La disponibilità a metter mano alla legge elettorale in questa fase serve agli equilibri interni al Pd in vista del referendum. Ma la discussione non mi sembra seria. Non bastano gli annunci. Dovrebbero come minimo far approvare in commissione un nuovo testo prima del referendum, ma è improbabile. Se vince il No proveranno a eliminare il ballottaggio e ridurre la soglia al primo turno per il premio di maggioranza, che sarà attribuito alla coalizione e non più alla singola lista. Sarebbe in ogni caso la sconfessione dell’idea di Napolitano e Renzi del partito della Nazione, che vince e governa da solo.
Insieme agli altri avvocati anti-Italicum chiedo solo che non si voti nemmeno una volta con l’Italicum, per non ripetere la tragica esperienza del Porcellum: legge elettorale annullata, gli eletti incostituzionali al loro posto, che fanno una nuova legge elettorale incostituzionale e che modificano in peggio la Costituzione.
Non me l’aspettavo, ma non mi turba. Se può servire a un supplemento di riflessione e approfondimento, grazie a nuove ordinanze di rimessione alla Corte dai Tribunali interpellati, ben venga il rinvio dell’udienza. Tredici Tribunali devono ancora depositare una qualsivoglia decisione sui nostri ricorsi.
Probabile che la Corte abbia ritenuto di attenderne l’esito per evitare sovrapposizioni e avere un quadro più chiaro. Certo, il referendum avrà effetti. In caso di vittoria del No l’Italicum è morto, perché viene meno l’impianto che lo sorregge. Se invece vince il Sì non credo proprio che Renzi lo vorrà cambiare.
In caso di accoglimento totale o parziale ci sarà comunque una legge elettorale applicabile perché “le leggi elettorali sono costituzionalmente necessarie”, quindi in ogni momento ce ne deve essere una applicabile. Avremmo il Consultellum, cioè il Porcellum amputato, in caso di annullamento totale ovvero l’Italicum amputato dagli annullamenti parziali.
L’Italicum è una riproposizione ipocrita del Porcellum: sacrifica in modo eccessivo la rappresentanza per la governabilità, senza nessuna soglia di accesso al ballottaggio né un quorum di partecipazione elettorale. Se andasse a votare meno della metà degli aventi diritto, il vincitore avrebbe comunque il 54% dei seggi alla Camera. Nei collegi plurinominali non è garantita l’elezione dei candidati più votati. Il premio di maggioranza in numero fisso di seggi, cioè 340, è inversamente proporzionale al consenso elettorale, cioè meno voti hai avuto al primo turno più alto è il premio.
I procedimenti per ora sono due: uno con oggetto l’ordinanza di Messina e l’altro con l’ordinanza di Torino. Saranno discussi congiuntamente e, se riuniti, decisi con un’unica sentenza, che può contenere decisioni diverse, perché gioca un ruolo anche la forma redazionale delle ordinanze.
Sono cambiati sei giudici, più di un terzo rispetto al gennaio 2014: ci possono essere sensibilità diverse. Tuttavia la Corte costituzionale quale organo deve mantenere una certa coerenza. In una materia così importante rovesciare i principi di una decisione di meno di tre anni fa non aumenterebbe la sua autorevolezza.
In vista del referendum la minoranza Pd chiede pure una garanzia sul voto diretto dei senatori.
L’articolo 57 del Ddl Renzi-Boschi è un casino perché parla di elezione, quando si tratta di nomina. L’emendamento della minoranza Pd, recepito in Costituzione nel quinto comma dell’art. 57 revisionato, non parla di elezione diretta, ma in un comma che non c’entra nulla, perché relativo alla durata del mandato, parla di elezione (meglio: nomina) “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”. Un’elezione diretta è esclusa dall’ultimo comma dell’art. 57 per cui “i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio”, quindi dei rapporti tra maggioranza e minoranza regionale.