Trenta giorni al voto. E la crisi più devastante sperimentata sinora dal candidato repubblicano alla presidenza, Donald Trump, e dal suo stesso partito. Le battute sessiste di Trump – registrate in un fuori onda del 2005, in cui l’allora imprenditore e celebrità tv diceva di poter fare qualsiasi cosa a una donna, in quanto VIP – stanno scatenando una reazione a catena dalle conseguenze incalcolabili. Trump dice di “non volersi ritirare”. E’ chiaro però che i repubblicani stanno cercando tutti i modi per disfarsi di un candidato mai amato e che oggi rischia di fare molto male all’intero G.O.P. Il problema è che non è facile – anzi, è quasi impossibile – liberarsi di Trump a questo punto della sfida elettorale.
Il vero dato politico è infatti questo. Nelle ultime settimane – dopo la prova deludente nel primo dibattito televisivo con Hillary Clinton, dopo le polemiche sulla regina del concorso di bellezza Alicia Machado – le chance di vittoria di Trump si sono ulteriormente assottigliate. Di questo la leadership repubblicana era ed è perfettamente cosciente. Molti tra i repubblicani hanno anzi segretamente sperato che una sconfitta di Trump l’8 novembre spazzi via, per sempre, l’uomo che ha travolto il partito; e che da questa sconfitta/espiazione possa iniziare una fase nuova, di ricostruzione, per i conservatori americani.
Le frasi rubate nel 2005 cambiano però sensibilmente la situazione. Intere fasce di popolazione – gli indipendenti, soprattutto donne, ma anche molti evangelici e l’elettorato più anziano e tradizionalista degli swing states – potrebbero essere portate a voltare le spalle non soltanto al candidato repubblicano alla Casa Bianca, ma anche ai candidati del G.O.P. al Senato e alla Camera. Soprattutto il Senato appare a questo punto a rischio. Chi può cerca di abbandonare la barca prima che affondi definitivamente. Per molti candidati repubblicani impegnati in un testa a testa all’ultimo voto, l’appoggio a Trump potrebbe infatti equivalere a un suicidio politico.
Ha preso le distanze Kelly Ayotte, impegnata in una rielezione difficile per il seggio senatoriale in New Hampshire. “Sono prima di tutto una mamma e un’americana – ha annunciato Ayotte – non posso sostenere e non sosterrò un candidato alla presidenza che si vanta di degradare e assalire le donne”. Ha mollato Trump Joe Heck, anche lui alle prese con un’elezione complicata in Nevada. Hanno disconosciuto il candidato repubblicano 16 senatori, tra cui Richard Burr del North Carolina, Lindsey Graham del South Carolina, Mark Kirk dell’Illinois e Mike Lee dello Utah. “Sono arrivato alla conclusione che non posso più sostenere Donald Trump”, ha detto il senatore Mike Crapo dell’Idaho.
Ha rescisso ogni legame John Thune, numero tre dei repubblicani al Senato, che chiede a Trump di lasciare il posto al candidato alla vicepresidenza Mike Pence. E poi molti deputati, tra cui Martha Roby dell’Alabama, Jason Chaffetz dello Utah, Frank Lo Biondo del New Jersey. Fuga anche tra i governatori: dicono addio a Trump Gary Hebert dello Utah e Robert Bentley dell’Alabama. I commenti ufficiali che più spesso si leggono o sentono tra i repubblicani, riferiti alle affermazioni di Trump sulle donne, sono: “orrende”, “vili”, “predatorie”, “riprovevoli”, “incredibili”, “disgustose”, “irrispettose”. Carly Fiorina, ex-candidata alle primarie, chiede a Trump di “farsi da parte”. Condannano Trump, ma era prevedibile, Jeb Bush, John Kasich, Mitt Romney e John McCain (che si dice “stomacato” e ritira, anche lui, il sostegno ufficiale). Tra i big del partito in rivolta ci sono anche l’ex segretario di Stato Condoleezza Rice, l’ex numero uno di Cia e Nsa Michael Hayden, l’ex segretario per la sicurezza nazionale Tom Ridge e l’ex segretario al Tesoro Henry Paulson. Paul Ryan esclude Trump da un evento elettorale in Wisconsin. Il suo vice, Mike Pence, rifiuta di far campagna per lui e dice di non poter “perdonare” quelle affermazioni. “Il partito di Lincoln non è uno spogliatoio”, dichiara il presidente dell’associazione dei college Usa. La Camera di commercio, solido bastione conservatore, chiede a Trump di “abbandonare il campo immediatemente”. “I finanziatori G.O.P. sono in uno stato di panico”, afferma una fundraiser repubblicana, Lisa Spies. E lo stesso partito fa girare una mail riservata in cui annuncia di aver bloccato la campagna denominata “Victory”, quella messa in campo per appoggiare la sfida di Trump.
Ci potrebbe essere più chiara dimostrazione di quello che il G.O.P. vorrebbe da Trump? Non sembra proprio. La quasi totalità dei repubblicani vuole che Trump esca di scena. Solo che la cosa appare difficile, in realtà quasi impossibile. L’unica soluzione starebbe nell’addio volontario da parte di Trump stesso. Ma Trump, al momento, appare combattivo, irremovibile. Su Twitter definisce “ipocriti moralisti” i big che lo hanno scaricato e dà appuntamento ai suoi sostenitori per stasera, quando incontrerà per il secondo dibattito televisivo Hillary Clinton. “E allora solleverò il caso dei tradimenti di Bill Clinton e della foga mostrata da Hillary nel distruggere le amanti di Bill”, ha minacciato Trump. In mancanza di un abbandono volontario, resta al Republican National Committee una sola strada: quella di appellarsi alla “rule nine” del regolamento, che dice che il partito può sostituire il candidato in caso di “morte, abbandono o diversamente”. L’abbandono di Trump è, tranne sorprese clamorose, escluso. La morte non pare in vista. Rimane quell’”altrimenti“, che i leader repubblicani potrebbero interpretare in modo esteso e usare per far fuori Trump.
La cosa non è semplice. Come definire quell’”altrimenti”? Si può cacciare via Trump per indegnità morale? Per aver disatteso principi e valori del partito repubblicano? E cosa succederebbe, a quel punto, con i milioni di suoi sostenitori? Cosa fare nel caso Trump decidesse di adire alle vie legali contro il partito? Senza contare che l’early voting è iniziato, migliaia di persone hanno già votato e un eventuale abbandono/cacciata del candidato potrebbe far esplodere una miriade di problemi legali. No, meglio, molto meglio, tapparsi naso, occhi, orecchie e affrontare questi ultimi giorni di campagna elettorale. Sperando che la nemica di sempre, Hillary Clinton, faccia quello che i repubblicani non sono stati capaci di fare: cancellare dalla mappa politica, definitivamente e senza ferite ulteriori, l’uomo che ha messo a rischio la sopravvivenza stessa del partito repubblicano.