Cultura

Bob Dylan, perché sì: assegnargli il premio Nobel per la Letteratura è giusto. Ma non diventi un modo per riempire status su Facebook

L'unico rischio possibilie è trasformare la sua vittoria in qualcosa di buono solo per i social. Perché il Nobel a Dylan è tutt'altro. Il Nobel a Dylan può e deve essere soprattutto il tributo all'autore di testi meravigliosi, zeppi di significato politico e sociale nella scia di una lunga tradizione letteraria americana che passa attraverso John Steinbeck e Jack Kerouac, T. S. Eliot e i poeti beat

La polemica di Domenico Naso

Dice: che c’azzecca Bob Dylan con il Nobel per la Letteratura? Ma tutto, signori miei. E non bisogna essere per forza fan sfegatati del menestrello di Duluth, per rendersene conto. In fondo, le polemiche sull’assegnazione del Nobel ci sono sempre state, e guarda caso hanno riguardato, nel 1997, quello stesso Dario Fo che proprio in queste ore stiamo giustamente piangendo. Secondo l’Accademia Svedese, Dylan ha “creato nuove espressioni poetiche all’interno della tradizione della canzone americana”. Una motivazione scarna come solo quelle del Nobel sanno essere, e che in fondo dice poco o niente dell’effettiva influenza dei testi di Bob Dylan nella cultura americana, o meglio di quella che cinquant’anni fa era controcultura e solo oggi, dopo decenni di politicamente corretto, è diventata mainstream, patrimonio di tutti, a cui tutti siamo quasi obbligati a rivolgerci con devozione. Ecco, il rischio del premio Nobel a Bob Dylan è questo, soprattutto: trasformare la sua vittoria in qualcosa di buono per riempire gli status su Facebook o i cinguettii su Twitter. No, tutt’altro. Il Nobel a Dylan può e deve essere soprattutto il tributo all’autore di testi meravigliosi, zeppi di significato politico e sociale, al cantore di un’America che non si riconosceva nei film di Doris Day, nella guerra del Vietnam, nei sobborghi borghesi stipati di villette a schiera con prati rigorosamente perfetti. È l’America piena di polvere, sudore, sangue e merda dell’epopea beat, è l’America dei reietti e dei diseredati, dei vagabondi sui treni, dell’illusoria fuga dalla realtà offerta dalle droghe. Tutti riferimenti e suggestioni culturali che oggi ci sono sembrano banali, visto che purtroppo sono stati banalizzati colpevolmente negli ultimi decenni, ma che all’epoca erano scioccanti, per l’America perbenista.

Nella sterminata produzione dylaniana si susseguono generi e riferimenti letterari senza soluzione di continuità, figli di una creatività acida e a volte sconnessa, ma sempre foriera di grandi brani di letteratura, oltre che di musica. Dagli inni politici The times they are a-changin’ e Blowin’ in the wind, si passa a perle rare di poesia pura come Chimes of Freedom (che il grande poeta beat Allen Ginsberg descrisse come “catene di immagini squillanti”) o Vision of Johanna (che non a caso gioca molto su modelli letterari di donna che arrivano direttamente da William Blake).  E sull’efficacia letteraria dei testi di Bob Dylan ci sono ancora meno dubbi se si scorre il testo di Hurricane, il brano che il cantautore americano ha dedicato nel 1976 a Rubin “Hurricane” Carter, pugile afroamericano ingiustamente condannato per un triplice omicidio avvenuto nel 1966 e che uscirà di prigione, totalmente scagionato, solo nel 1985. Ebbene, quel testo, quel ritornello potente e anche musicalmente efficace, racconta la vicenda molto meglio, ad esempio, del film del 1999 con Denzel Washington.

Ecco perché Bob Dylan può e deve vincere il Premio Nobel per la Letteratura. Perché i suoi testi, i suoi versi, l’immaginario poetico che prende vita nei suoi dischi sono coerenti con una lunga tradizione letteraria americana che passa attraverso John Steinbeck e Jack Kerouac, T. S. Eliot e i poeti beat come Ginsberg e Ferlinghetti, ma anche riferimenti d’oltreoceano, da Bertolt Brecht ad Arthur Rimbaud e Paul Verlaine. C’è tanta letteratura in Dylan, ma non è riproposizione pedissequa, non è un mettere in musica i versi altrui. La poetica dylaniana è qualcosa di nuovo, o quantomeno di rinnovato, nel solco di una tradizione che esisteva già e aveva già regalato all’umanità capolavori senza tempo.

Chi sostiene che il Nobel per la Letteratura non abbia niente a che fare con Dylan, nega innanzitutto a se stesso che le divisioni settarie tra forme d’arte hanno sempre meno senso, che Dylan, ma anche, giusto per fare qualche esempio, Bruce Springsteen e John Lennon, è autore di letteratura di primissimo piano. Magari non si è concretizzata attraverso romanzi o raccolte di poesie, ma cosa sono molti dei testi dylaniani se non racconti brevi di lancinante umanità? Perché qui tocca mettersi d’accordo una volta per tutte sul significato del termine “letteratura”. Il dizionario Webster, per esempio, fornisce, tra gli altri, anche il seguente significato: “writings having excellence of form or expression and expressing ideas of permanent or universal interes”. Appunto.

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