassini mi disse che Berlusconi avrebbe potuto ricompensarmi anche con una somma di denaro importante:‘perché la cifra eventuale messa a disposizione non avrebbe cambiato certo la vita di Berlusconi, ma avrebbe cambiato la mia’”. Tomassini ha smentito, ma i giudici ritengono più attendibile Rossi (che rifiutò sdegnato la proposta indecente) e lo scrivono nelle motivazioni della condanna di primo grado di Berlusconi e del mediatore Valter Lavitola, tre anni per la corruzione di De Gregorio, reo confesso (ha patteggiato 20 mesi), comprato con 3 milioni di euro tra bonifici in chiaro e fasce di banconote da 500 euro brevi manu. L’Appello è in corso e a fine ottobre dovrebbe uscire una nuova sentenza, ma il reato è abbondantemente prescritto, si lavora solo per la Storia.
Berlusconi aveva un’ossessione, quella di tornare al governo. Per fare cadere l’esecutivo, era disposto a tutto
E la storia, che forse è meglio ridimensionare alla ‘s’ minuscola, è quella di Berlusconi che in quei due anni trasforma il Senato in teatro, arena e oggetto del più gigantesco mercimonio della ‘politica’ (con la ‘p’ minuscola). Delle ‘trattative’ si occupano principalmente l’amico e sodale Lavitola – per non sporcarsi le mani in prima persona – e il senatore De Gregorio, un giornalista-editore- faccendiere napoletano, stritolato dai colossali debiti macinati dalla sua creatura ‘Italiani nel Mondo’, tenuta in piedi da decine di prestiti che l’ex senatore gestiva attraverso 70 conti correnti a lui riconducibili, sui quali sono transitati tra entrate e uscite circa 55 milioni di euro in dieci anni. ‘Italiani nel Mondo’ era un’associazione, una tv satellitare e una macchina del consenso clientelare tra Napoli e l’estero, dove si eleggevano sei senatori che fanno gola alle precarie maggioranze di turno.
Ex socialista craxiano e uomo dalle mille facce, tutte sospettabili, “dall’ego ipertrofico”, affermano i giudici, De Gregorio era uscito da Forza Italia per ripicca contro Antonio Martusciello e il suo veto alla candidatura alle elezioni regionali. Uno così il Di Pietro di Mani Pulite non lo avrebbe toccato nemmeno con le pinze. Eppure l’ex pm, con il parere favorevole dei suoi politici di fiducia nel napoletano (gli stessi che oggi tempestano di diffide chiunque li associ all’arruolamento di De Gregorio), lo fa approdare in Idv in piena mutazione genetica: da partito della legalità e dell’antiberlusconismo in refugium peccatorum di una combriccola di sbandati e trasformisti per lo più ex mastelliani. Le elezioni si svolgono il 9 aprile 2006 e a fine aprile De Gregorio è già a Palazzo Grazioli da Berlusconi, invito che accetta “con molto piacere e grande emozione”. Non vedeva l’ora.
E’ l’inizio della deriva. Mentre Lavitola fa da tramite con Berlusconi per soddisfarne gli appetiti economici, De Gregorio avvia “la guerriglia urbana” (parole sue) a Prodi, intasca coi voti del centrodestra la presidenza della commissione Difesa, è il cavallo di Troia nel centrosinistra in Senato e la sensazione, trascorsi dieci anni e fatte due chiacchiere in giro con chi di quel Senato fece parte, è che lui e Lavitola, con la carta bianca del Cavaliere, ci provarono con chiunque abbia prestato un minimo di orecchio alle loro lusinghe. E che i casi approdati a conoscenza della stampa e dei magistrati siano solo la punta di un iceberg
De Gregorio ci prova anche con Mastella. E si porta pure un (presunto) capo della Cia
Casi con varie sfumature di grigio. Di colore oscuro i colloqui con Clemente Mastella, inquieto ministro ulivista sempre con un piede fuori dal governo. De Gregorio lo convince a passare all’Hotel Ambasciatori di Roma per un pranzo (“ma fu solo un caffè” dice Mastella) con l’ambasciatore Usa e un presunto capo della Cia per lusingare il leader dell’Udeur e fargli credere che il governo statunitense vedeva di buon occhio la caduta di Prodi e un governo Mastella di transizione. Mastella, che non è nato ieri e dava del tu a Ciriaco De Mita quando la principale preoccupazione di Berlusconi era quella di supervisionare i costumi delle ballerine di Canale 5, sente puzza di bruciato (e di servizi segreti deviati, acque nelle quali il ‘giornalista’ De Gregorio avrebbe nuotato in passato), e se la fila via dopo due frasi di circostanza. Al processo testimonierà in maniera poco dettagliata: era in confusione, o ha rimosso il ricordo. Mastella ricorda però che la notte prima dell’arresto della moglie – la causa per cui mollò Prodi, inviperito per la mancata solidarietà del governo – ricevette la telefonata di un giornalista che gli preannunciava il tintinnio di manette.
Il dato combacia con una delle lettere con cui Lavitola ha ricattato Berlusconi ricordandogli i favori fatti, tra i quali l’aver avvertito Mastella delle indagini di Santa Maria Capua Vetere. Fu Lavitola a telefonare a Mastella per metterlo in guardia? Mistero. L’ex ministro di Giustizia dice di no, senza però aggiungere chi fu. In quelle lettere, ritrovate su due computer, Lavitola si vanta anche di essersi “lavorato Dini”. L’ex premier in aula ha negato ogni contatto e si è limitato ad ammettere che i senatori azzurri Romano Comincioli (poi deceduto, fu uno dei più attivi dell’Operazione Libertà) e Ferruccio Saro ogni tanto provavano a sondarne gli umori: “Sì, erano colleghi di Senato, con i quali parlavo di tanto in tanto, perché c’era un po’ un interesse di quella parte politica, quindi di Forza Italia, viste quelle che erano le mie posizioni critiche in Parlamento del Governo Prodi. Ecco, per questa ragione, diciamo, era una delle persone che di tanto in tanto dicevano: ah, ma, insomma … “. Ma senza fare pressioni, si è affrettato a precisare.
se mi dai l’Iban la mattina stessa del no a Prodi ti arriva un bonifico
C’era attenzione spasmodica a ogni soffio di vento nell’Ulivo. E grande spregiudicatezza. Febbraio 2007, nell’imminenza di una votazione di fiducia del governo De Gregorio è in ospedale per una colica renale. Ma dal letto di dolore prova a comprare il senatore brindisino di Idv Giuseppe Caforio, già blandito in altre occasioni dal senatore Tomassini (quello dei colloqui con Rossi, ricordate?). Gli dice “se mi dai l’Iban la mattina stessa del no a Prodi ti arriva un bonifico internazionale”, si parla di milioni di euro. Caforio ha mangiato la foglia, ha avvertito Di Pietro ed è andato al colloquio con un registratore nascosto, poi consegna il nastro all’ex pm che dice di averlo fatto recapitare in Procura a Roma, ma la cassetta svanisce nelle nebbie e i giudici nutrono dubbi che Di Pietro l’abbia davvero data a qualcuno. Peccato. Le indagini avrebbero guadagnato molti anni e forse si sarebbero salvate dalla prescrizione. L’ “Operazione Libertà” è tentata anche su Nino Randazzo, eletto all’Estero. Un imprenditore, un tale Nick Scavi, australiano come lui, gli dice che Berlusconi avrebbe voluto parlargli per proporgli di abbandonare il centrosinistra.
Al Senato si suonava solo questa musica. La musica suadente di Berlusconi, il grande seduttore-corruttore, dall’illimitata generosità e ricchezza. La politica era morta.