Lo scrittore di thriller Jason Pinter, nessuna parentela con Harold – Nobel per la Letteratura nel 2005 – ha lanciato un tweet spiritoso che non lascia adito a dubbi. “Se Bob Dylan può vincere il premio Nobel per la Letteratura, Stephen King deve entrare a far parte della Rock and Roll Hall of Fame”. Mister Pinter l’ha toccata pianissimo, semplificando sorpresa e malcelato fastidio di fronte al Nobel per la Letteratura 2016 consegnato per la prima volta nella storia ad una popstar musicale. Per carità, premettiamolo subito, non siamo a scrivere queste poche righe per creare polemica contro il valore universale del Dylan musicista. Voce inconfondibile ed inimitabile, autore che ha saputo creare un proprio stile in modo che al secondo o terzo accordo di ogni suo brano, sia che fosse Blowin’ in the wind che un più recente Duquesne Whistle, lo si potesse riconoscere e seguire battendo il ritmo come ogni brano pop vuole, Dylan ha saputo oltretutto rimanere in sella senza perdere il suo caratteristico timbro sonoro e le sue peculiarità poetiche attraverso quattro decenni in cui il globo si è come musicalmente rovesciato.
Per questo vogliamo solamente comprendere perché, come, e se ha senso, che il contenitore “Nobel per la Letteratura” sia stato rovesciato a favore dell’arrivo del menestrello Bob. Chiaro, non ci sono mai state regole fisse, principi stringenti per assegnare questo premio ad un letterato piuttosto che ad un altro, se non il principio/mantra di Alfred Nobel, che vuole che ogni anno sia premiato “l’autore che ha prodotto nel campo della letteratura il lavoro più significativo verso una direzione ideale”. Nel campo della letteratura, appunto. Ecco allora che il tweet paradossale di cui sopra non sembra essere così campato in aria. Bob Dylan è un letterato? Tutti i musicisti e cantautori sono letterati? Letterato inteso come scrittore, o in senso più ampio come persona colta ed erudita nel campo umanistico. Se la risposta è sì, i fan di Bruce Springsteen dovrebbero gridare vendetta e attendere il prossimo ottobre per vedere il boss Nobel per la Letteratura.
E ancora: ma dopo che il Nobel per la Letteratura ha premiato grandi classici come Gabriel Garcia Marquez, Jose Saramago, e Gunther Grass, ed ha sposato la linea autori impegnati (Vargas Llosa, Herta Muller, la Alexievic), come non ha potuto riconoscere quanto di più interessante ci fosse in circolazione oggi, con autori come DeLillo e Roth eredi della tradizione del grande romanzo americano, Adonis sulla questione siriana e sul fondamentalismo religioso in Medio Oriente, o anche solo una figura simbolica per il continente africano come Ngugi Wa Thiong’o? Se il Nobel ha un senso, anche soltanto di supporto economico a voci nascoste e coraggiose (8 milioni di corone svedesi, circa 900mila dollari per il vincitore), meglio che valga come monito e segnale di una trasformazione e di un cambiamento culturale, di riflessione sull’attuale e il contingente, sui valori universali e scricchiolanti dell’uomo, sulla parola che si conficca come un chiodo in mente e memoria dei comuni mortali. Altrimenti il Nobel rischia davvero di essere la scelta di un consesso di anziani hippies (come scrive Irvine Welsh su Twitter) che convergono sul premio nostalgia della loro adolescenza. Se infine, il tentativo dell’Accademia svedese è quello di un premio che converge su una figura “pop” la letteratura odierna, nei suoi differenti aspetti, ne propone a decine e in ogni latitudine con milioni di lettori e seguaci. Citare nuovamente Don DeLillo appare scortese e ripetitivo, ma per vincere il Nobel per la Letteratura tra una pagina di Underworld e una strofa di A Hard Rain’s a-Gonna Fall, nemmeno ripeto per chi ho fatto il tifo.