Sono giornate complicate, per non dire convulse, sul fronte del credito. Mentre MontePaschi è sempre più al centro della scena per via delle richieste di trasparenza nella gestione del piano di salvataggio e nei rapporti tra il governo e la banca d’affari Usa Jp Morgan (Ferruccio de Bortoli sul Corriere delle Sera e Massimo Mucchetti sul Fatto Quotidiano) e mentre crescono le probabilità che la prima aggregazione tra banche popolari (quella tra Popolare di Milano e Banco Popolare) venga bocciata dall’assemblea dell’istituto milanese, cresce la preoccupazione per il destino delle quattro cosiddette “good bank”.
Quella che doveva essere la partita più semplice da sistemare si sta trasformando in una piccola grande Waterloo per il sistema del credito italiano. Il termine del 30 settembre è stato superato, ma le trattative per la cessione – lungi dall’aver imboccato la direttrice finale – stanno tornando in alto mare e occorrerà ottenere al più presto da Bruxelles un’ulteriore proroga formale dei termini per aprire i colloqui con gli altri soggetti che si erano detti interessati all’acquisto, compresi i fondi le cui offerte erano state giudicate “irricevibili” a fine luglio. Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia nonché presidente dell’Ivass, si è mostrato ottimista: “Ci sono ipotesi e strumenti per trovare una soluzione positiva a questi problemi diversi dalla liquidazione”, ha detto a margine di un evento. E chi è vicino alle trattative condotte da Roberto Nicastro, presidente delle quattro “good bank” (Nuova Popolare Etruria, Nuova Banca delle Marche, Nuova CariFerrara e Nuova CariChieti), deve essere ottimista per forza: c’è un mandato a chiudere e se è vero che la trattativa con Ubi sembra spostarsi su un binario morto, è anche vero che la partita si gioca pure su altri tavoli.
Però il tempo diventa sempre più un fattore determinante e le condizioni poste da Ubi per rilevare tre dei quattro istituti non possono poi essere troppo diverse da quelle che porrebbe un qualunque altro acquirente, perché – come ha chiarito il presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi, Andrea Moltrasio – “porto in consiglio la questione solo quando sono in grado di creare valore per la nostra base di azionisti. Purtroppo nella nostra mission non abbiamo il salvataggio, che quindi deve essere fatto in altro modo”. Sembra sempre più remota anche l’ipotesi di un intervento del cosiddetto “braccio volontario” del Fondo Interbancario che, secondo indiscrezioni circolate nelle ultime settimane, potrebbe farsi carico di rilevare CariFerrara, istituto al quale Ubi non sarebbe interessata. Morale: la partita non si riesce a chiudere nemmeno ai tempi supplementari e con ogni probabilità si andrà ai rigori, con tutto quello che ne consegue in termini di garanzie occupazionali e per i territori. E la liquidazione resta una possibilità che tende a farsi sempre più concreta di settimana in settimana, per non dire di giorno in giorno.
Se su una partita così piccola come quella delle quattro banche ci sono tutte queste difficoltà, trovare la quadra su un’operazione di salvataggio di un grande malato come il MontePaschi è sostanzialmente una mission impossibile, gravata anche dagli errori e dalle interferenze governative. Si arriverà all’extrema ratio di nazionalizzare l’istituto senese? E’ una possibilità che nessuno può escludere a priori data la valenza sistemica di MontePaschi e le difficoltà che sta incontrando il piano di salvataggio varato a fine luglio.
E ai problemi di Siena rischiano di aggiungersi quelli di Verona: crescono infatti le probabilità che l’assemblea straordinaria dei soci di Bpm convocata per metà ottobre bocci il progetto di fusione con il Banco Popolare. Una prospettiva che non creerebbe pressoché nessun problema alla Popolare di Milano, che è una banca solida e con relativamente poche sofferenze, ma ne creerebbe molti all’istituto veronese che ha chiuso il primo semestre del 2016 con una perdita di 380 milioni di euro e che ha sofferenze nette per 6,1 miliardi (25 miliardi lordi) e inadempienze probabili per 7,2 miliardi. Se l’aggregazione dovesse saltare, potremmo ritrovarci presto con un altro malato al capezzale. Un intervento pubblico sulle banche, peraltro già ventilato nei mesi scorsi dal governo e giusto qualche giorno fa dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, potrebbe dunque rendersi necessario per preservare la stabilità del sistema. Ma da dove prenderà i soldi il governo? Quali spese o quali investimenti verranno tagliati?
E’ incredibile che, mentre la situazione si fa sempre più seria, il governo non solo elude i problemi, ma addirittura vara una nota di aggiornamento al Def con stime che non stanno né in cielo né in terra e che anche il Fondo monetario internazionale – dopo Banca d’Italia e Upb – si è incaricato di smentire, prevedendo che nel 2017 l’Italia sarà il fanalino di coda d’Europa e che farà persino peggio della Grecia. La sensazione è che, finita la campagna elettorale referendaria, il risveglio sarà molto brusco.
Lobby
Banche, la vendita di Etruria & c diventa una Waterloo per il sistema. E trovare la quadra per Mps è mission impossible
In alto mare la partita in apparenza più semplice, cioè trovare un compratore per le quattro cosiddette "good bank": la trattativa con Ubi è su un binario morto e occorrerà ottenere da Bruxelles un’ulteriore proroga formale dei termini. Intanto per Rocca Salimbeni non si può escludere che si arrivi all'extrema ratio, la nazionalizzazione, e crescono le probabilità che i soci di Bpm boccino il progetto di fusione con il Banco Popolare. Il che aggiungerebbe un altro grande malato
Sono giornate complicate, per non dire convulse, sul fronte del credito. Mentre MontePaschi è sempre più al centro della scena per via delle richieste di trasparenza nella gestione del piano di salvataggio e nei rapporti tra il governo e la banca d’affari Usa Jp Morgan (Ferruccio de Bortoli sul Corriere delle Sera e Massimo Mucchetti sul Fatto Quotidiano) e mentre crescono le probabilità che la prima aggregazione tra banche popolari (quella tra Popolare di Milano e Banco Popolare) venga bocciata dall’assemblea dell’istituto milanese, cresce la preoccupazione per il destino delle quattro cosiddette “good bank”.
Quella che doveva essere la partita più semplice da sistemare si sta trasformando in una piccola grande Waterloo per il sistema del credito italiano. Il termine del 30 settembre è stato superato, ma le trattative per la cessione – lungi dall’aver imboccato la direttrice finale – stanno tornando in alto mare e occorrerà ottenere al più presto da Bruxelles un’ulteriore proroga formale dei termini per aprire i colloqui con gli altri soggetti che si erano detti interessati all’acquisto, compresi i fondi le cui offerte erano state giudicate “irricevibili” a fine luglio. Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia nonché presidente dell’Ivass, si è mostrato ottimista: “Ci sono ipotesi e strumenti per trovare una soluzione positiva a questi problemi diversi dalla liquidazione”, ha detto a margine di un evento. E chi è vicino alle trattative condotte da Roberto Nicastro, presidente delle quattro “good bank” (Nuova Popolare Etruria, Nuova Banca delle Marche, Nuova CariFerrara e Nuova CariChieti), deve essere ottimista per forza: c’è un mandato a chiudere e se è vero che la trattativa con Ubi sembra spostarsi su un binario morto, è anche vero che la partita si gioca pure su altri tavoli.
Però il tempo diventa sempre più un fattore determinante e le condizioni poste da Ubi per rilevare tre dei quattro istituti non possono poi essere troppo diverse da quelle che porrebbe un qualunque altro acquirente, perché – come ha chiarito il presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi, Andrea Moltrasio – “porto in consiglio la questione solo quando sono in grado di creare valore per la nostra base di azionisti. Purtroppo nella nostra mission non abbiamo il salvataggio, che quindi deve essere fatto in altro modo”. Sembra sempre più remota anche l’ipotesi di un intervento del cosiddetto “braccio volontario” del Fondo Interbancario che, secondo indiscrezioni circolate nelle ultime settimane, potrebbe farsi carico di rilevare CariFerrara, istituto al quale Ubi non sarebbe interessata. Morale: la partita non si riesce a chiudere nemmeno ai tempi supplementari e con ogni probabilità si andrà ai rigori, con tutto quello che ne consegue in termini di garanzie occupazionali e per i territori. E la liquidazione resta una possibilità che tende a farsi sempre più concreta di settimana in settimana, per non dire di giorno in giorno.
Se su una partita così piccola come quella delle quattro banche ci sono tutte queste difficoltà, trovare la quadra su un’operazione di salvataggio di un grande malato come il MontePaschi è sostanzialmente una mission impossibile, gravata anche dagli errori e dalle interferenze governative. Si arriverà all’extrema ratio di nazionalizzare l’istituto senese? E’ una possibilità che nessuno può escludere a priori data la valenza sistemica di MontePaschi e le difficoltà che sta incontrando il piano di salvataggio varato a fine luglio.
E ai problemi di Siena rischiano di aggiungersi quelli di Verona: crescono infatti le probabilità che l’assemblea straordinaria dei soci di Bpm convocata per metà ottobre bocci il progetto di fusione con il Banco Popolare. Una prospettiva che non creerebbe pressoché nessun problema alla Popolare di Milano, che è una banca solida e con relativamente poche sofferenze, ma ne creerebbe molti all’istituto veronese che ha chiuso il primo semestre del 2016 con una perdita di 380 milioni di euro e che ha sofferenze nette per 6,1 miliardi (25 miliardi lordi) e inadempienze probabili per 7,2 miliardi. Se l’aggregazione dovesse saltare, potremmo ritrovarci presto con un altro malato al capezzale. Un intervento pubblico sulle banche, peraltro già ventilato nei mesi scorsi dal governo e giusto qualche giorno fa dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, potrebbe dunque rendersi necessario per preservare la stabilità del sistema. Ma da dove prenderà i soldi il governo? Quali spese o quali investimenti verranno tagliati?
E’ incredibile che, mentre la situazione si fa sempre più seria, il governo non solo elude i problemi, ma addirittura vara una nota di aggiornamento al Def con stime che non stanno né in cielo né in terra e che anche il Fondo monetario internazionale – dopo Banca d’Italia e Upb – si è incaricato di smentire, prevedendo che nel 2017 l’Italia sarà il fanalino di coda d’Europa e che farà persino peggio della Grecia. La sensazione è che, finita la campagna elettorale referendaria, il risveglio sarà molto brusco.
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Tel Aviv, 13 mar. (Adnkronos) - "In merito all'accusa del sangue pubblicata dalla 'Commissione d'inchiesta': è uno dei peggiori casi di accusa del sangue che il mondo abbia mai visto (e il mondo ne ha visti molti). Accusa le vittime dei crimini commessi contro di loro. Hamas è l'organizzazione che ha commesso orrendi crimini sessuali contro gli israeliani. È davvero un documento malato che solo un'organizzazione antisemita come l'Onu potrebbe produrre". Lo ha scritto su X il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Oren Marmorstein.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - Si terrà la prossima settimana, probabilmente giovedì 20 marzo, una seduta straordinaria della Camera dei deputati di tre ore e mezza per discutere le mozioni delle opposizioni sull'emergenza carceri. Lo ha stabilito la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio.
Ramallah, 13 mar. (Adnkronos) - Secondo la Società dei prigionieri palestinesi e la Commissione per gli affari dei prigionieri ed ex prigionieri, almeno 25 palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane durante le ultime incursioni nella Cisgiordania occupata. Tra gli arrestati ci sono una donna e diversi ex prigionieri, si legge nella dichiarazione congiunta su Telegram. Aumentano gli arresti a Hebron, dove secondo l'agenzia di stampa Wafa oggi sono state arrestate 12 persone, tra cui 11 ex prigionieri.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Non c'è stato l'affidamento da parte del governo di infrastrutture critiche del Paese a Starlink" e "come già rassicurato dal presidente Meloni ogni eventuale ulteriore sviluppo su questa questione sarà gestito secondo le consuete procedure". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani in Senato rispondendo a una interrogazione del Pd.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - Per quel che riguarda il piano 'Italia a 1 giga', "con riferimento alle aree più remote, il governo sta valutando con Starlink e altri operatori l'ipotesi di integrazione della tecnologia satellitare come complemento alle infrastrutture esistenti". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo in Senato a una interrogazione del Pd.
"Nel caso specifico di Starlink, sono in corso delle interlocuzioni con alcune regioni italiane - del nord, del centro e del sud - per sperimentare la fornitura di un 'servizio space-based' rivolto ad aree remote o prive di infrastrutture terrestri. In ogni caso, si ribadisce che non sono stati firmati contratti nè sono stati conclusi accordi tra il governo italiano e la società Space X per l'uso del sistema di comunicazioni satellitari Starlink per coprire le aree più remote del territorio", ha chiarito Ciriani.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Presso la presidenza del Consiglio non è stato istituito alcun tavolo tecnico operativo per lo studio della concessione a Starlink della gestione delle infrastrutture di connessione e telecomunicazione delle sedi diplomatiche italiane o delle stazioni mobili delle navi militari italiane". Lo ha detto il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo al Senato a una interpellanza del Pd.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Credo che l'esperienza viva possa essere più forte di qualunque altro elemento: io da giovane sono stata vittima di violenza, ho avuto un fidanzato che non capiva il senso del no". Lo ha detto in aula alla Camera la deputata del M5s Anna Laura Orrico, nel dibattito sulla Pdl sulle intercettazioni e in particolare sull'emendamento sul limite all'uso delle intercettazioni stesse.
"Quando l'ho lasciato ha iniziato a seguirmi sotto casa, si faceva trovare dietro gli angoli del mio quartiere. Venti anni fa non si parlava di violenza contro le donne, non c'era nessun meccanismo di prevenzione nè strumenti per agire -ha proseguito Orrico-. Il mio appello alla Camera è di sostenere questo emendamento, oggi gli strumenti ci sono ma non sono sufficienti. Le intercettazioni sono tra questi strumenti e nessuna donna è tutelata se non è consapevole".