“Sconcertante”, la definisce l’ex vice primo ministro Nick Clegg. “Verrà percepita come ostile, miope e xenofobica“, conferma un professore dell’università dell’Essex. L’ultima decisione del governo britannico in materia di Brexit scatena le reazioni polemiche di politici e cattedratici d’oltremanica, mentre alcuni esperti di diritto pongono un interrogativo sulla validità legale del provvedimento, che viene visto come discriminatorio. A pubblicare lo scoop è stato il Guardian: l’esecutivo guidato da Theresa May ha fatto sapere ad alcuni accademici stranieri della London School of Economics che non intende più servirsi del loro contributo come consulenti del governo per i negoziati con la Ue su commercio estero, sicurezza e tutti gli altri temi sul tavolo in vista dell’uscita del Paese dalla Ue. Il motivo? La loro nazionalità. Non essendo cittadini del Regno, risulterebbe pericoloso, secondo quanto appreso dal Guardian, metterli a conoscenza di notizie su “materiale sensibile”.
La London School ha appreso della nuova decisione di Downing Street attraverso una mail inviata dal ministero degli Esteri (Foreign Office). Da quando sono cominciate le trattative con Bruxelles sull’uscita dalla Ue, sono stati nove gli accademici del prestigioso istituto londinese che hanno collaborato col governo. E proprio una di loro, la docente danese Sara Hagemann, specializzata nei processi di politica europea, giovedì scorso in un tweet ha reso noto di aver ricevuto la comunicazione ufficiale. “Prima il governo – ha commentato la Hagemann – si assicurava il lavoro e le consulenze dei migliori. A me e ad alcuni miei colleghi è appena stato detto che non siamo più qualificati in quanto non cittadini britannici”.
UK govt previously sought work& advice from best experts. Just told I & many colleagues no longer qualify as not UKcitizens #Brexit @LSEnews
— Sara Hagemann (@sarahagemann) 6 ottobre 2016
Il Foreign Office ha negato che gli esperti stranieri siano stati rimossi dal loro incarico, parlando di un fraintendimento. “Lavoriamo regolarmente – ha riferito un portavoce – con istituzioni accademiche per implementare la nostra politica, e nulla è cambiato come conseguenza del referendum. La Gran Bretagna è una nazione che guarda al di là dei propri confini e continueremo pertanto a servirci della consulenza delle menti migliori, indipendentemente dalla loro nazionalità”. Alla richiesta di fornire ulteriori spiegazioni sulla faccenda, il ministero ha rifiutato di rispondere.
Nel frattempo divampano le polemiche. “È assolutamente sconcertante – ha dichiarato portavoce europeo dei liberaldemocratici, Nick Clegg – che il governo faccia a meno di perizie esperte e indipendenti sulla Brexit solo perché qualcuno è di un altro Paese”. Steve Peers, un docente di Diritto europeo all’università dell’Essex che ha già collaborato come consulente del governo, ha affermato che dovrebbe essere “perfettamente possibile ricevere suggerimenti utili da parte dei più qualificati esperti nel Paese” senza che nulla di “sensibile” venga rivelato.
Nelle stesse ore, il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker critica con durezza le manovre di Londra per cercare di dividere l’Europa e fare accordi separati con i singoli governi per restare nel mercato unico senza accettare la libertà di circolazione dei lavoratori. “Non si può stare con un piede dentro ed un piede fuori” dall’Unione, ha detto da Parigi, aggiungendo che Bruxelles dovrà essere “intransigente” nella difesa del mercato unico.