Una settimana fa l’ha sottolineato – di nuovo – l’Ocse. Ora lo rileva anche Bankitalia: nella Penisola il welfare privilegia gli anziani, mentre per bambini e ragazzi, e più in generale per la famiglia, spendiamo troppo poco. Questo in attesa che il governo presenti l’annunciato piano di sostegno ai nuclei con bambini, che dovrebbe favorire nel concreto (al netto delle polemiche sul Fertility day) l’aumento della natalità. “Il nostro welfare è più sbilanciato a tutela dei bisogni tipicamente legati all’età avanzata (pensioni di vecchiaia e anzianità, malattia, disabilità) rispetto agli altri Paesi europei”, ha sottolineato Paolo Sestito, capo del servizio struttura economica di via Nazionale in audizione in commissione Finanze al Senato sul ddl delega per il riordino e il potenziamento delle misure a sostegno dei figli a carico. Un problema, quello legato allo scarso sostegno alle famiglie, che finisce per acuire anche la disparità di genere, generando “una ridotta partecipazione delle madri al mercato del lavoro“.

“Alla copertura dei bisogni inerenti alla famiglia e ai bambini l’Italia destina invece cumulativamente il 6,7% della propria spesa per protezione sociale (corrispondenti a 375 euro pro capite), meno di quanto spendono, ad esempio, Germania e Francia (rispettivamente l’8,7 e il 10,7% della spesa sociale)”. In più predominano, più che negli altri Paesi, “le misure di sostegno monetario”.

L’intento di semplificare e razionalizzare gli strumenti a sostegno delle famiglie con i figli “è condivisibile“, ha continuato Sestito, ma vista la “carenza di risorse” e “gli stringenti vincoli di bilancio” bisogna scegliere “quali misure debbano avere la priorità”. Sestito ha ricordato che è in corso di approvazione un altro disegno di legge delega per l’introduzione del reddito minimo al contrasto della povertà “particolarmente elevata soprattutto fra i minori“. Bisogna quindi decidere cosa scegliere: “Voler raggiungere tutti i minori rischia di destinare troppe poche risorse a quelli in condizioni di maggior disagio. Potrebbe essere opportuno concentrare le risorse, differenziando maggiormente gli importi dei benefici sia sulla base delle condizioni economiche della famiglia che in base all’età dei figli”.

Altro argomento affrontato nell’audizione odierna è stato quello relativo all'”offerta pubblica e il sostegno alla domanda di servizi di cura“, che per via Nazionale sono “insufficienti”. A dimostrarlo, secondo Sestito, starebbe il fatto che “le strutture esistenti sono poche”, nonché “poco flessibili nella loro operatività”. C’è poi il problema dei congedi parentali, che “sono  ancora goduti quasi solo dalle madri”. Troppo poco si fa, ha aggiunto Sestito, per “stimolare una maggiore condivisione, all’interno della coppia, delle responsabilità genitoriali” e per “favorire regimi di organizzazione dei ritmi di vita e di lavoro che non agiscano da disincentivo alla fecondità“. Il tutto produce una duplice stortura, a giudizio dei tecnici di via Nazionale: l’Italia è infatti “caratterizzata, allo stesso tempo, da un basso tasso di natalità e da una ridotta partecipazione delle madri al mercato del lavoro“. Fenomeni, questi, che “non dipendono solo dalla inadeguatezza delle politiche di sostegno alla genitorialità e di quelle di conciliazione tra vita familiare e lavorativa”, ma che sono tuttavia stimolati dalla “ridotta entità delle risorse mobilizzate” e dal “loro disegno poco organico”.

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