La moschea di Giona era luogo di pellegrinaggio di sciiti e sunniti. Nel luglio 2014, poche settimane dopo aver conquistato Mosul, mentre era già in corso l’esodo di migliaia di famiglie di fede cristiana in fuga dalle persecuzioni, i miliziani dell’Isis la fecero saltare in aria. Lì, sotto le macerie del tempio dedicato al profeta citato nel Corano e nel Vecchio Testamento, è sepolta almeno per ora la possibilità del ritorno alla convivenza fra le diverse fedi che animavano quella che fino all’arrivo dei macellai di Abu Bakr Al Baghdadi era stata il simbolo della possibilità di una convivenza multietnica e multiconfessionale in Iraq: la natura composita del fronte che sul terreno ha lanciato l’offensiva per liberare la roccaforte dello Stato Islamico non rappresenta un buon presagio per ciò che avverrà dopo la liberazione.

“Come si risponderà al tentativo da parte delle ‘forze di mobilitazione popolare’, sciite, di creare un corridoio che parte da Tal Afar fino a Mosul, e che sarà strategico per gli iraniani? – domanda su Al Jazeera Fayz al Duweiri, esperto di questioni strategiche e militari – come reagiranno i sunniti iracheni al cambiamento demografico ai loro danni che il Fronte di mobilitazione popolare e i Peshmerga stanno portando avanti? Come e chi amministrerà la città dopo la liberazione? Quale sarà il ruolo della Turchia che ha addestrato migliaia di miliziani sunniti, creando di fatto una sua forza locale?”. E la domanda più importante: “La liberazione della città sarà la sconfitta definitiva dello Stato Islamico o porterà alla creazione di un nuovo movimento sunnita ancora più estremista?”. E che troverà la sua legittimazione nel caso in cui i cittadini sunniti di Mosul diventassero le vittime di vendette a sfondo settario? Dal modo in cui i vari attori sulla scena decideranno di rispondere a queste domande dipenderà il futuro della città. E, in scala più larga, quello del Paese.

IL FRONTE DEI LIBERATORI: UNITI CONTRO L’ISIS, DIVISI SUL DOPO

“Fronte di mobilitazione popolare” sciita – “Forze di Mobilitazione popolare” è una una delle formazioni paramilitari che combatte a Mosul. Il 14 giugno 2014 l’Ayatollah Ali al Sistani, una delle maggiori figure dello sciismo in Iraq, emana una fatwa in cui invoca la mobilitazione degli iracheni sciiti per la difesa delle città contro lo Stato Islamico. Diversi gruppi paramilitari si coalizzano nel “fronte di mobilitazione” che oggi oscillerebbe tra i 100mila e i 120mila miliziani. Fin dalla sua nascita questa coalizione si caratterizza per la sua composizione esclusivamente sciita, ma l’escalation delle tensioni settarie con i sunniti, in particolare nella reticenza da parte del mondo sunnita e non solo all’entrata del fronte di mobilitazione in quello dei ‘liberatori di Mosul’, spinge il primo ministro iracheno, Haidar Al Abadi, ad invitare il Fronte ad aprire ai sunniti, nel tentativo di calmare le tensioni e dare alla formazione una legittimazione nazionale.

Peshmerga curdi – Forza militare del Kurdistan iracheno, i Peshmerga hanno preso parte alla liberazione di Mosul. Nel corso dell’ascesa dello Stato Islamico, i curdi hanno imbracciato le armi strappando territori ai fondamentalisti e amministrando i territori conquistati, motivo di tensione fra il governo del Kurdistan iracheno e quello centrale di Baghdad, che da tempo richiede la restituzione dei territori. Ulteriori dissidi sono emersi negli ultimi mesi, proprio riguardo al ruolo che i Peshmerga avrebbero avuto nell’offensiva e riguardo a ciò che il governo di Erbil avrebbe ottenuto dopo la liberazione della città. Divise su tutto, le forze paramilitari sunnite e sciite avevano trovato un solo punto di accordo, quello della marginalizzazione del ruolo dei Peshmerga, per contenere un’ulteriore espansione dell’influenza curda nel Paese. Ma fino ad ora non è ancora chiaro che cosa Erbil chiederà al governo di Baghdad quando Mosul sarà liberata, come “ricompensa” per lo sforzo.

Fronte sunnita – Non lontano da Mosul, nella base di Bashiqa, i turchi hanno addestrato miliziani sunniti che affiancano altre formazioni che facevano parte del “Fronte del risveglio”, una coalizione militare sunnita attivo fino al 2013, anno del suo “smantellamento”. Sarebbero 1.500 i miliziani sunniti che sono stati formati dai militari turchi e che si trasformeranno nel contingente locale filo-turco che, visto che i militari turchi non prenderanno ufficialmente parte alle operazioni, porterà avanti l’agenda di Ankara. Solo qualche giorno fa la tensione fra Turchia e Iraq è arrivata alle stelle, con scambi di accuse fra Erdogan e Al Abadi. Il primo ministro iracheno aveva accusato la Turchia di violare la sovranità irachena, inviando i suoi soldati a Bashiqa. “Stai al tuo posto”, è stata la risposta secca di Erdogan. Il coinvolgimento turco in Iraq è certamente leggibile nell’ottica del contenimento di un’ulteriore espansione dell’influenza curda, ma anche nel tentativo di contrastare l’egemonia iraniana nel Paese, puntando a un risveglio sunnita.

Cristiani e Yazidi – Anche i cristiani e gli yazidi, questi ultimi perseguitati in massa dallo Stato Islamico, hanno formato delle milizie confessionali che avranno un impatto sullo scenario di Mosul, in chiave di rivalsa verso i loro persecutori. Un dato: la popolazione di Mosul nei primi anni 2000 era di circa 1,5 milioni di abitanti, di cui 50mila cristiani – questi ultimi diminuiti fino 3mila nel 2014. Solo il passare dei giorni ci dirà se le formazioni militari cristiane e yazide individueranno nei loro carnefici esclusivamente i militanti dell’Isis o anche la popolazione sunnita di Mosul.

Esercito regolare iracheno – A tenere insieme questo fronte c’è l’esercito regolare iracheno, sostenuto dall’aviazione di vari Paesi che partecipano alla coalizione internazionale contro l’Isis. La scelta di Al Abadi di annunciare l’inizio dell’offensiva in tv vestito con la divisa delle forze di sicurezza, garantendo che “la dignità dei cittadini sarà garantita”, è un segno: parole e vestiario militare possono essere letti come un tentativo di rimarcare una autorità centrale che è evidentemente troppo debole e ostaggio degli interessi delle potenze regionali.

La caduta di Mosul: una nuova possibilità per l’Iraq o il fondamentalismo – Le tensioni confessionali, spinte dalle agende politiche di attori regionali come la Turchia, potrebbero avere risvolti drammatici se la transizione che comincerà dalla liberazione della città non verrà gestita al meglio. Corsi e (scongiurabili) ricorsi storici, con l’incubo del ritorno di quel sentimento di vendetta e di rivalsa nutrito per anni dalle tribù e dagli ex membri del partito Ba’th, marginalizzati nella gestione del potere dopo l’ascesa degli sciiti, sostenuti dall’Iran, e dalla disastrosa gestione americana del post-Saddam Hussein. L’humus socio-politico nel quale è proliferato il fenomeno dello Stato islamico.

Riuscire a trovare un accordo che accontenti tutti, provando a ricostruire quel mosaico colorato sepolto dalle macerie della moschea di Giona, sarebbe il punto di partenza per scongiurare un futuro costellato di scontri confessionali e una nuova caduta del Paese nel baratro del fondamentalismo. Ma finora, la strada scelta sembra quella opposta.

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